so” di Ciudad Juárez come momento di svolta. 6. Il dibattito latinoamericano e il concetto di feminicidio. 7. Il punto di vista italiano. 8. Le sotto-categorie del femminicidio.
1. Introduzione
Se è vero, come appare all’esito del primo capitolo, che il femmini- cidio non è un problema nuovo, né in Italia né nel resto del mondo, e se è vero che nemmeno la sua dimensione è cambiata in modo significati- vo (malgrado spesso si sostenga senza fondamento il contrario), perché solo da alcuni anni il tema si è imposto al dibattito pubblico?
Rispondere a quest’interrogativo non è importante solo per offrire alcuni cenni, pittoreschi ed esotici, sulla breve storia di questa nuova fattispecie. Un approfondimento è necessario, infatti, anche per scoprire le esigenze politico-criminali che ne hanno stimolato l’origine e pro- mosso la rapida diffusione. Ignorandole o sottovalutandole, il penalista rischia, osservando questa nuova fattispecie, di saggiare la consistenza e la funzionalità dell’istituto solo con gli asettici strumenti della dogma- tica, certo indispensabili per investigare ‘l’anatomia’ della Tatbestand, ma limitati se si guarda al penale in senso globale e se si riporta il dirit- to alla sua essenza di prodotto sociale e di espressione di una cultura in continua trasformazione1.
1 J.L. G
UZMÁN D’ALBORA, Elementi di filosofia giuridico penale, ed. it. a cura di G. FORNASARI, A. MACILLO, Trento, 2015, passim; anche: M. DONINI, Europeismo giu-
CAPITOLO II
Solo la somma di una ricerca politico-criminale e di un’analisi dog- matica possono restituire all’interprete degli elementi idonei a una comparazione funzionale non solo alla conoscenza2, ma anche alla for- mulazione di risposte plausibili rispetto agli interrogativi circa la neces- sità e l’utilità di una eventuale introduzione in Italia di una fattispecie di femminicidio3.
Tutto ciò premesso è bene tenere presente che negli studi sulla vio- lenza di genere la dimensione sociologica e giuridica, oltre a quella del- l’attivismo politico, spesso si intersecano e si sovrappongono. Molte delle Autrici di riferimento, specie nel contesto americano, hanno una formazione accademica e un’esperienza di attivismo sociale che poi sfocia nella militanza politica, sempre a servizio dell’interesse della promozione per le donne di una vita libera dalla violenza4.
2011, passim (in particolare 173-211). Poi, tra i classici, M.E. MAYER, Rechtsnormen
und Kulturnormen, Breslavia, 1903 e ancora di J.L. GUZMÁN DALBORA, Cultura y deli-
to, Bogotá, 2010. Più in generale R. SACCO, Antropologia giuridica, Bologna, 2007. In moltissimi scritti Domenico Pulitanò affronta il tema del rapporto tra dogmatica e poli- tica criminale, che riesce ad accostare con acume e rigore ai temi oggetto di ciascuna pubblicazione. L’ultimo esempio in ordine di tempo sono le pagine iniziali di: D. PULI- TANÒ, Legittima difesa tra retorica e problemi reali, in www.penalecontemporaneo.it, 2017, 1-9; anche: D. PULITANÒ, Etica e politica del diritto penale ad 80 anni dal Codi-
ce Rocco, in Riv. it. dir. proc. pen., 2010, 486-520.
2 In linea con le Tesi di Trento, manifesto culturale sulla scienza della comparazio-
ne giuridica elaborato nel 1987 da un circolo di autorevoli comparatisti (F. Castro, P. Cendon, A. Frignani, A. Gambaro, M. Guadagni, A. Guarnieri, P.G. Monateri, R. Sacco). Disponibile alla pagina: http://www.jus.unitn.it/faculty/guida/tesi.html.
3 Sulle funzioni della comparazione nel diritto penale: A. C
ADOPPI, Introduzione al-
lo studio del diritto penale comparato, II ed., Padova, 2004, 41-58; G. FORNASARI,
Conquiste e sfide della comparazione penalistica, in Studi in onore di Giorgio Mari- nucci, Milano, 2006, I, 265-282; R. PARIZOT, Utilità e metodo del diritto penale compa-
rato, in Dir. pen. XXI secolo, 2, 2017, in stampa.
4 Due soli esempi: Catharine MacKinnon, accademica dell’università del Michigan
e promotrice di numerose riforme legislative negli Stati Uniti in materia di violenza ses- suale, molestie, prostituzione e pornografia, nonché special adviser in materia di gender
crimes della Procura della Corte penale internazionale (2008-2012); cfr. C. MACKIN- NON, Are Women Human? And other international dialogues, Cambridge (MA), 2006. Marcela Lagarde, accademica presso l’Universidad Nacional Áutonoma de México (UNAM) e deputata federale tra il 2003 e il 2006, figura centrale nel processo che ha portato il Messico all’approvazione della Ley General de Acceso de las Mujeres a una
LE ORIGINI TEORICHE DEL DIBATTITO SULLA VIOLENZA ASSASSINA CONTRO LE DONNE
39 Per offrire una presentazione chiara dell’oggetto di studio, tuttavia, la storia sociale del contrasto alla violenza contro le donne e la storia giuridica del susseguirsi dei documenti internazionali che la condanna- no devono essere separate, anche se lette il più possibile in parallelo.
Si tratta di una storia “breve”, che non ha ancora cinquant’anni, ma fortemente condizionata dalla globalizzazione delle idee e del diritto e dalla circolazione dei modelli giuridici5.
Si tratta, in ogni caso, di una storia complessa e di difficile lettura anche per alcuni dei suoi protagonisti. Scrive, infatti, Diana Russell – colei, ricordiamo, che ha coniato il termine femicide – che:
In contrast to the continuing failure of efforts to get U.S. feminists to adopt the term femicide, the concept is now widely used in many Latin American countries. Sometimes referred to as feminicide in these coun- tries, feminists in Mexico, Guatemala, Costa Rica, Bolivia, Chile, El Salvador, Brazil, Uruguay, Peru, Nicaragua, and Honduras have adopt- ed one or other of these terms. Anti-femicide organizations have also been formed, eight of which have so far succeeded in getting their gov- ernments to pass laws against femicide. What accounts for the differ- ences in the responses of U.S. and Latin American feminists to the term femicide – and the activism that it has inspired – is a total mystery to me6.
Vida libre de Violencia. Tra i suoi scritti principali: M. LAGARDE Y DE LOS RÍOS, Los
cautiverios de las mujeres. Madresposas, monjas, putas, presas y locas, IV ed., Ciudad
de México, 2005; ID., Para mis socias de la vida: claves feministas para el poderío y la
autonomía de las mujeres, los liderazgos entrañables y las negociaciones en el amor,
Madrid, 2005; ID., Identidad de género y derechos humanos, in AA.VV. (L. GUZMÁN STEIN, G. PACHECO OREAMUNO dir.), Estudios Básicos de Derechos Humanos IV, San José de Costa Rica, 1996, 85 (http://biblio.juridicas.unam.mx/libros/4/1838/5.pdf).
5 Sulla globalizzazione del diritto si rinvia al già citato R. S
ACCO, op. cit., ma altresì e più specificatamente a: M.R. FERRARESE, Le istituzioni della globalizzazione. Diritto
e diritti nella società transnazionale, Bologna, 2000, I. RUGGIU, Il giudice antropologo.
Costituzione e tecniche di composizione dei conflitti multiculturali, Milano, 2012, 148-
267.
6 D. R
USSELL, “Femicide”. The Power of a Name, 2011 (5 ottobre 2011), www.dia
CAPITOLO II
2. Le tappe iniziali dell’emersione del problema. Gli anni ’70 e ’80
La storia, come detto, è “breve” perché la violenza assassina contro le donne, e più in generale la violenza contro le donne, non è stata im- mediato oggetto di attenzione da parte del femminismo della c.d. “se- conda ondata”7 negli anni ’60.
Nel 1971, a Londra, fu aperta la prima casa-rifugio, in cui le donne maltrattate venivano ospitate assieme ai figli senza che l’indirizzo fosse reso pubblico8. Nel corso del decennio successivo ne furono aperte cen- tinaia tanto nel Regno Unito come negli Stati Uniti e la violenza dome- stica emerse lentamente come problema sociale. Ciò avvenne grazie al lavoro di divulgazione delle attiviste9, ma anche grazie alla ricerca so- ciale10 che, all’interno delle università, negli anni ’80 iniziò a privile- giare una metodologia di indagine basata proprio sulla conoscenza delle esperienze delle donne maltrattate11.
7 Nell’evoluzione della teoria femminista si indica solitamente come “prima onda-
ta” del femminismo, il movimento suffragista inglese e nordamericano tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX, mentre con “seconda ondata” quello che vede la luce negli anni ’60 e prosegue, con alterne vicende, fino ad oggi. Vi sono Autrici, tuttavia, che considerando una “prima ondata” il pensiero femminista presente nell’Illuminismo, indicano il suffragismo come la “seconda ondata” e quello successivo agli anni ’60 come la “terza ondata”. Cfr. R. MESTRE, La Caixa de Pandora. Introducció a la teoría
feminista del dret, Valencia, 2006, 18.
8 Fu la Chiswick Women’s Aid, secondo quanto riferisce: K. T
IERNEY, The Battered
Women Movement and the Creation of the Wife Beating Problem, in Social Problems,
XXIX, 3, 1982, 208. In America Latina il primo refugio fu la Casa protegida Julia
Burgos a Porto Rico, aperta nel 1979 (cfr. E. GUERRERO, Informe sobre violencia con-
tra las mujeres en América Latina y el Caribe español (1990-2000), Santiago de Chile,
2002, 6 disponibile alla pagina: www.bvsde.paho.org/bvsacd/cd63/violencia01.pdf). In Italia bisognerà attendere gli anni ’90.
9 K. T
IERNEY, op. cit., 207.
10 Secondo quanto riferiscono: J. D
UNN, M. POWELL-WILLIAMS, ‘Everybody makes
choices’: Victim advocates and the social construction of battered women’s victimiza- tion and agency, in Violence Against Women, 10, 2007, 979.
11 B. K
OHEN, El feminismo jurídico en los países anglosajones: el debate actual, in H. BIRGIN (a cura di), El derecho en el género y el género en el derecho, Buenos Aires, 2000, 75.
LE ORIGINI TEORICHE DEL DIBATTITO SULLA VIOLENZA ASSASSINA CONTRO LE DONNE
41 In Italia, il periodo successivo al ’68 è, forse, l’epoca d’oro del femminismo: il divorzio e l’aborto furono protagonisti del dibattito pubblico ed entrambi disciplinati da nuove leggi, furono confermati da referendum popolari. Il tema della violenza rimase però ai margini, an- che nella nostra penisola. Non è un caso che il c.d. “delitto d’onore” venga espunto dal codice penale solo nel 1981.
Né nel nostro Paese né all’estero, dunque, erano diffuse informazio- ni e consapevolezza sulla violenza contro le donne. Tuttavia, anche quando le prime indagini cominciarono a circolare negli ambienti più sensibili, l’attenzione pubblica non si concentrò immediatamente su di esse. Ciò si spiega, probabilmente, con il fatto che le diverse correnti (liberale, radicale, culturale, socialista, ecc.) di un movimento enorme ma eterogeneo come il femminismo degli anni ’60-’7012 non considera- rono la violenza come un tema centrale, condividendone le chiavi di lettura, e non riuscirono perciò a proporre, nel breve periodo, le strate- gie per contrastarla con la stessa comunione di intenti che dimostrarono su altri temi.
Questa lenta emersione del problema oggi può stupire, perché in questo momento storico consideriamo una vita libera dalla violenza un bisogno primario dell’individuo, a differenza di altre rivendicazioni del movimento femminista che, pur importanti, a confronto possono appa- rire secondarie (si pensi all’eguaglianza nella retribuzione p.e.).
Tuttavia, ribadendo il fatto che le informazioni sul tema hanno co- minciato a circolare solo nella seconda metà degli anni ’70, vanno con- siderati due elementi.
Il primo è che la violenza è un problema che riguarda moltissime donne, ma fortunatamente non riguarda tutte le donne, che invece spe- rimentano nella loro vita molte altre discriminazioni (pensiamo ancora al contesto lavorativo). Esemplificando con un ricorso a uno dei temi principe del dibattito degli anni ’60 e ’70 si osservi l’aborto dall’angolo prospettico della libertà sessuale e riproduttiva. Ebbene, il numero delle donne che abortiscono è decisamente inferiore a quello delle donne che
12 Ci limitiamo a due citazioni strettamente funzionali al discorso proposto: R. M
E- STRE, op. cit., 30; C. SÁNCHEZ, M. BELTRÁN, S. ÁLVAREZ, Feminismo liberal, radical y
socialista, in E. BELTRÁN, V. MAQUIEIRA, Feminismos: debates teóricos contemporá-
CAPITOLO II
nel corso della loro vita subiscono una qualche forma di violenza fisica o psicologica da parte di un uomo. Ciononostante, tutte le donne nel corso della loro vita si pongono (quantomeno in astratto) la domanda se, date certe circostanze per ognuna diverse, abortirebbero o meno. Così, tutte le donne hanno una posizione (sovente frutto di un dialogo con altre donne e uomini) circa il fatto che lo Stato debba riconoscere, regolare, limitare o negare il loro diritto a disporre del proprio corpo interrompendo una gravidanza. Questo accade anche perché ogni donna ha la consapevolezza che prima o poi potrebbe essere nella situazione di dover decidere se interrompere una gravidanza e proprio questa co- munanza, assieme ad altri fattori, ha reso la libertà riproduttiva tema principe di quel periodo di fermento sociale e politico.
Lo stesso discorso non vale per la violenza, perché questa, per un individuo, non è un evento prevedibile in astratto e non è una situazione in cui ci si può porre volontariamente (come accade invece quasi sem- pre per un rapporto sessuale). Il fatto che una relazione affettiva e fami- liare si trasformi in una relazione violenta, anche se più frequente del- l’aborto, è una possibilità che le donne – almeno fino a pochi anni fa – non ritenevano che le potesse riguardare personalmente, probabilmente perché l’opinione corrente riteneva che attraverso la scelta del compa- gno “giusto” il “fattore di rischio” si annullasse completamente. Così la violenza nel contesto familiare non era avvertita come un problema di tutte le donne, ma solo di alcune (quelle che non sceglievano bene il loro compagno) e il tema, anche per questo, ha tardato a imporsi13.
Il secondo elemento concerne la già citata divisione in svariate cor- renti del femminismo della “seconda ondata” che per l’oggetto di studio di questo libro è sufficiente ricondurre a due tendenze contrapposte, la prima di stampo ‘liberale’ e la seconda definita come ‘radicale’14.
13 K. T
IERNEY, op. cit., passim.
14 Sulla scia della descrizione offerta da Patsilí Toledo (P. T
OLEDO VÁSQUEZ, Femi-
cidio/Feminicidio, Buenos Aires, 2014, 40) il riferimento alla tendenza radicale è pro-
posto guardando più al femminismo radicale statunitense, che si sviluppa in contrappo- sizione a quello liberale e a quello marxista (cfr. S. JACKSON, J. JONES, Thinking for
Ourselves: An Introduction to Feminist Theorising, in S. JACKSON, J. JONES (a cura di),
Contemporary Feminist Theories, Edinburgh, 1998, 4) piuttosto che a quello che si
LE ORIGINI TEORICHE DEL DIBATTITO SULLA VIOLENZA ASSASSINA CONTRO LE DONNE
43 Per la prima prospettiva, la consapevolezza della discriminazione delle donne è stata il motore che ha prodotto l’evoluzione dei diritti del- le donne fino ad oggi, sia nell’ambito internazionale che in quello in- terno ai vari Paesi. Malgrado il concetto di “discriminazione delle don- ne” sia stato interpretato (e continui ad esserlo) in una molteplicità di prospettive dalle diverse teorie femministe nel corso degli anni, tutte le linee interpretative hanno guardato “all’uguaglianza” (di diritti, di trat- tamento, ecc.) come obiettivo principe15.
Per il femminismo di stampo liberale i diritti “dell’uomo” sono presi come paradigma – spesso il termine utilizzato in inglese è sameness ed in spagnolo mismidad –.
Per la prospettiva ‘radicale’, con estrema sintesi, i concetti cardine non sono quelli di uguaglianza e discriminazione, bensì quelli di domi- nazione e subordinazione16. Questa visione è stata assai criticata perché propone, a differenza di quella liberale, una lettura «totalizzante-natura- lizzante» delle posizioni tra i sessi nella società17. Tuttavia, a essa va riconosciuto il merito di aver ampliato lo sguardo sui numerosi proble- mi sociali del rapporto uomo/donna che non possono limitarsi a una “semplice” estensione alle donne degli “stessi diritti” riconosciuti agli uomini (al voto, alla partecipazione politica, alla medesima retribuzio- ne, ecc.).
L’aborto – non a caso ancora lui (!) – non ha un correlato diretto con un diritto “dell’uomo”. Lo stesso dicasi per la violenza. Proprio per il fatto di considerare che la disuguaglianza è originata dal dominio si- stematico di un sesso sull’altro, il femminismo ‘radicale’ – a differenza di quello ‘liberale’ – ha portato con più forza nel dibattito il tema della
cale per indicare la tendenza femminista culturale sviluppata principalmente in Francia ed in Italia (A. RUBIO, El feminismo de la diferencia: los argumentos de una igualdad
compleja, in Revista de Estudios Políticos (Nueva Época), LXX, 1990, 185-207).
15 Per chi l’ha criticata, questa tendenza si concentra eccessivamente sull’uguaglian-
za dei diritti tra uomini e donne dimenticando limiti e insufficienze di un’uguaglianza semplicemente «giuridico-formale». A. RUBIO, op. cit., 185; R. COOK, Los derechos
humanos internacionales de la mujer: el camino a seguir, in ID. (a cura di), Derechos
humanos de la mujer: perspectivas nacionales e internacionales, Bogotà, 1997, 5.
16 R. M
ESTRE, op. cit., 134.
17 J. S
COULAR, Feminist Jurisprudence, in S. JACKSON, J. JONES (a cura di), Con-
CAPITOLO II
violenza contro le donne, che sarebbe il prodotto di una struttura sociale oppressiva e di natura patriarcale. Per il femminismo ‘radicale’ la vio- lenza è strutturale e la violenza fisica e sessuale sarebbe lo strumento attraverso cui gli uomini mantengono il controllo sulle donne18.
Il contributo al diritto da parte del femminismo di stampo ‘radicale’ è stato ed è assai importante19, poiché proprio il diritto contribuirebbe a perpetuare il dominio maschile sulle donne20. Così, quantomeno in am- bito americano (e insisto sull’America perché in questo continente na- sce il concetto e il dibattito sul femminicidio), è stata la riflessione teo- rica radicale ad offrire nutrimento ideologico al movimento contro la violenza verso le donne, così come a promuovere molteplici riforme legislative in molti Paesi.
Una lettura tanto forte – che, ribadisco, propone una visione unitaria e oppressiva del diritto21 – non poteva e non può essere una lettura con- divisa da un movimento così ampio come il femminismo. È, dunque, per questo che l’effetto di una grande quantità di sforzi individuali ma scoordinati e a volte persino contrastanti fra loro, ha ridotto la velocità del cambiamento sociale che un’attenzione davvero condivisa al tema della violenza contro le donne avrebbe potuto produrre.
3. Violenza contro le donne ed hate crimes
Chiarite le tappe iniziali del percorso che ha portato l’opinione pub- blica internazionale a dibattere della violenza contro le donne nel suo complesso, vanno fatte diverse precisazioni se ci si concentra sulla vio-
18 Limitandoci ancora a citazioni di contributi giuridici: S. B
ROWNMILLER, Against
our will: men, women and rape, XI ed., New York, 1990 (ed. orig. 1975); RE. DOBASH, RU. DOBASH, Violence against wives: a case against the patriarchy, New York, 1983; C. MACKINNON, Feminism Unmodified. Discourses on Life and Law, Cambridge (MA)-Londra, 1987, 121-123; J. RADFORD, E. STANKO, Violence Against Women and
Children: The Contradictions of Crime Control Under Patriarchy, in M. HESTER, L. KELLY, J. RADFORD (a cura di), Women, Violence and Male Power, Buckingham, 1996, 142-157.
19 R. M
ESTRE, op. cit., 30.
20 J. S
COULAR, op. cit., 66.
21 C. S
LE ORIGINI TEORICHE DEL DIBATTITO SULLA VIOLENZA ASSASSINA CONTRO LE DONNE
45 lenza assassina, che è l’oggetto specifico di questo studio. In particola- re, richiamando senza ripeterle le indicazioni sul lessico e l’etimologia di femicide e feminicidio proposte nell’introduzione, è utile dar conto del brodo di cultura da cui emerse lo studio di Diana Russell e Jane Ca- puti, che fu pubblicato nel 1990.
Nella seconda metà degli anni ’80, negli Stati Uniti era in corso un dibattito promosso dai movimenti per i diritti civili e da diversi gruppi discriminati tendente al riconoscimento come categoria degli hate
crimes, per rendere in tal modo più visibile la violenza che colpiva spe-
cificamente i gruppi sociali più vulnerabili22.
Tra gli obiettivi prefissati da queste organizzazioni (in un primo momento formate da gruppi nazionali, razziali e religiosi ai quali si sommò in un secondo momento anche il movimento gay) c’era l’appro- vazione di una legislazione federale che permettesse di produrre stati- stiche sui reati di cui erano specialmente vittime questi gruppi.
Fu, così, oggetto di dibattito, sulla spinta di organizzazioni femmini- ste, anche l’introduzione nei progetti di legge dei reati commessi con discriminazione di genere. L’idea non fu accolta per l’opposizione delle stesse realtà che per prime avevano avanzato la proposta, facendosi for- za del fatto che il governo federale già raccoglieva statistiche sugli stu- pri e la violenza domestica23. L’Hate Crimes Statistics Act, del 1990, non include perciò riferimenti al sesso della vittima e limita la sua rac- colta di dati ai crimini mossi dalla razza, dalla religione, dall’orienta- mento sessuale, dall’origine nazionale o etnica di chi lo subisce.
La ricerca di Russell e Caputi prese spunto, polemicamente, dalla strage all’università di Montreal del 6 dicembre 1989 (nota anche come caso Lépine), evento drammatico che ebbe delle donne come vittime, ma che secondo le ricercatrici avrebbe potuto – e dovuto – essere fa- cilmente ricondotto alla categoria degli hate crimes.
Marc Lépine era un giovane studente che fu respinto all’esame di ammissione della facoltà di ingegneria dell’università di Montreal e che