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Non è più il tempo di Omero

Nell’introduzione al volume Lirici greci del 1951, Luciano Anceschi ricorda che in un pomeriggio di novembre del 1938, mentre conversava con Quasimodo, gli balenò un’immagine che non abbandonò più: quella di un’associazione tra due stagioni di poesia molto distanti nel tempo, la lirica greca e la poesia ermetica26. Quella del 1951 è la terza edizione dei Lirici greci. La

prima, come si è detto, era uscita per i tipi di «Corrente» nel 1940.

La rivista «Corrente», fondata nel 1938 da Ernesto Treccani, passò da un iniziale posizione di fascismo critico ad una linea decisamente antiregime; nel 1940, in prossimità dell’entrata in guerra dell’Italia, Mussolinì ordinò la sospensione del periodico, senza concedere agli autori neanche la possibilità di annunciarne la notizia sull’ultimo numero. I collaboratori della rivista, antifascisti come Luciano Anceschi, Renato Birolli e Dino del Bo, proseguirono la loro attività in altri àmbiti: sorsero infatti «Bottega di Corrente» per le arti visive, «Palcoscenico» per il teatro, e le «Edizioni di Corrente» per la letteratura27.

Il saggio introduttivo di Anceschi all’edizione del ’40 influì notevolmente sulla recezione del volume, al punto che, all’epoca, ogni giudizio critico sulle versioni di Quasimodo non poté non tener conto delle riflessioni dello studioso. Questi ritiene che ogni civiltà poetica, giunta a un buon grado di maturazione, sente la necessità di cimentarsi con l’antichità classica28. Diversamente dagli anni precedenti, però, la Grecia non è più rappresentata da Omero o dalla tragedia, bensì dai lirici: «Oggi, infine, nel nostro gusto e tempo (nascosto) del cuore al centro della poetica spiritualità della Grecia stanno i grandi lirici, e per essi noi daremmo tutto Omero – epico e narratore»29. La frase, che suscitò i più svariati commenti dei critici, divenne ancora più

incisiva nella prefazione di Anceschi alla seconda edizione dei Lirici greci del 1944: «Oggi, infine, nel nostro gusto e tempo (nascosto) del cuore al centro della poetica spiritualità della Grecia

25 S. Quasimodo, Poesia contemporanea cit., p. 273. 26 L. Anceschi, in LG 1951, p. 3.

27 V. Fagone, Introduzione alla ristampa di «Corrente», gennaio 1978. 28 L. Anceschi, in LG 1940, pp. 9-28.

29 Ivi, p. 15. La frase di Anceschi è in realtà una citazione di Properzio: «plus in amore valet Mimnermi versus

stanno i grandi lirici e per la loro violenta e rapida musica noi daremmo tutto il lento romanzo dell’epica»30.

Nel momento in cui l’epica aveva iniziato il suo declino, spiega Anceschi, la poesia greca aveva compiuto uno sforzo di purificazione, isolando i motivi lirici che nel romanzo epico erano dispersi in una pesante cornice retorica e narrativa. L’aspirazione alla brevità, alla concisione e all’illuminazione improvvisa concordava con la corrente poetica dell’ermetismo, che, nella sua ricerca di purezza, tentava di superare la pesantezza retorica degli anni precedenti31. Anceschi,

pertanto, nota una vicinanza di gusto tra correnti poetiche appartenenti a epoche molto lontane tra loro. Lo studioso va a ritroso e fissa le origini della disposizione per la poesia greca, ancora prima dell’ermetismo, in Hölderlin, Poe, Baudelaire e, per l’Italia, Leopardi, la cui rivalutazione si doveva molto alla «Ronda». Anceschi creava così una nobile discendenza per Quasimodo e l’ermetismo tutto. Le concordanze tra la lirica greca e la poesia moderna favoriscono nelle traduzioni del poeta una viva e attiva interpretazione della prima poesia dell’Occidente: una versione italiana né neoclassica né archeologica, che non imiti bensì ricrei l’atmosfera poetica antica. Il termine neoclassico, pertanto, assume nell’uso di Anceschi un’accezione negativa, poiché indica un’imitazione passiva del modello, in sintonia con le idee di Dallapiccola in proposito32.

Le traduzioni di Quasimodo, invece, sono il frutto di uno sforzo di contemporaneità artistica: il poeta cioè non ha impiegato un gergo prestabilito e fuori del tempo, ma ha ritrovato l’antica purezza dei testi greci in un linguaggio nuovo e attuale, che ne ha aggiornato, di conseguenza, anche i contenuti. La nuova lettura della poesia greca, pertanto, nasceva dal desiderio di un linguaggio franco e leale e dall’aspirazione alla «purezza lirica». Scrive Anceschi: «Nella ricerca, però, di una poesia veramente nuova e contemporanea – libera cioè dall’ornato pesante dell’archeologia e del culturalismo in un linguaggio più leale ed aperto – e, poi, soprattutto, nell’aspirazione al raggiungimento di una rigorosa purezza lirica si ponevano le condizioni di una più approfondita ed intima lettura degli antichi poeti».33

Tutti i grandi traduttori – oltre a Quasimodo, Ungaretti, Montale, Vigolo, Del Fabbro e Traverso – hanno tratto dai testi stranieri o antichi un suggerimento per nuovi motivi. Il poeta siciliano, peraltro, ha preferito tradurre solo quelle liriche che si confacevano al suo gusto poetico moderno, ovvero quelle più brevi ed essenziali, tralasciando le poesie più distese e di carattere celebrativo di Pindaro e Bacchilide.

30 L. Anceschi, in LG 1944, p. 18. 31 L. Anceschi, in LG 1940, pp. 9-28.

32 Una valutazione negativa molto simile a quella di Dallapiccola, cfr. cap. I, § 2. 33 L. Anceschi, in LG 1940, p. 14.

Liberare dal “mana” archeologico di un linguaggio morto la nostra maniera d’intendere gli antichi vuol dire, dunque, fare opera di nuova e sincera classicità. Quasimodo non impiega metri barbari, come hanno fatto taluni rappresentanti di una non troppo credibile filologia poetica (Anceschi si riferisce a Romagnoli), poiché tradurre significa rendere la poesia antica o straniera nell’unità metrica della lingua di arrivo. È per tale motivo che il poeta si è servito del verso più naturale della lingua italiana: l’endecasillabo. Del Romagnoli, invece, Anceschi riporta una versione di un frammento di Saffo, di cui sottolinea esplicitamente lo scarso valore poetico, definendola una «farsa domenicale»34.

Per tirare le somme, l’incontro tra gli ermetici e la lirica greca, sostenuto da Anceschi, è avvalorato dalle traduzioni di Quasimodo, che sono una lettura in chiave ermetica dei classici, resi in tal modo più vicini alla sensibilità dei contemporanei.

I Lirici greci sono stati ristampati diverse volte, sempre accompagnati da un saggio di Anceschi; nella seconda edizione del 1944, per la collana «I poeti dello “Specchio”» di Mondadori, l’introduzione subisce leggere modifiche, mentre alcune versioni appaiono sensibilmente diverse rispetto alla lezione del ’40. Nella successiva del 1951 per la collana «Biblioteca Moderna Mondadori», Quasimodo apporta ulteriori varianti alle traduzioni, precedute questa volta da un saggio di Anceschi del tutto nuovo. Segue l’edizione del 1958, ancora per i «Poeti allo specchio» di Mondadori, che riproduce l’introduzione del 1951, mentre sono ripristinati in gran parte i testi della lezione originaria del ’40. Questi ultimi saranno ripresentati nelle successive stampe del 1964, per «Opera Omnia» di Mondadori, del ’71, per le edizioni dei «Meridiani», del ’79, di «Varia classici», con un altro nuovo scritto di Anceschi Altre circostanze, per il libro e del 1985, per gli «Oscar» Mondadori. Sempre degli «Oscar» Mondadori è l’ultima edizione del 2004, dove compaiono anche le tre introduzioni del 1940, ’51 e ’79, a cura e con una postfazione di Niva Lorenzini.

Se il saggio introduttivo di Anceschi all’edizione del ’44 è molto simile al primo, nei Lirici greci del 1951, invece, lo studioso rivede, a distanza di tempo, le proprie posizioni, senza però alterarne la sostanza. È qui che Anceschi propone di ripartire l’attività poetica di Quasimodo in tre periodi, tre tempi che tuttavia non conoscono soluzione di continuità: la poesia ermetica, dalle prime prove a Ed è subito sera del ’42, le traduzioni dei lirici greci, e le raccolte più impegnate del dopoguerra. Tale tripartizione, come si è detto, verrà accolta dalla critica posteriore.

Anceschi si sofferma sul secondo tempo, inteso come un momento di silenzio creativo, in cui la traduzione ha rappresentato una necessaria ricerca di nuovi motivi poetici, un esercizio sulla parola altrui nell’attesa di ritrovare la propria. È legge della poesia e dell’uomo quella di cambiare. Gli avvenimenti tragici della guerra hanno in seguito accelerato il mutamento di Quasimodo,

spinto sempre più dall’esigenza di una comunicazione diretta, dal desiderio di partecipare con la sua poesia ai fatti concreti della vita di ogni giorno35.

Anceschi si chiede dunque se oggi il greco possa ancora affascinare l’animo moderno. Per rispondere alla questione, si appella al saggio di Renato Serra, Intorno al modo di leggere i greci, in cui l’autore si era soffermato sulla “perfidia” del greco, sulla nostra impossibilità e conseguente desiderio di possederne la poesia, sul continuo mutare sia del sentimento dell’animo moderno verso la Grecia sia del gusto per le traduzioni: un mutamento continuo ma mai un tramonto. Il Serra, inoltre, spiega come il rapporto con la classicità fosse inevitabilmente cambiato dopo la prima guerra mondiale: «l’urgere della guerra fa tramontare, col sogno di totalità, la persuasione che in quel mito si nasconda qualche cosa di sacro e di diverso: la possibilità tangibile della perfezione diviene irrimediabilmente inconciliabile col desiderio di realtà e la presa di coscienza del moderno»36. Sono parole che potrebbero risultare altrettanto valide per gli anni successivi al

secondo conflitto mondiale.

Nell’introduzione del 1951, infine, Anceschi riconosce, al di là delle concordanze tra ermetismo e lirica greca, che il successo dei Lirici greci era dipeso dal modo di tradurre arbitrario e personale (e infedele) di Quasimodo. Il poeta aveva forzato i testi, li aveva resi suoi in un impeto di violenza, come se le sue antiche origini siciliane e ancor prima greche si fossero risvegliate37.

L’ultima voce di Anceschi sull’argomento si fa sentire quasi quarant’anni dopo, nel saggio introduttivo all’edizione del 1979. La distanza di tempo consente ovviamente una maggiore obiettività. Il volume Lirici greci, che alle porte degli anni Ottanta appare ormai ben datato, aveva rappresentato invece all’epoca del suo esordio «l’opera nell’ambito dei significati, più inattesa, sorprendente, e, per certi aspetti, fortunata di un segreto faber della seconda generazione poetica di un lungo momento della letteratura che continuiamo a dire ermetismo»38. Le versioni avevano

trascinato con sé una tale ventata di novità da accelerare un mutamento del gusto sul modo di tradurre i classici. Esse avevano mostrato come il passato non si potesse museificare. Ne conseguì infine una moda, per cui quasi tutti si misero a tradurre poeti greci.

Pur a distanza di tempo, Anceschi non abbandona l’idea di un’affinità tra poesia lirica ed ermetismo e delle traduzioni di Quasimodo come lettura in chiave ermetica dei classici. C’è però una domanda a cui lo studioso non ha mai potuto trovare risposta e cioè se «l’intenso interesse per gli antichi significhi l’oscuro principio di un nuovo fare, o l’acuirsi degli stimoli di un’arte al

35 L. Anceschi, in LG 1951, pp. 4-7.

36 R. Serra, Intorno al modo di leggere i Greci, in «La Critica», 1924. Dopo in Id., Scritti, a cura di G. de Robertis e A. Grilli,

Firenze, Le Monnier, 1938, pp. 467-498: 470.

37 L. Anceschi, in LG 1951, p. 9. 38 L. Anceschi, in LG 1979, pp. 1-2.

tramonto». I Lirici greci si trovarono a conclusione di «un’allegria che nascondeva il prepararsi di oscuri naufragi»39.