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Il percorso verso la Convenzione di Belém do Pará

Il diritto internazionale dei diritti umani, così come si è sviluppato a partire dal secondo dopoguerra è uno dei principali strumenti che i mo- vimenti per la rivendicazione di una vita libera dalla violenza per le donne hanno utilizzato a livello globale per perseguire il loro scopo. Fondamentali, assieme alla dimensione affermativa dei diritti enunciata nei documenti, sono stati i meccanismi di monitoraggio e controllo (comitati, relatori speciali, visite in loco, ecc.) che sono stati implemen- tati e hanno favorito un maggior livello di effettività delle norme conte- nute nelle diverse convenzioni20.

Nei primi trent’anni di attività le Nazioni Unite hanno sempre pro- mosso il miglioramento dei diritti delle donne in stretto collegamento con quelli “generali” dell’uomo, in accordo a un’interpretazione forma- le del divieto di discriminazione sulla base del sesso contenuto nella sua Carta costitutiva21.

Una svolta si ebbe, dietro il forte stimolo delle organizzazioni non governative, con la risoluzione dell’Assemblea Generale con cui il 1975 fu dichiarato Anno internazionale della donna e con la prima Con- ferenza Mondiale sulla Donna, tenutasi a Città del Messico in quello stesso anno.

Nella decade successiva, il movimento femminile acquistò un peso sempre maggiore all’interno dell’ONU e i suoi equilibri geopolitici fuo- riuscirono dal ristretto ambito europeo e statunitense divenendo sempre più globali22.

20 M. M

OLYNEUX, Movimientos de mujeres en América Latina. Estudio teórico y

comparado, Madrid-Valencia, 2003, 222.

21 Anche quando si sono occupate di temi in cui le donne erano le sole a subire la

discriminazione: cfr. Convenzione sulla soppressione del traffico di persone e lo sfrutta- mento della prostituzione altrui, adottata in sede Onu il 2 dicembre 1949. Cfr. M. CHEN,

Engendering World Conferences: The International Women’s Movement and the U.N.,

in T. WEISS,L. GORDENKER (a cura di), NGOs, the UN & Global Governance, Boulder (CO-USA), 1996, 154.

22 Boulding riferisce che, delle 47 organizzazioni internazionali di donne ricono-

sciute dall’ONU nei primi tre decenni di attività, solo cinque avevano la loro sede al di fuori di queste due regioni; E. BOULDING, Women in the Twentieth Century World, New York, 1977, 187. Cfr. anche M. CHEN, op. cit., 140.

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81 Il primo frutto giuridico di questo cambiamento è la Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne, adottata in sede ONU nel 1979 e nota con l’acronimo in- glese CEDAW23.

Questa convenzione è focalizzata sulla concettualizzazione del fe- nomeno discriminatorio e si inserisce, per struttura e nozioni, nel solco tracciato dalla Convenzione contro le discriminazioni razziali del 1965 (CEDR). La prospettiva adottata dalla CEDAW è quella del femmini- smo liberale e la discriminazione è ritenuta la causa della situazione di inferiorità sociale cui sono costrette le donne in molte società. Non vi sono, tuttavia, riferimenti espliciti alla violenza contro le donne perché, come detto nel capitolo precedente, negli anni ’70 non vi era ancora una consapevolezza globale del fenomeno, che si manifesterà solo nel de- cennio successivo24.

Senza arrivare ad affermare che la CEDAW, sui temi specifici di questa ricerca, sia nata già vecchia, va tenuto presente comunque che i tempi di gestazione dei trattati internazionali multilaterali sono piutto-

23 Adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 1979. En-

trata in vigore internazionale il 3 settembre 1981. Stati Parti al 1° gennaio 2013: 187. Autorizzazione alla ratifica e ordine di esecuzione in Italia dati con legge 14 marzo 1985, n. 132. Ratifica: 10 giugno 1985. Entrata in vigore per l’Italia: 10 luglio 1985.

In generale, nella letteratura in lingua italiana, il riferimento per la ricostruzione storica dell’emersione dei diritti delle donne rispetto alla violenza è: B. SPINELLI, Fem-

minicidio. Dalla denuncia sociale al riconoscimento giuridico internazionale, Milano,

2008.

24 Ciò non significa che negli anni ’70 non vi siano stati momenti giuridici di de-

nuncia della violenza contro le donne molto importanti a livello internazionale. Estre- mamente significative furono le sessioni di lavoro del Tribunale internazionale per i cri- mini contro le donne, una grande iniziativa simbolica realizzata a Bruxelles nel 1976. Parteciparono ai lavori più di duemila donne provenienti da quaranta Paesi (soprattutto europei e nordamericani) che utilizzarono questa forma di manifestazione ispirate dalla forza simbolica del Tribunale di Norimberga. Furono ascoltate, nella forma della testi- monianza, donne che avevano subito violenza domestica, sfruttamento economico e gravidanze forzate e di fronte a una giuria internazionale furono analizzate e discusse le interazioni tra razzismo, sessismo, imperialismo ed ingiustizia economica. Cfr. D. RUS- SELL,N. VAN DE VEN, Crimes against women. Proceedings of international tribunal, Millbrae (CA-USA),1976 e M. HAWKESWORTH, Globalization and feminist activism, Lanham (MD-USA), 2006, 76.

CAPITOLO III

sto lunghi e l’interesse a promuovere un numero di ratifiche alto costi- tuisce una forte spinta a escludere dai testi elementi avanguardistici pre- ferendo disposizioni che cristallizzano posizioni di mediazione.

Per questo è sufficiente attendere un solo anno perché, in seno alla seconda Conferenza Mondiale sulla Donna (Copenaghen, 1980) uno strumento di soft law, più agile ma giuridicamente non vincolante come una risoluzione, si occupi per la prima volta dei maltrattamenti sofferti dalle donne e della violenza in famiglia25.

È necessario attendere altri cinque anni perché, in occasione della terza Conferenza, la violenza contro le donne, sia pure sempre accom- pagnata dal riferimento alla violenza familiare, sia elevata al livello di priorità nel documento finale redatto dai delegati (cosa che verrà ribadi- ta anche nelle successive Conferenze, nel 1995 e nel 2000). Il 1985 è altresì l’anno della risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite sulla violenza domestica (A/RES/40/36).

Anche negli anni ’80, l’atto giuridico più significativo è adottato al termine del decennio. Si tratta della Raccomandazione Generale nr. 12 (1989) del Comitato CEDAW26, in cui si afferma che la violenza contro le donne deve ritenersi compresa all’interno della Convenzione. Nel 1992, una nuova Raccomandazione (la n. 19) dello stesso Comitato amplierà il contenuto della n. 12. All’interno di quest’ultimo atto i pas- saggi particolarmente significativi sono due: «La violenza contro le donne è una forma di discriminazione che impedisce gravemente ad esse di godere di diritti e libertà al pari degli uomini» (par. 1) e «[...] la definizione [di discriminazione contro le donne contenuta nel par. 1] include la violenza basata sul genere, che è la violenza che si dirige

25 M. C

HEN, op. cit., 140-142.

26 Composto da 23 esperti nella materia oggetto della Convenzione, il Comitato si

riunisce due volte all’anno per esaminare le relazioni sul rispetto delle disposizioni della Convenzione che gli Stati parte sono tenuti a presentare ogni quattro anni. I suoi membri sono eletti dall’Assemblea Generale ONU e durano in carica 4 anni. L’ultima italiana a far parte del Comitato è stata Bianca Maria Pomeranzi, che ha terminato il suo mandato il 31 dicembre 2016.

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83 verso la donna perché è una donna o che colpisce le donne in modo sproporzionato rispetto agli uomini» (par. 6)27.

L’influsso del pensiero femminista radicale su questa interpretazio- ne del testo CEDAW è evidente e l’inizio degli anni ’90 segnerà l’in- gresso in una lunga serie di testi giuridici di questo approccio in cui la subordinazione sofferta dalle donne è collocata al centro dell’analisi.

Approfondendo il testo, così rilevante, della Raccomandazione nr. 19 è fondamentale non semplificare la citazione limitandosi all’ica- stico passaggio: «la violenza che si dirige verso la donna perché è una donna». Essa, infatti, non è una frase a sé, ma è la definizione di una forma di discriminazione contro le donne e come tale andrebbe sempre citata. Come afferma Toledo, l’omissione di un riferimento espresso al fatto che questa violenza si produce a causa della subordinazione o di- scriminazione verso le donne nella società (proprio in virtù del loro ge- nere) ha come conseguenza sul piano del linguaggio una traslazione della causa del problema verso le vittime stesse28.

All’interno del dibattito politico questa semplificazione, a volte per ignoranza a volte per mala fede, ha dato spazio a ragionamenti in base ai quali, se il problema è «essere donna»29, esso non ha soluzione e del- le due l’una: o si accetta una forma di violenza coessenziale rispetto alla società o si invitano le donne a modificare certi loro comportamenti essendo loro stesse la causa del problema che soffrono. La Raccoman- dazione (e tutti i testi che direttamente o meno ne ribadiranno i conte- nuti), però, dice ben altro! Essa afferma, infatti, che la causa del pro-

27 Il testo del par. 6 così prosegue (in lingua ufficiale): «Incluye actos que infligen da-

ños o sufrimientos de índole física, mental o sexual, amenazas de cometer esos actos, coacción y otras formas de privación de la libertad. La violencia contra la mujer puede contravenir disposiciones de la Convención, sin tener en cuenta si hablan expresamente de la violencia»: http://www.ohchr.org/EN/HRBodies/CEDAW/Pages/Recommendations.aspx.

28 P. T

OLEDO, op. cit., 48-49 e 60-61.

29 Nel solco di un linguaggio enfatico, fortemente evocativo, si colloca anche la ci-

tazione della ricercatrice Lori Heise secondo cui: «nella violenza contro le donne il fattore di rischio è l’essere donne». Riportata spesso senza riferimenti alla sua Autrice, anche questa frase ha prestato il fianco a equivoci ed atteggiamenti pilateschi da parte dei decisori politici. Cfr. L. HEISE, International dimension of violence against women, in Response to the Victimization of Women and Children, XII, 1, 1989, 3-11.

CAPITOLO III

blema è la società, che discrimina la donna rispetto all’uomo sotto mol- teplici forme.

La Raccomandazione nr. 19 fu il precedente formale dei lavori della Seconda Conferenza Mondiale sui Diritti Umani, tenutasi a Vienna nel 1993, che trasse grande ispirazione, sui temi oggetto di questo scritto, anche dalla Convenzione di Belém, pur approvata qualche mese dopo, ma la cui bozza fu elaborata e circolò a partire dal 199130.

La Dichiarazione di Vienna, approvata in quell’occasione, è un testo giuridico fondamentale nel percorso di affermazione dei diritti delle donne perché finalmente si affermò che: «The human rights of women and of the girl-child are an inalienable, integral and indivisible part of universal human rights» (paragrafo I.18).

Oltre ad aver posto le basi per l’ingresso del gender mainstrea-

ming31 nel sistema delle Nazioni Unite, la Dichiarazione pose grande enfasi sul problema della violenza contro le donne, al punto che esso fu direttamente utilizzato come argomento forte per l’incorporazione for- male dei diritti delle donne all’interno dei diritti umani32.

Nella Dichiarazione di Vienna è contenuto un paragrafo specifica- mente dedicato alla violenza contro le donne33 e vi è stato chi all’inter-

30 Come segnala: M.K. M

EYER, Negotiating International Norms: The Inter-

American Commission of Women and the Convention on Violence against Women, in

M.K. MEYER, E. PRÜGL (a cura di), Gender Politics in Global Governance, New York, 1999, 66.

31 «Treaty monitoring bodies should include the status of women and the human

rights of women in their deliberations and findings, making use of gender-specific data. States should be encouraged to supply information on the situation of women de jure and de facto in their reports to treaty monitoring bodies» (paragrafo II.42, cfr. anche il paragrafo II.37).

32 Lo afferma C. B

UNCH, Organizing for women’s human rights globally, in J. KERR (a cura di), Ours by Right: Women’s rights as human rights, Londra, 1993, 146 (141- 149).

33 «In particular, the World Conference on Human Rights stresses the importance of

working towards the elimination of violence against women in public and private life, the elimination of all forms of sexual harassment, exploitation and trafficking in wom- en, the elimination of gender bias in the administration of justice and the eradication of any conflicts which may arise between the rights of women and the harmful effects of certain traditional or customary practices, cultural prejudices and religious extremism. The World Conference on Human Rights calls upon the General Assembly to adopt the

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85 no di quel testo ha letto un primo riconoscimento della responsabilità degli Stati come garanti anche per gli atti di violenza contro le donne degli agenti non statali, che sarà così importante nel dibattito sul fem- minicidio34.