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II. 4 «Sulla strada della dodecafonia»

II.8 Anno 1956

Dopo le Liriche greche, Dallapiccola si convinse che non avrebbe più potuto trarre ispirazione dalla poesia classica, tanto che nel 1946, sulla copia delle Due liriche di Anacreonte destinata ai genitori, appose la dedica: «A mamma e a Papà, concludendosi con quest’opera i miei contatti coi Poeti greci». Le cose sarebbero andate diversamente; non molti anni dopo, infatti, il compositore avrebbe compreso il vero valore che la civiltà greca aveva rivestito per lui: essa non era stata, in un momento particolare della storia, «un rifugio dello spirito soltanto», ma piuttosto una componente profonda della sua persona. Capì come «essa comprendesse tutti i problemi (problemi eterni – quindi anche attuali)»106.

Dallapiccola tornò ai poeti greci, ancora una volta nella versione di Quasimodo, nel 1956, con i Cinque Canti per baritono e otto strumenti. Tra il 1960 e il ’68, infine, venne alla luce Ulisse, l’ultima opera scritta dal compositore per il teatro.

104 F. Busoni, Un testamento, in Id., Scritti e pensieri sulla musica, Milano, Ricordi, 1954, p. 119. 105 L. Dallapiccola, Sulla strada della dodecafonia cit., p. 458.

Nei dieci anni che separano le Liriche greche dai Cinque Canti, il linguaggio musicale di Dallapiccola matura verso una più rigorosa acquisizione del metodo dodecafonico: un cammino tuttavia non privo di “ricadute”.

Le due opere scritte nel ’45 e nel ’46, infatti, – Ciaccona, Intermezzo e Adagio per violoncello solo e Rencesvals, per baritono e pianoforte, su tre frammenti della Chanson de Roland, – appaiono un passo indietro rispetto alla scrittura dedecafonica delle Liriche greche, per via dell’uso, soprattutto nella prima, di una pluralità di serie e di un materiale melodico e armonico non sempre derivato da queste ultime107. Il cammino verso un più coerente impiego della dodecafonia

riprende nel 1947, con i Due Studi per violino e pianoforte, eseguiti il 9 febbraio a Basilea dal duo Materassi-Dallapiccola108. L’anno prima a Londra, in occasione del XX festival della SIMC, il compositore, da poco nominato segretario generale della sezione italiana della società, aveva conosciuto René Leibowitz, compositore, direttore d’orchestra e teorico della dodecafonia.

Tra i due nasce un rapporto di reciproca stima, che si manifesta sia nello scambio epistolare sia in alcuni articoli usciti su riviste. Nel 1947 Dallapiccola pubblica una recensione favorevole del libro di Leibowitz Schoenberg et son ecole109; a sua volta Leibowitz aveva espresso sulla

rivista «Arche» un consenso lusinghiero nei confronti delle Liriche greche, pur con qualche riserva. Com’è noto, infatti, il teorico francese rimproverava a Dallapiccola l’uso frequente delle ottave, indice di mancanza di controllo armonico. Leibowitz pertanto consigliò al compositore di rifarsi di più a Webern per “correggere” e migliorare la sua scrittura dodecafonica110.

Dallapiccola, in alcune lettere di risposta a Leibowitz, ebbe modo di mostrargli le proprie riserve su una concezione troppo rigida del metodo. Tuttavia è indubbio che dall’incontro con il teorico francese, il compositore ricevesse un ulteriore stimolo ad un’applicazione sempre più rigorosa. Al riguardo, anzi, Dallapiccola, soprattutto in quegli anni, si mostra un po’ ambiguo: da un lato biasima il fanatismo del francese «minacciante pianto e stridore di denti a tutti coloro che non avrebbero adottato ecc. ecc»111, dall’altro però tende a comprendere e a giustificare un tale

atteggiamento nel quadro di un generale e aggressivo rifiuto del mondo musicale verso il metodo di Schönberg. Dallapiccola appare desideroso di acquisire sempre meglio la tecnica e di rispettarne puntigliosamente le regole; allo stesso tempo però ribadisce in più occasioni che la tecnica seriale non è altro che un mezzo per aiutare il compositore a realizzare l’unità del discorso musicale: «Se qualcuno dice che la serie garantisce tale unità, sbaglia di grosso, in quanto in arte

107 Ciaccona, Intermezzo e Adagio, dedicata a Gaspar Cassadò, fu da questi eseguita il 26 febbraio 1946, al Teatro Nuovo

di Milano; Rencesvals fu scritta per gli amici Francis Poulenc e Pierre Bernac, che la eseguirono a Parigi il 7 maggio 1947. Per il legame testuale con l’opera precedente Rapsodia, studio per la morte del Conte Orlando cfr. di questo capitolo § I.

108 Dei Due Studi Dallapiccola diede nel ’47 una versione orchestrale dal titolo Due pezzi per Orchestra.

109 L. Dallapiccola, Schoenberg et son ecole, in «Le Tre Venezie», XXI, nn. 7-9, luglio-settembre 1947, p. 287 segg. 110 R. Leibowitz, Luigi Dallapiccola, in «L’Arche», III, n. 23, gennaio 1947, p. 118 segg.

nessun artificio tecnico ha mai garantito nulla e l’unità dell’opera sarà, allo stesso modo che la melodia, il ritmo, l’armonia, un fatto interiore»112. Sulla questione Leibowitz-Dallapiccola intervenne, tra gli altri, anche Massimo Mila, che nell’articolo Il caso Leibowitz si era mostrato sconcertato riguardo all’ortodossia del teorico francese113. Dallapiccola ancora una volta sfuma i

toni di una possibile controversia in una lettera all’amico torinese del 28 marzo 1947: «Non sono la persona più adatta a scrivere un giudizio sull’articolo del Leibowitz: ti dirò tuttavia che ne sono contento. Nel momento attuale è molto importante che una rivista di quell’importanza si occupi di me. Il suo metodo sarà discutibile: ma non considero un errore evitare certi giudizi di valore prima che uno non sia arrivato, diciamo, ai sessant’anni». Più avanti nella lettera quasi a tranquillizzare Mila, Dallapiccola scrive: «Non mi pentirò mai del mio “edonismo”; stai sicuro»114. Leibowitz, infatti, riteneva che le licenze alla “regola dodecafonica” nelle Liriche greche dipendessero da un “edonismo”, di cui il compositore si sarebbe dovuto liberare quasi fosse un peccato115.

Nella primavera del 1948, frattanto, Dallapiccola aveva terminato il Prigioniero, suo indiscusso capolavoro116. La prima rappresentazione assoluta dell’atto unico avvenne al Teatro

Comunale di Firenze il 20 maggio 1950, sotto la direzione di Hermann Scherchen. Il direttore, a cui era stata affidata anche la prima esecuzione radiofonica il primo dicembre dell’anno prima, contribuì molto alla diffusione del Prigionero, che tenne sempre in alta considerazione, insieme ad altre opere di Dallapiccola117.

Nel 1949 Dallapiccola compone anche le Quattro liriche di Antonio Machado, per soprano e pianoforte, in cui, sulla scia dei Sex Carmina Alcaei, s’intrecciano tecnica dodecafonica e scrittura canonica. Le Quattro liriche di Antonio Machado, peraltro, sono la prima delle quattro opere – le altre sono Tre Poemi per una voce e orchestra da camera (1949), Job per coro e orchestra (1950) e i Cinque Canti del ’56 – che recano la data di composizione 13 settembre e attraverso cui Dallapiccola si appropria definitivamente del metodo dodecafonico. Per il compositore la data 13 settembre è simbolica (i pezzi sono terminati in realtà in giorni diversi); è il giorno della nascita di Arnold Schönberg, nonché quello in cui Cristoforo Colombo si era accorto che la bussola segnava un altro Nord. Dallapiccola fu sempre colpito da questa coincidenza di date: come Colombo, Schönberg « si accorse che il nord non sempre, non in tutte le circostanze né in tutte le latitudini poteva essere quella tonica di cui si parla a scuola. E, come Colombo si condannò al silenzio, anche il Maestro si condannò al silenzio, un grandioso silenzio di otto anni (1915-23). E

112 L. Dallapiccola, Sulla strada della dodecafonia cit., p. 459.

113 M. Mila, Il caso Leibowitz. (Aspetti della critica musicale), in «Belfagor», II, nº 4, 1947, pp. 494-96. 114 Lettera di Dallapiccola a Mila del 28 marzo 1947, in Luigi Dallapiccola- Massimo Mila cit., pp. 120-21. 115 Si fa riferimento all’articolo di Leibowitz Luigi Dallapiccola apparso su «L’Arche» cit.

116 Il Prigioniero non si basa ancora su una sola serie, ma su tre affini, indicate come «serie della preghiera», «serie della

speranza» e «serie della libertà».

in quegli anni elaborò i dati fondamentali e le leggi complesse della dodecafonia. E il suo istinto e la sua fede gli fecero scoprire nuove terre, ancor oggi in parte inesplorate»118.

I Tre poemi del ’49, su versi di Joyce (tradotti da Montale) Michelangelo Buonarroti il Giovane e Manuel Machado, recano la dedica: «ad Arnold Schoenberg, per il suo settantacinquesimo compleanno». Solo ora, in occasione del compleanno, Dallapiccola trova il coraggio di scrivere al venerato Maestro, che, peraltro, nella lettera di risposta gli rimprovera bonariamente di non averlo fatto prima119. Per Dallapiccola, tuttavia, come giustifica lui stesso,

scrivere al maestro sarebbe stato possibile solo dopo essersi impadronito appieno della tecnica dodecafonica120.

Nel 1951 Dallapiccola accetta l’invito di Koussevitzky di tenere un corso di composizione a Tanglewood, al Berkshire Music Center, dal primo di luglio al 15 agosto: invito rinnovato l’anno seguente. Durante il secondo soggiorno negli Stati Uniti, il compositore abbozza la prima parte dei Canti di liberazione, che con i precedenti Canti di prigionia vengono a formare un dittico, anche per il medesimo impiego di testi latini. Rispetto all’opera del ’41 però, i Canti di liberazione hanno una gestazione più lunga. Nel ’42, subito dopo aver terminato i Canti di prigionia, Dallapiccola comincia a pensare ad un’altra opera corale sempre su testo latino e di costruzione analoga, che «avrebbe dovuto costituire la continuazione, l’opposizione e la fine dell’opera precedente»121.

Riflette sui testi e dopo lunghe ricerche sceglie un frammento da una lettera di Sebastiano Castellio, tre versetti dal cap. XV dell’Esodo, un estratto dal Libro X delle Confessioni di Sant’Agostino. Dopo una prima bozza dei Canti di liberazione stesa nel 1952 negli Stati Uniti, Dallapiccola li accantona e compone, per la figlia Annalibera, il Quaderno musicale di Annalibera per pianoforte122. Nelle prime battute vi è una novità, un annuncio di pensiero seriale; il compositore

cioè introduce il principio del moto retrogrado ritmico, un procedimento, nel campo del ritmo, analogo al tradizionale moto retrogrado della melodia.

Nel 1955 finalmente vengono alla luce i Canti di liberazione, intesi dal compositore come un nuovo sforzo «teso più che mai allo svisceramento di tutte le possibilità del sistema», ma sempre «verso la sensibilità non verso la teoria»123. Solo tre anni prima tuttavia Dallapiccola aveva

composto un’opera tonale, Tartiniana. Divertimento per violino e orchestra da camera, su temi di Giuseppe Tartini. Non è la prima volta che il compositore, prima di fare un passo avanti nell’acquisizione della tecnica dodecafonica, ritorna sorprendentemente all’ambito tonale. Ciò avviene anche nella Sonatina canonica del ’53, per pianoforte, che precede le Liriche greche, e in

118 L. Dallapiccola, 13 Settembre, in Parole e musica cit., pp. 237-8.

119 Lettera di Schönberg a Dallapiccola del 16 settembre 1949, in L. Dallapiccola, Saggi, testimonianze cit., p. 78. 120 L. Dallapiccola, Sulla strada della dodecafonia cit., p. 449.

121 L. Dallapiccola, Note per un’analisi dei «Canti di liberazione», in Parole e musica cit, p. 472.

122 Il Quaderno musicale di Annalibera, nel cui titolo vi è un ovvio riferimento a Bach, si basa sulla stessa serie dei Canti di

liberazione ed è il risultato degli studi seriali preparatori all’opera del ’52. Ibid.

Tartiniana seconda per violino e pianoforte del ’56, che viene subito prima dei Cinque Canti. In una lettera del 4 settembre ’57, così Dallapiccola scrive a Mila: «Sembra fatale […] che, dopo un lavoro di interpretazione ‘antica’, faccia un salto innanzi. Tre date, Sonatina canonica, Tartiniana e Tartiniana seconda ne fanno fede»124.

Da una commissione della Louisville Symphony Orchestra e del direttore Robert Whitney, nasce nel 1954 Variazioni per orchestra, una trascrizione del Quaderno musicale di Annalibera.. Nell’arco di tempo che separa le due versioni, Dallapiccola si concentra anche su altri lavori, fra cui i Goethe Lieder, per mezzo soprano e tre clarinetti, terminati nel marzo 1953, su commissione della Creative Concerts Guild di Boston125. Nei Goethe Lieder, come nei Sex Carmina

Alcaei e nel Quaderno musicale di Annalibera, spicca un uso simbolico di procedimenti dodecafonici che caratterizza il rapporto testo-musica126. All’editore Dallapiccola raccomanda che il carattere a

specchio della musica non risulti solo da astratte tecniche dodecafoniche, ma appaia anche abbastanza chiaro dall’immagine grafica nella pagina. L’importanza assegnata fin da ora all’elemento visivo è significativa in relazione al simbolismo grafico impiegato dal compositore nei successivi Cinque Canti127. Nei Goethe Lieder, peraltro, compare un motivo di tre note, che imita

la voce di un uccello, e che avrà la medesima funzione nei Cinque Canti128.

Da una richiesta di Scherchen di un lavoro per orchestra di 4-6 minuti da rappresentare in prima assoluta al IX congresso mondiale della Federation Internationale des Jeunesses Musicales di Hannover, nacque nel ’54 Piccola musica notturna, eseguita al Festival delle Jeunesses Musicales il 7 giugno 1954. Fu un’occasione per Dallapiccola di esprimere la propria gratitudine al direttore che sin dal 1937, quando aveva eseguito le Tre Laudi alla BBC, si era interessato alla sua musica129. La composizione, il cui titolo rimanda a Mozart, si basa, come i Canti di liberazione, su un’Allintervallreihe, una serie contenente tutti gli intervalli della scala. L’impiego di serie speciali diventa via via più frequente in Dallapiccola, parallelamente all’intensificarsi del desiderio di impadronirsi e di sviscerare le varie possibilità della dodecafonia.

Il 1956 rappresenta per il compositore un anno di «svolta decisiva», che apre le porte al suo ultimo stile segnato dalla definitiva acquisizione del metodo. I due lavori principali da cui

124 Lettera di Dallapiccola a Mila del 4 settembre 1957, in Luigi Dallapiccola-Massimo Mila cit., p. 204.

125 Furono eseguiti il 28 aprile 1953 in un concerto dell’istituzione committente nel Hancock Building di Boston,

solista Eleanor Davis.

126 Kämper a tal proposito cita il Lied nº 5 in cui, in corrispondenza delle parole «Lo specchio me lo dice, sono bella»,

vi sono una pluralità di canoni per moto contrario; cfr. D. Kämper, Luigi Dallapiccola cit., p. 181.

127 Lettera di Dallapiccola alle Edizioni Suvini- Zerboni del 30 maggio 1953, in L. Dallapiccola, Saggi, testimonianze cit.,

p. 87.

128 Cfr. § successivo di questo cap.

129 L. Dallapiccola, Sex Carmina Alcaei, Piccola musica notturna, Preghiere, note illustrative al disco EMI ASD 2388 (1968),

parte questa nuova fase furono i Cinque Canti e il Concerto per la notte di Natale dell’anno 1956, per ochestra da camera e soprano130.

Dal settembre ’56 al giugno ’57 Dallapiccola lavora presso il Queens College di Flushing (New York); nella primavera del ’56 accetta una commissione della Elizabeth Sprague Coolidge Foundation (Washington, Library of Congress) da cui nascono i Cinque Canti. Pur avendo terminato la composizione tra il 12 e il 13 agosto, pochi giorni prima dell’imbarco a Genova per New York, Dallapiccola. appone come data conclusiva «13 settembre 1956», facendo così un ulteriore omaggio a Schoenberg. La partitura è inviata alle Suvini-Zerboni il 3 ottobre131.

L’esperienza a Flushing, come racconta Dallapiccola a Mila, è positiva, soprattutto se paragonata alla realtà musicale del proprio Paese: «Il Queens College non è un Conservatorio italiano: le 15 ore settimanali si fanno e talvolta sono faticose. Però è un’esperienza di notevole importanza, per me. A parte la fatica, debbo dire che ho avuto infinite dimostrazioni di stima e di amicizia da varie parti e che i colleghi, a Dio piacendo, non hanno una ‘tendenza’. A Firenze, al ‘Cherubini’ le tendenze sono circa 90, come i numeri della tombola e tutte in contrasto fra di loro. Vedo che la mia musica si esegue parecchio, qui e sopra tutto in questa stagione si eseguirà, forse anche perché sono ‘in sede’». Nella lettera accenna anche ad un esecuzione dei Cinque Canti avvenuta qualche giorno prima, che dovrebbe coincidere con la prima del 30 novembre 1956132.

La storia della prima assoluta di quest’opera è piuttosto travagliata. Il baritono Martial Singher, per cui Dallapiccola aveva concepito i Cinque Canti e per cui aveva rinunciato al progetto originario di scrivere per una voce di contralto, dichiara che il lavoro è ineseguibile e si ritira. La cosa crea scalpore; nella storia della Elizabeth Sprague Coolidge Foundation non è mai successo che un lavoro commissionato rischi di non venire eseguito. Tutto questo però si traduce in pubblicità per Dallapiccola che addirittura compare sulla prima pagina del «Washington Post»133.

Dopo non poche traversie, si decide che a rimpiazzare Singher sia Frederick Fuller; i Cinque Canti sono così eseguiti il 30 novembre 1956 alla Library of Congress di Washington. Nel frattempo Eigel Kruttge aveva chiesto una esecuzione del lavoro per il ciclo Musik der Zeit del Westdeutscher Rundfunk. Dallapiccola acconsente; anche questa volta però il solista designato,

130 L’11 gennaio 1961 il Sender Freies Berlin trasmette un concerto di musiche italiane moderne. Durante l’intervallo

Dallapiccola, che è presente alla trasmissione, risponde a Rufer sulle principali linee di sviluppo della sua produzione artistica. Alla domanda di Rufer sul perché il racconto si fermi al 1955, Dallapiccola risponde che il 1956 segna una svolta decisiva nel suo sviluppo; cfr. Kämper, Luigi Dallapiccola cit., p. 207.

131 Lettera di Dallapiccola alle ESZ del 25 giugno 1955, cit. in Kämper, Luigi Dallapiccola cit., p. 209. 132 Lettera di Dallapiccola a Mila del 9 dicembre 1956, in Luigi Dallapiccola-Massimo Mila cit., p. 201.

133 Lettera di Dallapiccola alle ESZ del 26 ottobre 1956, cit. in Kämper, Luigi Dallapiccola cit., p. 215. Stravinskij,

informato dei fatti, ne parla con Craft: «Un lavoro come i Cinque Canti di Dallapiccola non contiene problemi di intonazione né problemi di tecnica strumentale […]. Le difficoltà sono esclusivamente ritmiche e il musicista medio deve imparare tale lavoro battuta per battuta. Questi non è andato oltre Le Sacre du printemps, se è riuscito ad arrivare sin là»; cfr I. Stravinskij e R. Craft, Colloqui con Stravinskij, trad. it. di Luigi Bonino, Torino 1977, p. 86 (Conversations with Stravinskij, Berkeley, University of California press, 1980, p. 120 segg.), cit. in Kämper, Luigi Dallapiccola cit., p. 215.

Fischer Dieskau, rifiuta per l’eccessiva difficoltà dell’opera. Al posto di Dieskau canterà Eberhard Waechter.

Dallapiccola era compiaciuto della “difficoltà” del suo lavoro, traendone motivo di vanto, come emerge ancora una volta dal carteggio con Mila. In una lettera del 25 febbraio 1959, il compositore si lamenta di non aver mai potuto ascoltare una decente esecuzione dei Cinque Canti; conviene che sia difficilissimo, «cor contritum quasi cinis…», ma aggiunge anche che altrimenti non avrebbe saputo scriverlo134. Nella lista delle esecuzioni peggiori Dallapiccola pone in cima quella

di Boulez: «uomo al quale manca la possibilità di immaginare che qualche volta due o più strumenti possano suonare insieme e non secondo sincopi più o meno difficili da annotarsi». Dallapicola, peraltro, chiede a Mila un parere circa un’esecuzione avvenuta a Milano qualche giorno prima, organizzata da Berio – direttore Scherchen, solista Teodoro Rovetta135. Nella lettera

di risposta, Mila racconta di aver assistito solo alla prova generale in cui Scherchen praticamente più che eseguire si era messo a studiare la partitura. Solo in treno, alla lettura, il critico torinese rivela di aver compreso l’opera: «Così quando in treno, nelle due ore di percorso ho ripassato la partitura, mi pareva quasi d’essere diventato un musicista anch’io, tanto capivo e realizzavo musicalmente tutto. Che sia un bel lavoro me ne sono accorto così, in questa lettura individuale facilitata e preparata dalla prova. Alla prova, mi pareva un’esecuzione avviata a diventar buona…»136.

La difficoltà dei Cinque Canti era la cartina al tornasole di quel lavoro serio e coscenzioso che Dallapiccola, per anni, aveva pazientemente condotto al fine di impadronirsi del metodo dodecafonico e piegarlo alle proprie esigenze espressive. Che la partitura venisse compresa soprattutto alla lettura, all’occhio attento a scovare le raffinatezze, è indice di quell’artificio intellettualistico, tipico all’arte musicale dei fiamminghi, che aveva sempre tanto affascinato Dallapiccola.