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Quia ipse totum scit Ipse per is o ille è comunissimo nel nostro testo Sulla

Edwards 13 Constantina C 14 lucerna et capitulata edd 17 acetabulum Baluze : acetrum Deutsch

16: unam ecclesiam 1.12-16 Secundus episcopus omnino Il soggetto anteposto rispetto alla congiunzione che introduce la subordinata temporale (cum venisset) deve intenders

21.8 Quia ipse totum scit Ipse per is o ille è comunissimo nel nostro testo Sulla

ristrutturazione del sistema pronominale si veda supra, comm. ad p. 9.10, pp. 67 ss. È possibile che in questo caso il pronome anaforico ipse, più accentuato di is, serva a conferire una certa enfasi all'affermazione ("si presenti il diacono Luciano; lui sì che sa tutto"). Al contrario, i successivi hi ed isti riferiti a Vittore e Saturnino conservano il loro valore proprio, riferendosi ai due imputati in piedi di fornte a Zenofilo per contrapposizione a un terzo assente che non è stato ancora fatto venire. 21.9-11 Hine sciunt ... nesciunt. Dapprima Nundinario risponde che Vittore e Saturnino non sanno nulla dei 400 folli; poi, dopo che Zenofilo ha dato ordine di convocare Luciano, precisa che in realtà essi sanno che qualcuno ha ricevuto il denaro, ma non possono sapere che sono stati i vescovi a spartirselo. Potremmo pensare che questo secondo intervento di Nundinario sia dovuto a un ripensamento: in prima battuta risponde recisamente nesciunt, ma dopo qualche istante si accorge di essere stato impreciso e fornisce chiarimenti. L'anteposizione del verbo rispetto al soggetto isti potrebbe forse avere proprio questa funzione correttiva (sciunt isti acceptos esse ... sed quia episcopi eos diviserunt nesciunt = "In realtà, loro sanno che i quattrocento folli sono stati ricevuti, ma che i vescovi se li sono divisi non lo sanno."). Allo stesso modo è da rilevare l'anteposizione della dichiarativa (resa con quia + ind.) retta da nesciunt, che ha la funzione di focalizzare il fatto principale (la spartizione del denaro tra i vescovi). In alternativa si può pensare che Zenofilo prenda la parola per ordinare la convocazione di Luciano quando ancora Nundinario non aveva finito di parlare e che quest'ultimo, dopo l'interruzione, continui la frase che aveva lasciato in sospeso. In tal caso avremmo un dialogo di questo tipo:

Zenofilo: "Questi qui lo sanno?" Nundinario: "No ..."

Zenofilo: "Si presenti Luciano!"

Nundinario "... loro sanno che i quattrocento folli sono stati ricevuti, ma che i vescovi se li sono divisi, non lo sanno".

In assenza di una registrazione, è difficile stabilire quale delle due situazioni pragmatiche sia la più verosimile: il piccolo indizio dell'anteposizione di sciunt mi fa propendere per la prima ricostruzione. Accipere è qui usato nel senso tecnico-giuridico di "prendere denaro

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come corruzione": cfr. Plaut., Truc. 760 (suscipio acceptae pecuniae = "sospetto di corruzione"); Cic., Clu. 75 (ut qui accipere in campo consuerunt = "come coloro che sono soliti vendere il voto nel Campo Marzio"). Si noti anche che il verbo è usato al passivo (acceptos esse folles), il che consente per il momento di omettere il nome di questi vescovi corrotti, di cui Vittore e Saturnino non possono conoscere l'identità. Di conseguenza, non si chiederà loro di indicare chi si sia intascato il denaro, ma se quel denaro sia stato ricevuto da qualcuno di diverso da quelli a cui spettava (ossia i poveri). 21.12 Scitis ... a Lucilla? Credo che la domanda (scitis acceptos esse folles a Lucilla?) non riguardi la fonte della donazione ("sapete che i soldi sono stati presi da Lucilla?", cioè "sapete che i soldi ricevuti venivano da Lucilla?", come traduce Edwards: "Do you know that folles were received from Lucilla?"), ma il fatto che i soldi donati fossero stata intascati da qualcuno in particolare ("sapete che i folli donati da Lucilla sono stati presi?", cioè non sono più nel luogo in cui venivano conservati né sono stati elargiti ai poveri, come si dirà in seguito). Se il focus fosse stato su Lucilla, il complemento di provenienza sarebbe stato probabilmente anteposto (scitis a Lucilla folles acceptos esse?), come accade coi complementi di agente (cfr. Gesta p. 19.19: ab harenariis factus est episcopus Silvanus; si veda supra, comm. ad loc., p. 95). 21.14 Nemo

nihil. Nella lingua parlata la doppia negazione non afferma, ma anzi rafforza la negazione.

Esempi di tale uso anche in Plauto (neque haud, neque nullus, neque numquam, haud non) e in Petr., Sat. 42, 7 (neminem nil boni facere oportet). Si veda HOOGTERP 1940, pp. 92-3. La doppia negazione si diffonde poi ampiamente nel latino tardo (si veda VÄÄNÄNEN 1982, p. 258). 21.16 Dontius. Ziwsa mantiene Donatus di C, corretto in Dontius sulla base di Gesta, pp. 17.18; 19.3 e 23.9, e così fa anche a p. 13.1 (cfr. supra, comm. ad p. 13.1, pp. 78 s.). Appare improbabile, tuttavia, che il redattore si sia sbagliato nel trascrivere un nome così importante come quello di Donato di Casae Nigrae, vescovo di Cartagine per ben 40 anni e massima guida della chiesa donatista, che a lui deve il proprio nome. Donato è infatti citato senza errori di grafia nella rubrica iniziale (Donatus successit [Maiorini]). Più verosimile che l'errore abbia investito un personaggio meno noto come Donzio. 21.18 suggesserit. Difficile spiegare l'uso del congiuntivo in questa relativa. Potrebbe essersi verificato un errore di copia (suggesserit per suggesserat), nel qual caso ci troveremmo di fronte a un piuccheperfetto che sta per un perfetto suggessit (cfr. supra, comm. ad p. 1.9, pp. 45 s.). Dopo aver chiesto conferma per l'ultima volta di quello che è stato il cuore della deposizione di Saturnino e Vittore (il furto dal tempio di Serapide), Zenofilo convalida l'accusa di Nundinario e passa all'interrogatorio di un altro testimone.

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21.19-23.20. Interrogatorio di Casto. Non abbiamo altre testimonianze su tale diacono di

nome Casto. 21.20 Castum diaconum ... ordinavit. La frase di Nundinario è fortemente allusiva: i soggetti e gli oggetti o sono omessi o sono sostituiti da pronomi. La risolverei nel modo seguente: [Puto esse interrogandum] Castum diaconum, ut dicat, si [scil.: Silvanus] non est traditor; ipse [scil.: Silvanus] illum [Castum] ordinavit. Dato che l'accusa non è imbastita contro Casto, ma contro Silvano, il personaggio di cui si deve provare la traditio non può che essere Silvano: nel corso dell'interrogatorio, infatti, si insisterà sulla consegna di oggetti sacri da parte di Silvano e sulla sua corruzione, mentre Casto non sarà accusato di aver consegnato oggetti liturgici o Sacre Scritture. Zenofilo, infatti, chiederà a Casto di confitere utrum traditor sit Silvanus (p. 23.5), non già utrum traditor sis. Nutro invece più forti dubbi sui successivi pronomi dimostrativi ipse e illum: nel seguito del processo non ci sono accenni né all'ordinazione di Silvano né a quella di Casto, che permettano di capire chi abbia ordinato l'altro. Tutto sommato, mi sembra più probabile che sia stato il vescovo a ordinare Casto diacono che non Casto a ordinare sacerdote Silvano. Sembrerebbe impossibile un'ordinazione da parte di un diacono: i diaconi infatti svolgevano funzioni ausiliarie non equiparabili a quelle dei sacerdoti. Inoltre, nel nostro documento, il pronome ipsi viene normalmente utilizzato per riprendere e sottolineare con precisione il soggetto della proposizione precedente (nel caso presente Silvanus, soggetto sottinteso di si non est traditor), come per es. a p. 7.4-5 (iam dixit episcopus, quia Edusius et Iunius exceptores dixerunt; ipsi tibi demonstrent ad domus eorum). 23.1-3 Quis vocaris ... Nullam dignitatem habeo. Zenofilo rivolge a Casto le solite domande introduttive (quis vocaris? ... cuius conditionis?). Alla seconda domanda Casto ripsonde però in modo incoerente, dichiarando di non avere una dignitas, cioè un rango d'appartenenza (nullam dignitatem habeo). I due termini infatti, conditio e dignitas, sono stati usati finora per indicare due concetti diversi: conditio la professione civile (grammaticus Vittore, artifex Vittore figlio di Samsurico, fossor Saturnino); dignitas l'appartenenza sociale (alla domanda cuius dignitatis Vittore risponde illustrando la propria discendenza e le professioni svolte dal padre e dal nonno). Qui invece sembra che Zenofilo chieda una cosa e Casto gliene risponda un'altra. Il passo resta oscuro: si può ipotizzare che il copista abbia omesso una sezione contenente la risposta di Casto alla domanda sulla conditio e la successiva domanda di Zenofilo circa la dignitas. Sul manoscritto, però, non ne è rimasta traccia. 23.3-5 Licet nunc ... sit Silvanus. Come già nei confronti di Vittore figlio di Samsurico dopo la deposizione di Saturnino (cfr. Gesta, p. 17.5- 7), anche qui l'ampia premessa fa apparire come superflua la domanda e come scontata la futura risposta: l'intento è ovviamente quello di condizionare l'interrogato, da un lato

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intimidendolo col peso dei fatti, dall'altro rassicurandolo con l'apparenza che la sua testimonianza, per quanto grave, ormai non sia più determinante. 23.4 quam etiam. Bisogna sottintendere un tam prima di Victorem grammaticum (le accuse furono riconosciute "tanto da Vittore grammatico quanto anche da Vittore figlio di Samsurico e da Saturnino"). Non ho però potuto trovare altre attestazioni di quam (etiam) usato senza il correllativo tam: sembrerebbe che l'avverbio quam si sia svincolato dalla correlazione ed abbia assunto un valore copulativo analogo a item, itemque, idemque. Quando più avanti (p. 25.3) Zenofilo dovrà impiegare una formula di questo tipo, non ricorrerà più a quam etiam, bensì a un più comune sicut et. 23.4-5 venerunt in confessionem. L'espressione venire in confessionem può essere accostata a varie locuzioni del latino classico in cui venire, costruito con in + acc., indica il passaggio a una certa condizione o situazione: venire in potestatem = "passare sotto il potere di, essere sottomesso", venire in oblivionem = "cadere in oblio, essere dimenticato", venire in odium = "venire in odio, essere odiato", venire in deditionem = "arrendersi", etc.