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Le scelte poetiche di Petrassi tra gli anni Venti e Quaranta

II.4 Lo stile dei testi e la traduzione

I.1.2 Le scelte poetiche di Petrassi tra gli anni Venti e Quaranta

Accanto ai vasti affreschi sinfonico-corali come il Salmo IX, vi è una parte della produzione di Petrassi più concentrata e meno appariscente: una messe di liriche per canto e pianoforte, scritte tra il 1926 – gli inizi della sua attività – e la metà degli anni Quaranta, che testimoniano le predilezioni poetiche del compositore.

25 Ivi, p. 42. 26 Ivi, pp. 48-49.

Da principio Petrassi si cimenta con i crepuscolari, in Salvezza (1926) e La morte del cardellino (1927) su parole di Guido Gozzano e in Per organo di Barberia (1927) su testo di Sergio Corazzini, con poeti quindi che si muovono su un registro lontano dall’enfasi, che stabiliscono con la realtà e le cose circostanti un rapporto più intimo, che assumono un atteggiamento ironico lontano dall’erosimo sublimato di d’Annunzio27. La resa musicale di Petrassi asseconda il tono

dimesso e disincantato dei versi, sebbene alcune pungenti dissonanze al pianoforte vivacizzino la pacata ed eufonica linea melodica del canto.

Nel 1930 Ricordi pubblica una raccolta di Canti popolari della campagna romana, canti del Gallicano del Lazio (stando alla dicitura riportata nella partitura in fondo), trascritti e armonizzati da Petrassi e Giorgio Nataletti tre anni prima. Il canto presenta un accompagnamento pregno di dissonanze, in cui compare una figurazione, caratterizzata da un accordo di volta, assai frequente nelle liriche per canto e pianoforte di Petrassi, come si vedrà meglio in Tramontata è la luna, prima delle Due liriche di Saffo.

Con Tre liriche antiche italiane (1929), la seconda e la terza su testi di anonimi del Duecento mentre la prima su versi dello stilnovista Guido Cavalcanti, il compositore rientra nel generale culto dell’antico, abusando nella scrittura musicale di arcaismi diatonici. Nelle liriche successive Colori del tempo (1931) su testi di Vincenzo Cardarelli si avverte una divaricazione tra una scrittura pianisitca “moderna” e dissonante e una melodia vocale più classica e dolcemente cantabile, che era già in nuce nei tentativi precedenti. I testi di Cardarelli Autunno e Un mattino sono forme metriche libere, di ascendenza leopardiana, in cui spicca il valore musicale dei versi28. Il

cromatismo e le armonie per quarte della scrittura pianistica si oppongono al melodizzare più sciolto e tradizionale del canto. Nelle due liriche inoltre vi è un uso abbondante di madrigalismi, ad esempio le volatine al pianoforte, nella prima, in corrispondenza delle parole «vento» e «rapido» o il disegno circolare di quintine di semicrome nella seconda che allude senza equivoci alla «danza»29.

Il distacco tra una scrittura pianistica in cui Petrassi sperimenta novità armoniche e timbriche e la linea semplice del canto emerge ancora nel Vocalizzo per addormentare una bambina del ’34, una ninna-nanna dedicata alla figlia di Casella, Fulvia: la voce canta all’inizio con la vocale “a” un po’ chiusa quasi una “o”, poi verso la fine a bocca chiusa. Nella parte del pianoforte si ritrovano stilemi che poi compaiono nelle Due liriche di Saffo, come il disegno dell’accordo di volta, le terzine con salti di nona, la proposizione su gradi diversi di una stessa cellula melodica. Questi

27 La morte del cardellino e Per organo di Barberia sono inedite, mentre Salvezza uscì nel 1926 per le edizioni F.lli De

Santis. I manoscritti di queste e delle liriche successive si trovano all’Istituto di Studi musicali «Goffredo Petrassi» sostenuto dalla Regione Lazio e gestito dal Campus Internazionale di Musica di Latina.

28 Su Cardarelli, Leopardi e la «Ronda» cfr. qui parte I, cap. I, § 2.

29 Lo stesso madrigalismo è impiegato da Dallapiccola nel quarto dei Cinque frammenti di Saffo, in riferimento alla

stilemi, però, trattandosi di una ninnananna in 6/8, vengono ripetuti costantemente, creando un senso di incantamento cullante.

Del ’34 è anche la lirica Benedizione ispirata al passo della Genesi in cui Isacco, ingannato, benedice il figlio Giacobbe in luogo del primogenito Esaù. È la prima volta che Petrassi affronta un tema biblico; purtroppo però non riesce a liberarsi dagli influssi dell’ideologia e del gusto dominanti. Come la classicità latina, e in minor misura quella greca, infatti, anche il tema religioso, e in particolare quello biblico, fu spesso manipolato dalla politica culturale del regime, che lo sfruttò a fini celebrativi e di propaganda. In Benedizione vi è un’enfasi e una magniloquenza che difficilmente si riescono a dissociare da questo contesto. Nelle composizioni degli anni Venti e Trenta, peraltro, la tematica biblica comporta quasi sempre una serie di atteggiamenti arcaizzanti, che vanno dal recupero del gregoriano a quello della modalità, da una declamazione enfatica ad una compatta e massiccia costruzione architettonica. Nella lirica Benedizione si ritrovano tutte queste convenzioni: la parte vocale segue un declamato modaleggiante che aderisce strettamente al testo, mentre il pianoforte, diversamente dalle liriche precedenti, si riduce ad un semplice accompagnamento ritmico e armonico. Il risultato finale è una lirica dal clima statico e rituale (il metro iniziale è 4/2), dai toni magniloquenti.

Il primo incontro con la nuova poesia ermetica avviene nel Lamento di Arianna del 1936 su versi di Libero de Libero. Rispetto a Benedizione la scrittura musicale è totalmente diversa: il linguaggio è più essenziale, ricompaiono gli stilemi delle liriche precedenti, come la dislocazione su piani diversi di un disegno melodico, la parte del pianoforte si arricchisce di dissonanze di seconde e settime maggiori e minori. Frequenti ancora una volta i madrigalismi: subito dopo la parola «eco», ad esempio, il tempo diventa Più lento e il pianoforte stende accordi di risonanza che spaziano da un registro all’altro.

Da questa produzione emergono per originalità e complessità le Due liriche di Saffo del 1941 su frammenti della poetessa greca tradotti da Salvatore Quasimodo. Petrassi è il primo compositore a cimentarsi con le versioni del poeta, uscite solo l’anno prima per le edizioni di Corrente. La rivista, a cui il musicista romano era abbonato, nei mesi prima della sospensione aveva pubblicizzato l’imminente uscita in stampa delle traduzioni.

Se è vero che la guerra ha segnato una cesura nella musica italiana del Novecento, chiudendo un periodo di relativa unità culturale che si era manifestato in implicazioni nazionalistiche, di costume e di gusto, nonché nella scelta delle forme musicali e dei riferimenti poetici, allora è significativo che tra le ultime liriche da camera di Petrassi ci siano le versioni di Quasimodo. Il ripensamento poetico dell’antica lirica greca, resa attuale, suggerì al compositore l’idea di un ripensamento musicale parimenti attuale30. Petrassi non ricorre alla dodecafonia, come

Dallapiccola nelle Liriche greche sempre su testi di Quasimodo l’anno dopo, bensì porta a piena maturazione il linguaggio armonico che era andato via via sperimentando nelle liriche precedenti. Il canto è sciolto e spontaneo, attentissimo a cogliere ogni fremito e suggerimento dei versi poetici, mentre la scrittura pianistica, che privilegia la ricerca armonica e timbrica, è di un’accesa modernità: ricca di dissonanze di seconde e settime e di sovrapposizioni di quarte e quinte. La divaricazione tra i due linguaggi pianistico e vocale, che se anche informava di sé le liriche precedenti s’impone qui con maggiore evidenza, non impedisce di raggiungere un equilibrio dei contrasti che potremmo definire esemplarmente classico.

La stagione lirica di Petrassi termina con le Tre liriche per baritono e pianoforte del 1944, che insieme alle Due liriche di Saffo, rappresentano il vertice assoluto raggiunto dal compositore nel genere vocale da camera. Si tratta di tre liriche su testi di autori molto diversi tra loro: Leopardi, Foscolo e Montale. È interessante proprio notare come Petrassi realizzi musicalmente tali diversità. Fin dalle prime battute di ciascuna lirica, infatti, capiamo di trovarci in situazioni poetiche totalmente differenti l’una dall’altra. In Io qui vagando l’introduzione del pianoforte con accordi spaziati su registri lontani immette subito nell’atmosfera di incertezza e attesa della tempesta nei versi di Leopardi. La linea del canto ha un sapore arcano, con inflessioni modaleggianti, il climax musicale coincide con quello testuale sull’invocazione del poeta «O care nubi, o cielo, o terra, o piante». Anche in Alla sera, su sonetto di Foscolo, vi sono delle battute introduttive del pianoforte in cui ancora una volta emerge quella che è una cifra stilistica delle liriche da camera di Petrassi, ovvero lo sfruttamento delle posizioni late e dei registri estremi dello strumento. Non appena entra il canto la mano destra ribatte costantemente un accordo all’acuto mentre la sinistra alterna le note di una triade di Mi minore al grave: un accompagnamento statico che riflette la «fatal quiete» della sera. Le maggiori novità sono in Keepsake. La poesia di Montale, dalle Occasioni, è un puro nonsense; come annota il poeta stesso, il componimento consta di una sfilata di personaggi di varie operette, ridotti a pura esistenza nominale. La sollecitazione di Montale è chiara e a questa Petrassi risponde senza titubanza: così come la poesia presenta semplicemente una carrellata di nomi, in una successione senza senso e collegamento logico, così la musica è priva di coinvolgimento emotivo: si realizza il “moderno” incontro tra poesia e musica pure. La voce, come mai nelle precedenti liriche di Petrassi, si sbizzarrisce in ampi e improvvisi salti dall’acuto al grave, in rapide volatine e virtuosistici arpeggi. La misura e la compostezza con cui il canto aveva declamato i versi nelle altre composizioni vocali si ribalta, come se la voce avesse subito una scossa elettrica. Il metro ternario dà l’idea di una danza meccanica e grottesca: «Eppure – scrive Sablich – dalla scansione meccanica artificiale e quasi indifferente del testo, nelle figure musicali che l’accompagnano emerge alla fine una sorta di sublimata espressività, di dolorosa immedesimazione: si pensi al “grido” soffocato sul martellare

secco del pianoforte o alla chiusa rabbrividente nel singulto della voce sulle parole “e non danza più”». Insomma Petrassi pure di fronte ad un nonsense come la poesia di Montale, si pone nell’ottica di un testo, che pur privo dei tradizionali contenuti semantici, rimane tuttavia comprensibile, e su cui pertanto la musica può svolgere la sua funzione di sempre: intensificarne l’espressione.