• Non ci sono risultati.

Primi incontri con la seconda Scuola di Vienna

I primi contatti di Dallapiccola con l’opera di Arnold Schönberg furono abbastanza precoci. Nel 1921 si procurò una copia dell’Harmonielehre (Manuale di armonia, 1911), dopo averne letto una recensione negativa di Pizzetti, e tre anni dopo, nella Sala Bianca di Palazzo Pitti, ascoltò il Pierrot lunaire, diretto dal maestro viennese. Entrambi gli eventi svolsero per Dallapiccola un ruolo di iniziazione; ricordando il periodo in cui lesse il Manuale di armonia, il compositore sentì il bisogno di esprimersi con Joyce: «How life begins»25 e, a proposito, del Pierrot lunaire, scrisse: «Un incontro, si sa, può decidere di tutta una vita, o almeno di un orientamento. E il mio

21 L. Pinzauti, Dallapiccola e Firenze, in Dallapiccola. Letture e prospettive. Una monografia a più voci, a c. di M. De Santis,

Milano, Ricordi, 1997, p. 422.

22 L. Dallapiccola, «Ringraziamento», in «Antologia Vieusseux», XI, 1-2, gennaio-giugno 1974, p. 21. 23 G. Montecchi, Attualità di Dallapiccola, in Dallapiccola. Letture e prospettive cit., p. 390.

24 L. Dallapiccola, Genesi dei «Canti di Prigionia» e del «Prigioniero», in Parole e musica cit., pp. 408-409. 25 L. Dallapiccola, Presentazione della Harmonielehre, in Parole e musica cit., p. 240.

orientamento fu deciso la sera del primo aprile 1924, quando vidi, sul podio della Sala Bianca di Palazzo Pitti, Arnold Schönberg dirigere il suo Pierrot lunaire»26.

L’incontro con l’opera degli altri due grandi esponenti della seconda Scuola di Vienna avvenne nell’ambito dei festival organizzati dalla SIMC e del festival di musica contemporanea della Biennale di Venezia. Nell’aprile del 1934, infatti, ascoltò a Firenze, sede del XII festival della SIMC, la Lyrische Suite di Alban Berg, e, pochi mesi dopo, a Venezia, ebbe occasione di ascoltare la cantata Der Wein e conoscere personalmente l’autore. Nel 1935 sentì a Praga, in occasione del XIII festival della SIMC, le Variazioni op. 31 di Schönberg e il Concerto op. 24 di Anton Webern. Di Webern ascoltò a Londra, nel 1938, la cantata Das Augenlicht op. 26, considerata da Dallapiccola una delle composizioni migliori del maestro viennese. Di essa, insieme alle Variazioni op. 27 e al Quartetto op. 28, pubblicò una recensione sulla «Rassegna musicale» nel 193927.

I festival di musica contemporanea furono le uniche occasioni che permisero a Dallapiccola e ad altri musicisti italiani di conoscere l’opera dei tre compositori viennesi. Reperire le loro partiture e i loro scritti era estremamente difficile, fino a risultare pressoché impossibile durante gli anni della guerra. Peraltro, come ricorda Dallapiccola nel suo scritto Sulla strada della dodecafonia, nel decennio prima della seconda guerra mondiale, la tendenza imperante era il neoclassicismo, e la dodecafonia sembrava essere stata soltanto un breve episodio ormai accantonato. L’avvento di Adolf Hitler in Germania aveva posto fine ad ogni esecuzione pubblica di musica atonale28.

L’interesse per la dodecafonia, in un momento in cui essa sembrava destinata a scomparire, è un ulteriore esempio della propensione di Dallapiccola alla “non attualità”. Nel ripercorre il cammino che lo aveva condotto all’adozione del metodo dodecafonico, il compositore ricordò le difficoltà di una ricerca compiuta senza l’ausilio di trattati specifici, come i successivi e importantissimi volumi di René Leibowitz, e senza partiture. Questo percorso solitario era diventato per Dallapiccola motivo di orgoglio: «Chi voleva intraprendere il cammino verso la dodecafonia doveva contare esclusivamente sulle proprie forze. (A distanza di anni posso dire di essere felice di aver compiuto un così grande sforzo da solo; nonostante tanti errori)»29.

Nello scritto Sulla strada della dodecafonia, Dallapiccola, con una sincerità e naturalezza disarmanti, narra come, in assenza di trattati specifici, la lettura di James Joyce e di Marcel Proust gli avesse dato validi stimoli per la comprensione e l’acquisizione del metodo dodecafonico. I due scrittori gli avevano fatto comprendere meglio ciò che aveva solo intuito ascoltando le Variazioni

26 L. Dallapiccola, Sulla strada della dodecafonia, in Parole e musica cit., p. 448.

27 Oggi in L. Dallapiccola, Anton Webern («Das Augenlicht», «Variazioni» op. 27, «Quartetto» op. 24), in Parole e musica cit.,

p. 225.

28 L. Dallapiccola, Sulla strada della dodecafonia cit., p. 451.

29 Ivi, p. 453; cfr. anche F. Nicolodi, Luigi Dallapiccola e la Scuola di Vienna. Note in margine a una scelta, in Orizzonti

op. 31 di Schönberg al festival di Praga: la differenza tra la musica classica (ovvero la forma- sonata che ne è la massima rappresentante) e la musica seriale30. Nella musica classica il tema è spesso trasformato melodicamente, mentre lo schema ritmico non subisce modifiche; nella musica seriale la trasformazione è data all’articolazione dei suoni, indipendentemente dal ritmo. Riassumendo, la cura del vocabolo e la tecnica delle assonanze in Joyce gli avevano fatto comprendere «sino a qual punto, in musica, una identica successione di suoni potesse assumere un diverso significato, a condizione di essere articolata in modo differente»31. Sull’influenza di

Marcel Proust il compositore si sofferma ancora di più: la tecnica dello scrittore francese ingenera una riflessione sulla dialettica e sul nuovo senso costruttivo del sistema dodecafonico. Per Dallapiccola, anche se nel sistema dodecafonico non esiste più l’attrazione dominante-tonica, permane tuttavia una forza di attrazione che egli chiama polarità, consistente in una serie di rapporti raffinatissimi tra i suoni, non sempre facilmente individuabili; nella serie, pertanto, un intervallo finirà con l’assumere un’importanza maggiore rispetto agli altri, imprimendosi nella memoria. Nella Recherche du temps perdu, Albertine, nominata per la prima volta nel primo volume di À l’ombre des jeunes filles en fleur, è associata al termine inglese fast: «Elle sera sûrement très fast», che per il contrasto con la lingua francese, s’imprime nella memoria del lettore. Il nome di Albertine sarà citato altre volte, ma soltanto nel terzo volume di À l’ombre des jeunes filles en fleur il personaggio entrerà definitivamente in scena. Si avrà, così, nel momento in cui Swann vedrà Alberatine per la prima volta, ciò che Dallapiccola chiama la «definizione ritmica e melodica» del personaggio. Il compositore confronta la tecnica di presentazione di un personaggio adottata da Proust con la tecnica usata nel romanzo classico, e cita l’esempio di Padre Cristoforo nei Promessi sposi: il Manzoni, diversamente da Proust che dilata la conoscenza del personaggio nel tempo, ha cura di presentarci dettagliatamente Padre Cristoforo al suo primo apparire. Allo stesso modo, nella prima parte della forma-sonata (esposizione) sono presentati i due temi contrastanti tra loro. Scrive Dallapiccola: «I personaggi (i temi) devono essere chiaramente definiti sin dall’inizio. […] L’articolazione ritmica del miracoloso tema non muterà mai, nonostante tante sensazionali avventure in campo armonico e timbrico»32.

Dallapiccola giunge così alla conclusione che la «differenza fondamentale» tra musica classica e seriale è «una differenza che riguarda la dialettica»33; nella musica seriale non incontreremo subito un personaggio definito melodicamente e ritmicamente, ma dovremo aspettare. La «definizione ritmica e melodica» di Albertine giunge in ritardo ed è preparata dalle tante situazioni in cui gli altri personaggi la citano; allo stesso modo «prima di arrivare alla

30 Sull’argomento cfr. J. Noller, Dodekaphonie via Proust und Joyce. Zur musikalischen Poetik Luigi Dallapiccolas, «Archiv für

Musikwissenschaft», LI, nº 2, 1994, pp. 131-44.

31 L. Dallapiccola, Sulla strada della dodecafonia cit., p. 454. 32 Ivi, p. 458.

definizione ritmica e melodica della serie, potremo trovarla condensata in aggregati sonori, differentissimi fra di loro e per densità e per timbro. È tuttavia verosimile che in alcuni di essi sarà percepibile il senso della polarità, quasi per stabilire un primo contatto tra il compositore e l’ascoltatore»34.

Ci si è soffermati su questo scritto perché, se nell’avvicinarsi al metodo dodecafonico Dallapiccola ha attinto da Joyce e Proust, ciò non è avvenuto soltanto per l’assenza, in quel periodo, di trattati specifici sulla dodecafonia, ma per una congenialità del compositore con i procedimenti letterari. Il suo costante richiamo alla letteratura non si esplicò soltanto nell’analisi e nel confronto di testi d’autore, ma anche nella ricerca di similitudini tra la sfera verbale e quella musicale. Alla luce delle riflessioni su Joyce e Proust, non si può non tener conto dei passi, contenuti in altri scritti, in cui Dallapiccola ha ribadito la maggiore efficacia, per le sue scelte compositive, delle traduzioni dei lirici greci di Salvatore Quasimodo, rispetto a quelle di Romagnoli. È ipotizzabile che nei testi adoperati nelle prime composizioni interamente dodecafoniche, il compositore abbia cercato quell’aspetto generale che tanto lo aveva colpito in Proust e che potremmo definire dilatazione nel tempo di un evento. Nel secondo capitolo della prima parte del nostro lavoro, nel paragrafo destinato all’analisi dei testi, si è notato come Quasimodo, diversamente dal Romagnoli, eviti di circoscrivere le situazioni e l’uso di immagini esornative. Ciò conferisce ai testi un carattere vago e imprecisato, ribadito dal compositore come una cifra stilistica importante al fine della scelta di musicare i versi.