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Verso un ideale di purezza

II.4 Lo stile dei testi e la traduzione

I.3.3 Verso un ideale di purezza

Dopo i Tre frammenti di Saffo Prosperi smette di comporre per sei anni, scegliendo di dedicarsi allo studio e all’analisi delle partiture. Il lungo silenzio è interrotto dalle Cinque strofe dal greco per voce e orchestra da camera75, dedicate alla moglie Maria Teresa, che mostrano uno stile

compositivo profondamente mutato; pur mantenendo il senso di attrazione tonale, infatti, Prosperi sperimenta procedimenti seriali, che imprimono un nuovo corso nella sua produzione76.

Alceo Alla foce dell’Ebro Ebro, il più bello dei fiumi, che nella Tracia con forte suono scorri

lungo terre famose pei cavalli, al purpureo mare presso Aino tacito scendi.

E lì molte fanciulle muovono Molli sulle anche: con l’acqua chiara Nel palmo delle mani, come con olio

Addolciscono la pelle. Ibico

Albero in riva al fiume Sopra le sue più alte foglie Si posano anitre vaghissime Dal collo lucente coi colori del porfido

E alcioni dalle lunghe ali. Anonimo

Canto mattutino

Dorati uccelli dall’acuta voce, liberi Per il bosco solitario in cima ai rami di pino Confusamente si lamentano; e chi comincia, chi indugia chi lancia il suo richiamo verso i monti:

e l’eco che non tace, amica dei deserti, lo ripete dal fondo delel valli.

75 L’orchestra è formata da Flauto I, Flauto II e Ottavino, Oboe, Clarinetto (in Sib.), Fagotto, Corno (in Fa), Arpa,

Pianoforte, Violini I (8 o 4), Violini II (8 o 4), Viole (3 o 5), Violoncelli (2 o 4), Contrabbasso (1 o 2).

76 Per Prosperi le Cinque strofe dal greco rappresentano «l’addio al concetto di tonalità», come scrive lui stesso nel

dattiloscritto inedito cit. In seguito il compositore adotta un’originale scrittura pluriseriale; l’adozione di una sola serie infatti gli sembra un limite troppo angusto. Cfr. Alvaro Company, Intervista a Carlo Prosperi, in «Prospettive musicali», I, n. 3, Pescara, 1982.

Anacreonte Eros

Eros, come tagliatore d’alberi Mi colpì con una grande scure,

e mi riversò alla deriva d’un torrente invernale.

Alcmane Dormono le cime dei monti Dormono le cime dei monti

E le vallate intorno I declivi e i burroni;

dormono i serpenti, folti nella specie che la terra nera alleva, le fiere di selva, le varie forme di api,

i mostri nel fondo cupo del mare; dormono le generazioni degli uccelli dalle lunghe ali.

Fra le cinque traduzioni impiegate vi sono alcune ricorrenze tematiche: il primo frammento di Alceo e il quarto di Anacreonte descrivono fiumi e torrenti, il secondo di Ibico e il terzo di Anonimo rispettivamente alcioni e uccelli; l’ultimo di Alcmane, Dormono le cime dei monti, funge da commiato. Se Canto mattutino fosse stato all’inizio, si sarebbe potuto scorgere dal primo al quinto frammento l’arco temporale di una giornata; trovandosi però il testo di Anonimo al terzo posto e non alludendo i primi due ad alcun momento preciso del giorno, non è possibile riscontrare nella disposizione delle liriche un programma sottostante. Diversamente da Tramontata è la luna, in cui eravamo indotti a immedesimarci con il dolore della poetessa, i testi delle Cinque strofe dal greco, pure descrizioni della natura, provocano nel lettore uno stato di ammirazione e di incantato stupore, più che di partecipazione emotiva. Le poesie infatti sono prive di elementi soggettivi, prive di pathos, con l’eccezione di Eros di Anacreonte, che inserisce nel paesaggio naturale il violento sentimento amoroso. Rispetto alla lirica di Saffo inoltre, vi sono più elementi che vanno in direzione della prosa: versi lunghi, enjambements e una quasi totale divergenza tra metro e sintassi. Su tutto spicca il valore sonoriale dei versi: in Alla foce dell’Ebro l’omotonia e la sibilante «s» nel secondo verso «…con forte suono scorri» sottolineano il fragore del fiume, così come nella seconda strofa le consonanti liquide «l, m ,n», portatrici di un senso di dolcezza e morbidezza, divengono un equivalente sonoro delle molli fanciulle intente a profumarsi la pelle con unguenti. L’entropia77, cifra di tutti i frammenti, è particolarmente evidente in Albero in riva al

77 Mutuato dalla termodinamica, il termine entropia riguarda la quantità di informazione di un messaggio, poetico e

non. Maggiore è il grado di indeterminazione di un messaggio, maggiore è la sua entropia. Il termine contrario è ridondanza, riferito ad una comunicazione prevedibile. Cfr. Katie Wales, Dizionario di linguistica, Firenze, Sansoni, 1991, alle voci Entropia e Ridondanza.

fiume di Ibico, per l’abbondanza di plurali78, per l’uso di aggettivazioni improprie (come il

«vaghissime» attribuito alle anitre), per la musicalità fine a sé stessa di un verso ricco di allitterazioni – e dove vi è anche l’omotonia – come «dal collo lucente coi colori del porfido». Un altro esempio di tessitura sonora si ha in Canto mattutino, al verso «confusamente si lamentano: e chi comincia»: in particolare la forte somiglianza fonica dell’avverbio con la voce del verbo lamentare distoglie l’attenzione del lettore dal contenuto della poesia, facendogli assaporare solo il suono; in un certo senso l’allitterazione “confonde” il lettore creando una coesione molto profonda tra i livelli semantico e musicale del verso. Le anafore «chi comincia,/ chi indugia, chi lancia» riproducono inoltre il richiamo degli uccelli e l’eco dal fondo delle valli. Un’anafora più ampia – il «dormono» che apre ogni strofa – caratterizza l’ultimo frammento, con una funzione incantatoria, ipnotica: tutto si cheta, finanche le bestie più feroci e le api laboriose. Nella versione di Alcmane, peraltro, si crea un intreccio di motivi, una polifonia tra gli animali sotto la terra, quelli in fondo al mare e quelli in alto nel cielo, che, come si approfondirà più avanti, viene assimilata nella struttura polifonica dell’ultima lirica.

Le differenze, cui si accennava sopra, tra queste traduzioni e la versione impiegata nei Tre frammenti di Saffo, stimolano, nel passaggio da una composizione all’altra, significativi mutamenti nel rapporto testo-musica; rispetto alle liriche del ’44, nelle Cinque strofe dal greco la scrittura musicale diviene un po’ più impermeabile alla dimensione concettuale e più attenta, invece, all’assetto retorico-formale della poesia, come si evince già in Alla foce dell’Ebro. In questa prima lirica, infatti, il fitto gioco imitativo tra le voci, che si scambiano brevi cellule motiviche, retrogradate e invertite, parrebbe seguire una logica musicale indipendente dal dato semantico del testo: da qui la “purezza” della costruzione sonora. Una breve carrellata di tutte e cinque le Strofe metterà in luce gli aspetti che si muovono in questa direzione accanto ad altri più tradizionali.

Alla foce dell’Ebro presenta, come le altre liriche, una netta divisione formale, che rispetta la bipartizione strofica della poesia: vi sono infatti tre episodi strumentali che incastonano le due quartine. Un breve preludio, nell’area tonale di Mi maggiore, introduce un’atmosfera festosa, creata soprattutto dal motivo basato su una cellula ritmica puntata affidato ai flauti I e II e contrappuntato da una scala discendente (di Mi Maggiore) del clarinetto in Si bemolle (es. 22).

A b. 13 subentra un episodio Moderato in cui il canto (come recitativo) intona la prima strofa con una melodia ad arco: il motivo, prevalentemente ascendente, sui primi due versi, raggiunge la nota più alta e l’intensità maggiore su «forte suono scorri» (in evidente connessione in tal caso col significato delle parole); la linea melodica discendente sugli ultimi due ritorna alla nota iniziale Mi bemolle enarmonico del Re diesis.

Es. 22, Alla foce dell’Ebro, bb. 1-5, clarinetto in Si bemolle, flauti I e II

Segue un interludio strumentale, dal carattere Risoluto, dove gli strumenti entrano a canone fino a che l’intera orchestra, alle bb. 43-45, tesse una rete intricata di micro-imitazioni con figure a chiasmo tra le voci (l’es. 23 mostra un chiasmo tra oboe e clarinetto in Si bemolle).

Es. 23, Alla foce dell’Ebro, bb. 43-45, clarinetto in Si bemolle, oboe, flauti I e II

Per la seconda strofa, sebbene la situazione espressiva suggerisca un’intonazione più soffusa, delicata e magari anche più lenta, Prosperi accentua il clima gaio e festoso, affidando alla voce il motivo che nell’introduzione era eseguito dai flauti; quest’ultimo è reiterato dagli archi e da b. 53 dall’intera orchestra, in un tripudio raggiante cui contribuiscono il glissando dell’arpa e gli sforzati del pianoforte. La lirica si conclude con la ripresa del canone dell’interludio, che, anziché sfociare, come a b. 43, in un blocco brulicante di imitazioni, si dissolve nei pizzicati in diminuendo degli archi e nel lieve accenno dei flauti.

La seconda Strofa, differente dalla prima nel tempo (Largo) e nel carattere, consta di tre sezioni molto simili. Su un tessuto strumentale limpido e cristallino Prosperi impiega una serialità difettiva e con ripetizioni, pur rimanendo ancorato alla tonalità: dopo una cadenza V-I (b. 3, settima di dominante costruita sul Re che risolve sul Sol), l’ottavino, in modo espr., stende una

serie completa, in contrappunto con l’oboe (b. 5), che ne esegue la retrogradazione difettiva dal nono suono (Mi) al secondo (Fa). Le prime cinque battute sono riproposte un tono sotto, con in più la voce che canta i primi due versi (bb. 7-10) in stile recitativo. Nella terza e ultima sezione gli strumenti fanno una sintesi dei due episodi precedenti, mentre il canto sul terzo verso si scioglie in un arabesco melodico, ovvero la serie più cinque note (ripresa in eco subito dopo da ottavino e oboe), che sembra riverberare la musicalità del verso. Raggiunto l’apice, il f sul La di b. 13, il canto con una linea melodica discendente per gradi sull’ultimo verso scema in diminuendo.

Per la logica dell’alternanza, la terza lirica è un Allegro (brioso). Tra il richiamo confuso degli uccelli nel cielo, l’artificio retorico dell’anafora, e la particolare forma di Rondò scelta da Prosperi (in cui oltre al refrain si ripresenta uguale anche il couplet:, secondo lo schema ABA’B’A’) sembra esserci una segreta corrispondenza: in tutti e tre i casi vige il principio del “ritorno”. I refrain sono solo strumentali: nel primo, su un pedale di Re sostenuto da arpa e pianoforte in ottave sciolte, violini I e II, con un senso di agitazione fremente, eseguono una serie di dieci suoni, organizzata in due cellule ritmiche che si ripetono una volta ciascuna. Nei due couplet – in tempo Andantino (moderato e con grazia) – Prosperi impiega una scrittura vagamente puntillistica: su un tremolo degli archi i vari strumenti si scambiano tra loro frammenti motivici, dando vita ad un misterioso paesaggio sonoro che fa da sfondo alla melodia del canto. Le linee melodiche seguono la sintassi piuttosto che il metro; sul primo verso infatti la melodia chiude su «voce», mentre «liberi», che appartiene all’enunciato linguistico successivo, ha un inciso a parte. Allo stesso modo è isolato il motivo su «confusamente si lamentano» – la prima metà del terzo verso, chiusa da un limite sintattico forte come il punto e virgola – che riprende in eco l’ottavino. Su «confusamente», peraltro, l’intervallo di sesta maggiore seguito dal minore genera un’impressione di disorientamento, facendo pensare ad un madrigalismo (es. 24). I due refrain successivi consistono entrambi in una ripresa abbreviata del primo, ovvero nell’identica ripetizione delle bb. 9-14. Il secondo couplet (bb. 49-70) è a sua volta una versione accorciata del precedente. Su «e l’eco che non tace amica dei deserti», il canto intona una melodia cromatica, raddoppiata da quasi tutti gli strumenti a fiato, la cui cellula iniziale di cinque note era già stata eseguita da violoncelli e contrabbassi alle bb. 40-42. In tutta la lirica, del resto, frammenti della melodia del canto sono continuamente ripetuti, raddoppiati e anticipati dagli strumenti, in un sottile e fascinoso gioco di richiami e rispondenze.

Nella quarta strofa, un Andante (sostenuto e agitato), l’impeto irrefrenabile di Eros è reso da sforzati, pizzicati, accordi pieni e ripetuti. Una serie completa è esposta all’inizio: la prima e l’ultima nota sono eseguite dai violini I e II, le restanti dieci dai flauti I e II, in una costruzione quindi ad arco (bb. 1-8). I violini inoltre hanno un disegno ritmico (es. 25), che ritorna nel pezzo a mo’ di Leitmotiv.

Come nella prima strofa, Prosperi si sbizzarrisce in una serie di giochi speculari di retrogradazione e permutazione di cellule melo-ritmiche, su degli accordi sforzati del pianoforte di cinque note (Fa - La bemolle - Do bemolle - Mi bemolle - Sol). Alcuni espedienti, tuttavia, come il salto di ottava discendente su Eros, il profilo melodico tortuoso della voce, gli sforzati e le dissonanze, sono gli stessi impiegati, nei Tre frammenti di Saffo, per la lirica centrale dedicata ad Eros. La stessa tematica suggerisce pertanto dei mezzi simili.

Es. 25, Eros, bb. 1-2, violini I e II

Dormono le cime dei monti è un Adagio accompagnato solo da strumenti ad arco, in cui non vi è alcun riferimento alla dodecafonia. La riduzione dell’organico strumentale (gli archi poi suonano quasi sempre in sordina) crea un’aura di silenzio incantato, consono al momento della notte in cui tutti gli esseri viventi si addormentano. Alcuni aspetti rendono la lirica simile ad una Fuga: il Tema o Soggetto è esposto dal violino I in Do, con un riferimento nell’ultima battuta alla dominante Sol per via del Fa diesis. La Risposta della viola I è alla dominante Sol e il Controsoggetto del violino che l’accompagna è alla dominante della dominante Re. L’accordo dell’arpa a b. 10 indica una nuova tonalità (Mi bemolle: sottodominante di Si bemolle). Il Soggetto del canto e dei violini II è in Si bemolle, il Controsoggetto dei violini I è alla dominante Fa maggiore, mentre le viole e i violoncelli hanno delle parti libere sempre in Si bemolle. Alla fine c’è uno stretto nella tonalità iniziale. I procedimenti contrappuntistici sembrano sancire l’autonomia della costruzione musicale dal livello semantico-espressivo del testo. Ad un livello più profondo, tuttavia, testo e musica potrebbero incontrarsi nel momento in cui la scrittura polifonica assimila la compresenza e l’intreccio dei vari luoghi (cielo, terra e mare) abitati dagli animali. A b. 16 peraltro un breve episodio accordale fa da cesura alla prima strofa e accompagna

la seconda, creando un clima un po’ spettrale e cupo, adatto ai versi che descrivono le bestie sotto terra. L’ultima strofa è sostenuta da un ingresso a canone degli archi e si conclude con una coda strumentale che risolve su un accordo di Fa maggiore.

Le Cinque strofe dal greco furono eseguite per la prima volta a Napoli nel 1954 dal soprano Luciana Gasperi e dall’Orchestra Sinfonica Alessandro Scarlatti di Napoli, diretta da Roberto Lupi. Delle liriche esiste anche una riduzione per canto e pianoforte, stesa da Prosperi un anno dopo, che però soffre della mancanza di varietà e ricchezza dei timbri strumentali dell’orchestra.