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L’interesse per i Sex Carmina Alcaei

II. 9 «A proposito dei Cinque Canti»

III.2 L’interesse per i Sex Carmina Alcaei

Al corso della Biennale partecipò anche un gruppo di trenta brasiliani, provenienti da una scuola che era stata fondata e diretta in Brasile da Kollreuter, un compositore e direttore d’orchestra tedesco che aveva lasciato la Germania dopo il 1933. Tra questi brasiliani c’era una pianista e compositrice, Eunice Catunda, che strinse amicizia con Maderna e Nono. Ricorda quest’ultimo:

«Erano gli anni del fronte popolare, con il loro violento clima di rottura, e Catunda era comunista. Bruno e io ci saremmo iscritti nel ’52, ma già allora partecipavamo praticamente alla vita del partito. Con Catunda c’era dunque una profonda identità di vedute e da lei ci vennero le prime informazioni sui ritmi del Mato Grosso, anticipando in certo modo la lezione che ci sarebbe giunta da Varese. La cosa più straordinaria che vivemmo insieme fu però la scoperta di Garcia Lorca, che Catunda conosceva già bene. Scherchen ci invitò a scrivere delle liriche: Bruno scelse quelle greche nella traduzione di Quasimodo, Catunda scelse Garcia Lorca, ed io presi un po’ delle une e un po’ delle altre. […] Ci trovammo così impegnati nello studio di Lorca, dei ritmi del Mato Grosso e dei ritmi dell’Andalusia. Bruno aveva un libro che conteneva uno studio particolare dei ritmi gitani, non i gitani in senso folklorico ma i gitani arabi del Muezzin, i cui canti utilizzano quarti e ottavi di tono»18.

Un carteggio di quegli anni fra Nono, Maderna e Dallapiccola mostra come i due giovani conoscessero le Liriche greche, e in particolare i Sex Carmina Alcaei19. È probabile che i due

compositori avessero studiato la partitura di Dallapiccola su suggerimento di Scherchen. Nell’Archivio «Luigi Nono», infatti, è conservato un manoscritto che, secondo Borio, risale al periodo del corso della Biennale; si tratta di un’analisi del compositore veneziano dei Sex Carmina Alcaei, di cui si riportano alcuni stralci:

«La tecnica polifonica e strumentale dimostra quale tesoro Dallapiccola abbia fatto del messaggio di Webern. I Sex Carmina Alcaei sono basati si di un’unica serie: in essa viene dato manifesto peso al carattere cromatico che informerà, poi, il principio unificatore di tutta l’opera. Anche l’uso frequente di semitoni concorrerà a creare quell’atmosfera della tipica tensione espressiva che assai di frequente caratterizza la musica di Dallapiccola. Gli intervalli della serie stanno ad indicare che essa viene considerata in relazione alla particolare poeticità del testo (vedi, ad esempio l’uso

17 Maderna e Nono occuparono una posizione importantissima a Darmstadt. Nel periodo della rigida applicazione

del metodo dodecafonico, essi, nella loro ostentata indipendenza da principi dogmatici, rappresentarono una via italiana alla serialità.

18 Intervista di Restagno a Nono, in Nono cit., pp. 22 - 23. 19 Cfr. qui parte II, cap. II, § 11.

frequente di intervalli come la terza minore, la seconda minore, la sesta maggiore e la terza maggiore).

Dalla serie originale Dallapiccola fa derivare le altre tre forme fondamentali: inversa, retrograda, retrograda inversa. Si chiude in questo limite indicato da Schönberg come le naturali dimensioni di ogni serie. Se nel Congedo di Savonarola egli, divisa la serie in tre frammenti, li spostava operando continue mutazioni nella serie originale, nei Sex Carmina Alcaei non usa più di questo mezzo, rispetta la successione degli intervalli come sono esposti nella serie originale; l’unica variante è nella loro varia interpretazione ritmica, e questo per puntualizzare il testo. Nella “Expositio” la voce propone la serie originale, poi la retrograda a ritmo variato […] La serie, adoperata quasi sempre nella sua totalità, passa tra i vari strumenti in modo frammentario, secondo una logica timbrica. Con ciò Dallapiccola minimizza l’idea di fraseggio lineare e del volume sonoro, rendendo così un ulteriore omaggio a Webern. Come somma dei movimenti frammentari di ogni strumento risulta un particolare effetto timbrico e di massa. Se Dallapiccola resta legato alle quattro forme della serie, questo non gli impedisce di illuminare, per motivi particolari e connessi all’espressività, alcune zone, con l’affidare ad altri strumenti frammenti o, alle volte, note isolate in raddoppio o no, anche questo secondo un principio di logica dodecafonica»20.

Questo testo si accompagna ad alcuni fogli di appunti in cui Nono ha ricopiato tutte le configurazioni ritmiche che la serie assume nelle diverse liriche del ciclo. Si presume che questo gli servisse, come sembra suggerire il dattiloscritto, per analizzare il rapporto tra la diversa interpretazione ritmica della serie – che è anche l’unica sua variante dal momento che viene sempre rispettata la successione degli intervalli – e il testo. Riguardo alla “poeticità” di quest’ultimo, Nono esprime un concetto non molto chiaro. Non si comprende bene, infatti, in che senso gli intervalli frequenti di terza minore, seconda minore, sesta maggiore e terza maggiore indicano una relazione della serie con la particolare poeticità del testo. Nono forse intende dire che il carattere eufonico e cantabile della serie, conseguenza della scelta di determinati intervalli, è da porsi in relazione alle immagini dolci e trasognate che spirano da questi frammenti sospesi nel tempo. Che il rapporto tra il testo e la musica nei Sex Carmina Alcaei fosse un aspetto che aveva incuriosito Nono si evince anche da una lettera di Dallapiccola del 16 novembre 1947:

«Mi parla anche delle Liriche greche. E dice che vorrebbe meglio conoscerle. Tutti e tre i fascicoli sono pubblicati da Suvini-Zerboni. L’esecuzione di Radio-Torino ebbe anche una grave manchevolezza: cioè l’omissione delle Due liriche di Anacreonte, che devono far da centro fra Saffo e Alceo21. Ritengo che sia questa una delle ragioni per cui Ella non si è reso conto esattamente di

ciò che volli fare (che ci sia riuscito o no, è un altro discorso); ma non ho inteso scrivere la musica in contraddizione al testo. Anzi: ho scelto un testo assai “vago” appunto perché volevo poter scrivere una cosa “vaghissima” pur adottando contorni fra i più precisi (canoni, ecc.) che si possano immaginare»22.

20 L. Nono, due pagine dattiloscritte conservate nell’Archivio «Luigi Nono», cit. da G. Borio, L’influenza di Dallapiccola

sui compositori italiani nel secondo dopoguerra, in Dallapiccola. Letture e prospettive, a c. di M. de Santis, Milano, Ricordi, 1997, p. 362. Senz’altro il manoscritto risale a dopo il 1947, come mostra la lettera citata più avanti del novembre di quell’anno in cui Dallapiccola spiega a Nono come procurarsi le Liriche greche.

21 Cfr. quanto si diceva nel cap. precedente.

22 Lettera di Dallapiccola a Nono del 16 novembre 1947, conservata presso l’Archivio «Luigi Nono» di Venezia, cit.,

Ancor più ricco di informazioni al riguardo è lo scambio epistolare tra Dallapiccola e Maderna, avviato già l’anno prima. La stima del giovane per il più anziano compositore venne ben presto ricambiata; fu Dallapiccola, infatti, a suggerire a Maderna di inviare alla giuria della SIMC la partitura del Concerto per due pianoforti, prescelta ed eseguita al Festival di Palermo- Taormina del ’4923. Maderna, a sua volta, corresse tutto il materiale dei legni del Prigioniero per la

prima assoluta diretta da Scherchen alla Rai di Torino nel dicembre 194924.

La lettera del giugno 1948, in cui Dallapiccola risponde ai quesiti maderniani sul rapporto testo-musica nei Sex Carmina Alcaei, è importante non solo in relazione ad alcune affermazioni riguardanti le caratteristiche del verso del poeta, ma anche per le motivazioni addotte da Dallapiccola circa la scelta di alcuni testi piuttosto che di altri: una rivelazione che getta una luce nuova sulla sua produzione lirica:

«Dunque: Ella dice che i versi di Alceo non suggeriscono lo svolgimento canonico. L’importante è vedere se, a dispetto delle mille difficoltà, la musica è espressiva o no, se contiene quel senso di primavera (N.3) o se non lo contiene, se potenzia lo stato d’animo assai indefinito dei versi o se lo indebolisce […]. Testo e musica! Eterno problema. Perché Alceo e non Kafka? Ella mi domanda. Ma un altro potrebbe domandarmi: Perché Kafka e non Alceo; con lo stesso diritto. A costo di sbagliare non credo che il verso debba costringere la musica al di là del “naturale”. E a questo proposito Le narrerò un curioso dialogo avuto a Roma mesi or sono con un umanista molto interessante. Aveva sentito Rencesval eseguito da Poulenc e Bernac e ne era rimasto colpito. Ma in lui si svegliò l’uomo che aveva studiato le lettere romanze e a un certo momento mi chiede: “Ma perché musicare un testo la cui pronuncia nessuno sa con esattezza quale fosse?”. Aveva colpito il centro del mio problema. Al che mi fu facilissimo rispondere, e senza voler fare un paradosso: “Per poter inventare io la pronuncia esatta, con l’accento musicale”. Ecco implicitamente spiegato come mai il mio istinto mi abbia portato sin dai miei giovani anni a rifuggire la “poesia perfetta”: ho scritto musiche e poesie popolari istriane, su testi di Jacopone, su testi del secolo XIII (Divertimento), sui cruschevoli testi del giovane Michelangelo, sul Laudario dei Battuti, su testi latini molto discutibili in quanto latino (Maria Stuarda ecc.), sui greci tradotti, cioè staccati, diversificati ormai dall’idea primigenia, su La Chanson de Roland. E medito altre cose; un grande spagnolo tradotto. Tutto questo Le sembra forse “intellettuale”? Può essere. Ma io sono lettore di Proust e di Joyce; né me ne pento: Molto ho imparato, in fatto d musica da questi due scrittori. (Assai più che non per es. da un qualsiasi Vito Frazzi o da quel poco che ho studiato di Ildebrando Pizzetti)»25.

Questa lettera offre un’ulteriore testimonianza del valore che per Dallapiccola rivestì la traduzione di Quasimodo, alla pari (o forse di più) dell’originale greco. Il compositore scelse di mettere in musica questi testi, non soltanto per una forte affinità con la cultura classica, ma anche perché affascinato dall’interpretazione personale che il poeta dava delle antiche voci dei melici greci. È peraltro la prima volta che il compositore non ripete frasi “confezionate”, frutto di quanto si poteva leggere allora su riviste e giornali circa il fatto che Quasimodo fosse riuscito a

23 Lettera di Dallapiccola a Maderna del 12 ottobre 1948, cit. in Romito, Lettere e scritti cit., p. 42. 24 Lettera di Dallapiccola a Maderna dell’11 agosto 1949, cit. in Romito, Lettere e scritti cit., p. 42. 25 Lettera di Dallapiccola a Maderna del 27 giugno 1948, cit. in Romito, Lettere e scritti cit., pp. 57-8.

ridarci «l’autentico spirito» dei lirici greci in italiano. Egli riconosce piuttosto – ed è proprio ciò che lo attrae – che le versioni del poeta sono “altro”, sono staccate dall’idea primigenia. Il rapporto “distaccato” che le versioni di Quasimodo instaurano con l’originale consente al compositore di ricreare una propria pronuncia, nonché di concedersi un ampio margine di libertà nel rapportarsi al testo.

Il carteggio fra i tre compositori mostra come, nello studio di Nono e Maderna sui Sex Carmina Alcaei, siano subentrate riflessioni sulla natura particolare dei testi. La scelta di entrambi i compositori di scrivere liriche su versioni di Quasimodo, pertanto, può essere letta in vari modi – un “seguire la moda”, un tributo a Dallapiccola – ma senz’altro non si può ignorare il peso esercitato su di loro da alcune affermazioni di quest’ultimo sui testi.

Nella produzione di Nono e Maderna, le liriche su versi di Quasimodo occupano naturalmente posizioni differenti (se non altro perché Maderna, essendo più avanti con gli anni di Nono, aveva all’attivo già diverse composizioni). Tuttavia, le liriche hanno segnato delle tappe decisive nel percorso di entrambi; nelle Tre liriche greche, Maderna ricorre per la prima volta alla dodecafonia, nelle due liriche – prive di un unico titolo –, Nono, non solo sperimenta la tecnica dodecafonica, ma impiega dei procedimenti canonici, riguardanti entrambi gli aspetti melodici e ritmici delle voci, che, ampiamente sviluppati, saranno alla base delle sue opere successive. Le liriche, pertanto, si pongono per entrambi come una prima declinazione delle scelte compositive abbracciate e sostenute da Darmstadt in poi.