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La via personale di Prosperi

II.4 Lo stile dei testi e la traduzione

I.3.1 La via personale di Prosperi

Come il suo insegnante Dallapiccola, Carlo Prosperi ricorse più volte alle traduzioni di Quasimodo: nei Tre frammenti di Saffo, per voce e pianoforte, del 1944, e nelle Cinque strofe dal greco, per voce e strumenti, del 1950. Nel 1984, peraltro, il compositore trascrisse i Tre frammenti di Saffo per voce e chitarra.

Nato a Firenze nel 1921, Prosperi a ventun’anni s’iscrisse al conservatorio «Luigi Cherubini» di Firenze, nella classe di Corno del maestro Rossi, diplomandosi nel 1940. Nella seconda metà degli anni Trenta cominciò gli studi di armonia con Roberto Cicionesi, cui seguirono quelli di composizione con Vito Frazzi. Nell’anno scolastico 1937-38, infine, entrò nella classe di Pianoforte complementare di Luigi Dallapiccola. Dopo aver preso parte alle tragiche vicende del secondo conflitto mondiale – arruolato fu mandato in Montenegro – e aver terminato gli studi anche di composizione, nel ’49, Prosperi sposò Maria Teresa Ulivi, sorella del letterato Ferruccio61. Questi, professore di Letteratura italiana a Roma, futuro studioso

manzoniano e romanziere, avrebbe guidato le scelte poetiche del giovane compositore.

61 Dal Montenegro, nell’estate del 1943, Prosperi rientrò fortunosamente in patria per una breve licenza. Fu così che,

Come narra la figlia di Prosperi, Giuliana, i rapporti del padre con i suoi insegnanti furono molto buoni: stimava il valore artistico di Vito Frazzi, e il rigore didattico di Cicionesi e di Roberto Lupi62. Su tutti, però, ammirava Dallapiccola, sia come insegnante e compositore, sia

come uomo e amico. Nel ricordare la figura del suo maestro, scomparso nel 1975, Prosperi ha lasciato una commossa testimonianza: «33 anni dopo, Dallapiccola telefonò a Bartolozzi e a me invitandoci a cenare insieme in una trattoria […] ci comunicò di avere terminato la partitura di Ulisse, “questa volta però mi sento stanco” soggiunse. In seguito pensai spesso a quelle sue parole. Dallapiccola stanco? Eravamo troppo abituati alla sua eccezionale vitalità intellettuale […] da quel giorno il mio affetto è stato più vicino e più fraterno»63.

Fra la produzione di Prosperi e quella di Dallapiccola vi sono delle corrispondenze nella scelta dei soggetti e finanche dei titoli delle composizioni. Il rapporto, tuttavia, non è a senso unico, ovvero non è stato sempre Dallapiccola a condizionare le scelte di Prosperi: se i Cinque frammenti di Saffo del più anziano compositore, infatti, precedono di un anno i Tre frammenti di Saffo dell’allievo, le Cinque strofe dal greco di Prosperi, per voce e orchestra da camera, risalgono al 1950, mentre i Cinque Canti di Dallapiccola, per baritono e otto strumenti, al ’56. Oltre alle liriche su testi di Quasimodo, esiste una relazione tra il Concerto d’infanzia per orchestra e una voce femminile (1957), dedicato da Prosperi alla figlia Giuliana e comprendente un brano indicato come “girotondo”, e il Concerto per Muriel Couvreux per pianoforte e orchestra di Dallapiccola (1939-41), anch’esso composto per una bimba e comprendente un girotondo. Il Concerto per la notte di Natale dell’anno 1956 di Dallapiccola, peraltro, è scritto per il medesimo organico del concerto di Prosperi. Il riferimento al mondo celeste, che traspare da In nocte per violino e chitarra (1964), In nocte secunda per chitarra, clavicembalo e sei violini (1968) e Costellazioni per clavicembalo (1971), accomuna queste opere di Prosperi a due composizioni di Dallapiccola: Piccola musica notturna per orchestra (che, a sua volta, rinvia a Mozart), scritta fra il 1953 e il ’54 e poi rielaborata per piccola orchestra da camera nel ’61, e Sicut umbra (1970), nel quale la disposizione delle note sul pentagramma crea visivamente le costellazioni astronomiche, un simbolismo grafico che il compositore aveva impiegato per la prima volta nei Cinque Canti. Un’altra interessante coincidenza si coglie fra Immagine per pianoforte di Prosperi e il Quaderno musicale di Annalibera di

Montenegro, sarebbe nata nel 1966 una delle opere più “impegnate” di Prosperi, Noi soldà, su testi di Giulio Bedeschi e Carlo Betocchi. Per Noi soldà, Prosperi prese spunto da Centomila gavette di ghiaccio di Bedeschi (Milano, Mursia, 1969). Il romanzo fu uno dei primi ad affrontare il dramma della guerra vissuto dai militari italiani mandati a combattere in Russia.

62 Prosperi inoltre apprezzava molto Petrassi, riconosceva tra i coetanei il valore innovativo di Berio e tra i giovani di

Sciarrino; cfr. una testimonianza di Giuliana Prosperi riportata da Cresti nella scheda Carlo Prosperi, in Firenze e la musica italiana del secondo Novecento, a c. di R. Cresti ed E. Negri, Firenze, LoGisma, 2004, pp. 415-18: 415.

63 Intende dire 33 anni dopo il loro primo incontro nella classe di pianoforte complementare; cfr. C. Prosperi, Ricordo

Dallapiccola, due lavori pianistici composti entrambi nel 1953, e costituiti da una serie di brevi frammenti basati ciascuno su un preciso aspetto della tecnica musicale64.

Come il suo insegnante, peraltro, Prosperi affianca alla composizione una discreta attività concertistica. Costituisce un duo con il cornista Domenico Ceccarossi, cui dedica due composizioni: Introduzione, Caccia e Ripresa del ’44, eseguita l’anno successivo al conservatorio dal Trio Rossi, Cellerai e Prosperi, e Segnali del ’77, eseguita lo stesso anno da Ceccarossi.

Profondamente diverso, invece, è l’atteggiamento dei due compositori nei confronti della dodecafonia: Dallapiccola si accosta al metodo con riverenza, sentito quasi come una necessità, impiegandolo in forme e modi sempre più rigorosi; Prosperi, d’altro canto, nutre verso la tecnica molte riserve, utilizzandola in maniera poco ortodossa. Nel panorama musicale internazionale degli anni Cinquanta-Sessanta, la posizione di Prosperi appare senz’altro conservatrice, soprattutto se paragonata alle accese sperimentazioni della neo-avanguardia di Darmstadt. Oggi, però, in una realtà dove la “cantabilità”, la melodia distesa, l’amore per gli impasti armonici e timbrici piacevoli all’orecchio, non sono più un tabù, la musica di Prosperi assume una dimensione più attuale. Come molti suoi colleghi italiani contemporanei, il compositore visse un conflitto tra il vivo desiderio di aprirsi al nuovo e il forte rispetto per la tradizione, tra l’urgenza di comunicare con la propria musica e la dolorosa consapevolezza di vivere in un un’epoca segnata dal dramma dell’incomunicabilità. Tale dissidio, che si rispecchia, peraltro, nella scelta di un testo di Montale, Marezzo, nell’omonima composizione per voce recitante, coro e orchestra del 1961, è ben espresso dalla figlia Giuliana: «Nell’opera di mio padre la musica, da espressione interiorizzata e singhiozzata, consapevole dell’incomunicabilità dell’uomo del nostro tempo, che la dodecafonia e l’atonalità ben interpretavano, ha mantenuto comunque un filo sottilissimo con la funzione di arte che pur in qualche modo deve raggiungere l’ascoltatore. Da qui la sua ricerca timbrica e sonora, la sua fruibilità pastosa, che non oscura in maniera definitiva l’esistenza di un pubblico che ascolti ed emotivamente partecipi alla manifestazione del disagio dell’uomo del Novecento»65.

Dopo i primi lavori degli anni Quaranta, basati fondamentalmente su ricerche poli- armoniche e politonali, Prosperi nel decennio seguente comincia ad accostarsi alla dodecafonia. La nuova tecnica, però, è usata alquanto liberamente; alla base delle sue opere dodecafoniche, infatti, non vi è una sola serie, ma più di una, secondo una concezione multiseriale, che Prosperi teorizza in alcuni suoi scritti66. Il compositore ritiene che la dodecafonia sia una disciplina troppo

64 Sulla comparazione tra le opere di Dallapiccola e Prosperi, e nello specifico sul rapporto tra i due compositori, si

sofferma in modo esaustivo P. Somigli nel suo libro di prossima pubblicazione La Schola fiorentina, Firenze, Nardini, (previsto per il 2007).

65 Testimonianza di Giuliana Prosperi cit., p. 417.

66 Cfr. in particolare C. Prosperi, L’atonalità nella musica contemporanea, Caltanissetta-Roma, ed. Salvatore Sciascia, 1957;

angusta, perché, per raggiungere l’unità stilistica, si basa su una sola serie di dodici suoni. L’impiego di più serie, invece, non solo garantisce lo stesso risultato, ma consente una maggiore varietà melodico-armonica. Prosperi, pertanto, a partire dalle Variazioni per orchestra del ’51, comincia a impiegare in una medesima composizione più serie, contravvenendo in tal modo a un principio fondamentale della dodecafonia: il divieto di ripetere una nota prima che si siano succedute le altre undici del totale cromatico. Dall’incontro di più serie dodecafoniche, infatti, nascono inevitabilmente delle ripetizioni di note, che acquistano peso rispetto alle altre, e finiscono talvolta con lo svolgere la funzione del vecchio centro di gravitazione tonale. La musica delle 12 note, intesa come amplificatio dello spazio diatonico, viene pertanto usata da Prosperi in modo nuovo e originale, sempre come mezzo e mai come fine. La personale concezione multi- seriale del compositore si pone come un compromesso tra il vecchio linguaggio tonale e la nuova dodecafonia, rappresentando una felice risposta al suo dissidio interiore.

L’interesse per la dodecafonia fu forse anche incentivato da esperienze nuove: dal 1950, infatti, Prosperi lavora alla RAI, prima a Torino e subito dopo a Roma, realizzando programmazioni di musica operistica, sinfonica e da camera. Il lavoro gli consente di incontrare importanti direttori d’orchestra come Tullio Serafin e Artur Rodziński. Nella seconda metà degli anni Cinquanta, peraltro, il compositore ottiene le prime esecuzioni importanti. Per citarne alcune, nel 1956, al Teatro comunale di Firenze, Hermann Scherchen dirige le Variazioni per orchestra; l’anno successivo le Quattro invenzioni e Filigrane furono eseguite rispettivamente alla Tribuna internazionale dei compositori di Parigi e al Festival internazionale di Nuova musica di Palermo. Nel ’58 lascia il lavoro della RAI per assumere la carica di insegnante di Armonia e contrappunto al conservatorio di Firenze.

Durante gli anni trascorsi a Roma, Prosperi non interrompe i rapporti con l’amata città di Firenze, mantenendo legami epistolari con Dallapiccola, Frazzi, Bartolozzi, Benvenuti e Company. Nel 1954 aveva partecipato, peraltro, alla fondazione della “Schola fiorentina”, insieme ad altri musicisti con cui si era frequentato fin dai primi anni Quaranta: Bruno Bartolozzi, Arrigo Benvenuti, Sylvano Bussotti, Alvaro Company e Reginald Smith-Brindle. La “Schola fiorentina”, più che un’associazione – non ebbe mai infatti un riconoscimento ufficiale, né si costituì intorno ad uno statuto – fu un sodalizio artistico di giovani compositori che, attratti dalle potenzialità del nuovo linguaggio dodecafonico, si riconoscevano nella guida spirituale di Luigi Dallapiccola. Come mostra la personale esperienza di Prosperi, tuttavia, l’approccio al metodo dodecafonico sortì risultati molto diversi per ognuno dei musicisti del gruppo. Dallapiccola, d’altro canto, nei confronti dell’iniziativa si pose in modo scettico, sia perché, dopo la Scuola di Vienna, dopo il Gruppo dei Cinque e il Gruppo dei Sei, l’idea di presentarsi all’esterno come un gruppo definito

gli pareva ingenuamente presuntuosa, sia perché era consapevole dei differenti talenti e potenzialità dei giovani compositori del sodalizio, che erano stati tutti suoi allievi.

Tornato nella città natale, il compositore amplia il proprio giro di amicizie; oltre ai colleghi compositori, frequenta lo scrittore e poeta, Carlo Betocchi, con cui stringe un profondo legame, il letterato Luigi Personè, il pittore Silvio Loffredo, gli scultori Michael Noble, Oscar Gallo e Quinto Martini. Nel ’69 succede a Roberto Lupi nella cattedra di composizione, che mantiene fino al 1989, un anno prima della morte. Collabora alle attività della Scuola di musica di Fiesole, è nominato membro della Classe Musica dell’Accademia nazionale «Luigi Cherubini», nonché dell’Accademia musicale Chigiana, e nel 1980 riceve dal Ministro della Pubblica Istruzione la Medaglia di Benemerenza della Scuola e della Cultura e dell’Arte. Giuliana Prosperi ha lamentato lo scarso interesse, se non il silenzio, che le istituzioni culturali di Firenze hanno mostrato per l’opera musicale del padre: «Anche se una celebrazione non viene mai rifiutata a nessuno, non mi risulta ad oggi che nessuna istituzione maggiore abbia ancora deciso di ricordare il decennale della scomparsa di Carlo Prosperi (avvenuta nel 1990) né mi risulta che il Teatro comunale di Firenze, dal 1990 in poi, abbia dedicato un qualsiasi spazio alla musica di mio padre. Eppure siamo di fronte ad una figura che ha operato per 20 anni in questa città ed ha anche collaborato alla gestione del Teatro in questione e di altri Enti»67. Recentemente la figura e l’opera

di Prosperi sono state rivalutate e diffuse dall’allievo Mario Ruffini, oggi compositore e direttore d’orchestra. Ruffini, nel 2005, ha organizzato una tavola rotonda «Carlo Prosperi e il Novecento musicale a Firenze»68, i cui atti sono in corso di stampa; ha anche curato la costituzione di un

fondo Prosperi, da poco ultimata, all’Archivio contemporaneo «Alessandro Bonsanti» di Firenze.