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Il rapporto con Firenze

Nel maggio del 1922 Dallapiccola si trasferì a Firenze per continuare gli studi musicali avviati nella città natale. Ernesto Consolo, docente al conservatorio «Luigi Cherubini», gli impartì lezioni di pianoforte e lo presentò a Ugo Ojetti, scrittore e critico d’arte che, insieme alla moglie Fernanda, soleva accogliere in casa letterati e artisti di fama. Dallapiccola divenne insegnante di pianoforte della figlia di Ojetti, Paola, e, dalla conoscenza di una famiglia tanto prestigiosa, ricavò preziosi stimoli culturali e letterari, conoscendo personalità artistiche di spicco e informandosi sugli orientamenti letterari del tempo. Peraltro fu merito di Ugo Ojetti se Dallapiccola ottenne da d’Annunzio il permesso di musicare La Canzone del Quarnaro: egli ne fu riconoscente e dedicò a sua figlia Paola l’autografo della prima serie dei Sei Cori di Michelangelo Buonarroti il giovane, firmandolo «con grande e affettuosa amicizia»16.

Dallapiccola instaurò con Firenze un rapporto particolare; della splendida città ammirava la grande tradizione, da Dante ai protagonisti del Rinascimento, come Brunelleschi, Leonardo e Michelangelo, mentre non ne apprezzava il provincialismo culturale coevo.

Nel 1923 s’iscrisse al conservatorio dove conseguì il diploma di licenza normale di pianoforte (28 giugno 1923); studiò armonia e contrappunto con Roberto Casiraghi, Corrado Barbieri e, dal 1925, Vito Frazzi: tutti musicisti formatisi alla scuola di Ildebrando Pizzetti17.

Dei suoi insegnanti Dallapiccola serbò un grato ricordo, in particolar modo di Vito Frazzi, elogiato in un articolo sulla «Rassegna musicale» del 193718. Nel complesso, però, egli ritenne di non aver imparato molto dal suo apprendistato a Firenze e, nel dopoguerra, pensando

15 Ivi, p. 381.

16 D. Kämper, Luigi Dallapiccola cit., p. 13. 17 M. Ruffini, L’opera di Luigi Dallapiccola cit., p. 26.

agli anni di conservatorio, sarebbe divenuto sempre più critico, fino ad affermare che l’insegnamento della composizione non aveva avuto alcun influsso sul suo linguaggio musicale. Dallapiccola non era attratto dalla vita dei teatri d’opera e delle sale da concerto dei primi anni Venti, deplorava la mancanza di un contatto vivo con l’arte contemporanea europea e i limiti di una vita musicale che ruotava intorno alla ristretta cerchia di Pizzetti19.

In realtà la Firenze degli anni Venti presentava una vivace attività culturale che faceva capo alla rivista «Solaria» e al Caffè «Le giubbe rosse», punto d’incontro dell’intellettualità cittadina. In particolare «Solaria» ebbe il merito di dare ampio spazio alla letteratura europea, facendo conoscere agli italiani Proust, Joyce e Kafka, in un momento di chiusura provinciale imposto al Paese dal fascismo; la rivista fiorentina pubblicò, tra l’altro, nel 1930 la raccolta Acque e terre, prima tappa significativa di Quasimodo.

Gianandrea Gavazzeni ha sottolineato che Dallapiccola, anche se positivamente influenzato dal respiro europeo di «Solaria», non riuscì a instaurare rapporti autentici con gli esponenti del foglio fiorentino, ad eccezione di Arturo Loria e Alessandro Bonsanti20. Nella

seconda metà degli anni Trenta, il legame di Dallapiccola con quest’ultimo si rinforzò (in virtù anche dell’amicizia sorta tra le rispettive consorti), in particolare nel periodo di «Letteratura», rivista che seguì «Solaria» nell’apertura europea e sulla quale apparvero tre scritti del compositore. Tuttavia Dallapiccola, nei primi quindici anni di permanenza a Firenze, cioè in pieno regime fascista, escludendo la famiglia Ojetti e poche altre conoscenze, tra cui Bonsanti, non frequentò i maggiori esponenti delle correnti letterarie della città e si tenne lontano dalle loro riunioni al Caffè «Le giubbe rosse». Il desiderio di tenersi in disparte dalla vita ufficiale lo indusse anche a rifiutare una collaborazione al «Frontespizio» di Bargellini. Se da una parte «Frontespizio» era una rivista cattolica (come lo era Dallapiccola) e mostrava una discreta modernità scrivendo, nel 1937, di Joyce e di Hölderlin, dall’altra esprimeva posizioni politiche filogovernative. Bargellini, infatti, durante la Guerra di Etiopia, sostenuta e giustificata dal gruppo del «Frontespizio», volle che la rivista seguisse maggiormente la linea del regime, dando ampio spazio a un intellettuale fascista come Barna Occhini. Questi, divenuto redattore, nelle ultime annate lanciò violenti attacchi all’ermetismo e più in generale a tutte le arti contemporanee. Nel 1938, inoltre, la posizione della rivista, riguardo al manifesto fascista sulla razza e all’avvio delle leggi antisemite in Italia, da ambigua divenne apertamente favorevole. Alla luce di queste considerazioni, il rifiuto di Dallapiccola di collaborare al «Frontespizio» non risulta tanto inspiegabile, se si tiene conto soprattutto del drammatico contraccolpo che le leggi razziali ebbero sulla famiglia del compositore, la cui moglie Laura, sposata il 30 aprile del 1938, era ebrea.

19 D. Kämper, Luigi Dallapiccola cit., p. 8.

Forte fu poi l’antipatia del compositore per Giovanni Papini e per la cerchia di fedeli che gli stavano intorno adoranti; questi ultimi, privi di personalità come i tanti musicisti che seguivano pedissequamente Pizzetti, riflettevano, a suo dire, l’immagine di una mediocre «Firenzina», contrapposta al mito di una Firenze dantesca21.

L’amore per la Firenze antica e la diffidenza per la vita musicale degli anni Venti e Trenta, il carattere «difficile» e l’estrema serietà nell’allacciare rapporti umani lo portarono a un isolamento, rotto da poche, ma buone, amicizie: «Non ho mai fatto parte della vita ufficiale della città, salvo in un paio di casi sporadici e di brevissima durata; però so che a Firenze posso contare su alcuni veri amici […] i quali mi hanno sopportato per tanto tempo e che, per quanto io sia ‘difficile’, mi hanno sempre voluto bene»22. Dallapiccola non partecipò concretamente al dibattito culturale del tempo. Il suo fu un dialogo interiore, attento ai nuovi orientamenti che passò al vaglio accogliendo di essi ciò che serviva allo sviluppo del proprio mondo artistico. Ciò spiegherebbe lo sforzo del compositore di ricondurre l’interpretazione delle sue opere “impegnate” su un piano universale e meno legato ad eventi storici determinati23. Peraltro,

Dallapiccola mostrò la sua “inattualità” anche nella scelta dei testi, il più delle volte molto antichi, nella ferma convinzione che versi vecchi di secoli fossero in grado di esprimere una condizione umana di ogni tempo e che, non essendo attuale solo ciò che si legge sui giornali, tra cronaca e storia ci fosse un solco profondo24.