Professore ordinario di Diritto civile, Università Statale di Milano
È asserzione comunemente accettata quella per cui la pianificazione urbanistica incidendo sullo sta- tuto dei singoli fondi svolge una funzione conformativa della proprietà interessate dai diversi livelli di programmi pianificatori.
È anche piuttosto ovvio che nel contesto del tema la parola proprietà vale: posizioni di appartenenza perché ciò che viene conformato al fine di assicurare l’uso ottimale del territorio sono le modalità di esercizio di tutti diritti che legittimano allo svolgimento di attività che incidono sull’assetto dei singoli fondi e per tale tramite sull’assetto del territorio stesso. Ma precisato che si tratta di una sineddoche si può seguire la consuetudine linguistica e continuare a parlare di conformazione della proprietà, con l’ulteriore precisazione che il discorso si colloca nel campo della c.d. proprietà edilizia.
Del pari, andrebbe precisato che, in riferimento agli effetti conformativi della proprietà, pianificazione urbanistica è espressione riassuntiva di tutte le varie forme di pianificazione pubblica degli usi del territorio, essendo irrilevanti, in tale direzione, sia gli specifici fini pubblicistici perseguiti, che possono essere di carattere strettamente urbanistico, oppure rivolti alla tutela del paesaggio o dell’ambiente, sia il procedimento della loro adozione, non essendo mai comunque in discussione la loro natura pubblicistica e con ciò la loro pertinenza alla materia amministrativa con i necessari corollari per cui il sistema di riferimento è il sistema del diritto amministrativo e la giurisdizione di riferimento è il sistema della giustizia amministrativa1.
Giova invece sottolineare come al livello in cui massimamente svolge funzioni conformative delle proprietà interessate, vale a dire a livello di pianificazione attuativa, gli strumenti giuridici di cui si avvale la pianificazione pubblica comprendono necessariamente anche accordi modellati su paradigmi contrattualistici2. Il carattere ibrido della fonte di conformazione delle proprietà interessate ha creato
problemi che si riflettono sia nelle indicazioni discordanti che emergono dalla giurisprudenza sia amministrativa ed anche da quella ordinaria sia nella formulazione degli atti in cui si formalizzano tali accordi che una nomenclatura ormai comunemente accettata designa con l’espressione: “convenzioni urbanistiche”. I due profili problematici sono ovviamente strettamente connessi tra loro, ma in questa sede conviene porre l’accento sugli aspetti attinenti la forma linguistica degli atti, che sono quelli di più immediato interesse notarile.
In ogni caso, posto che qualche problema sussiste, appare opportuno riprendere le mosse dalle ragioni che hanno imposto il ricorso a forme negoziali all’interno dei procedimenti di pianificazione pubblica del territorio.
Giova quindi sottolineare che gli strumenti performativi che hanno la loro fonte diretta nei piani attuativi si riducono agli acquisti coattivi ed alla imposizione di limiti e vincoli, mentre l’imposizione,
1 Rilievo assume invece, ai fini della chiarezza del discorso il fatto che i piani c.d. territoriali non abbiano attitudine immediatamente conformativa della proprietà, ma abbiano efficacia sul piano della procedimentalizzazione dell’esercizio del potere
pianificatorio, ma tale rilievo si riduce a sottolineare che non tutti i piani abbiano effetti conformativi della proprietà, e perciò qui di seguito ci si riferirà solo a quelli che ne sono dotati.
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Il contributo della prassi notarile alla evoluzione della disciplina delle situazioni reali
sempre coattiva, di obblighi di dare, sperimentata attraverso i contributi di miglioria e poi con i contributi concessori, si è rivelata una tecnica di difficile attuazione, utile a fini perequativi, ma poco efficace a fini concretamente e direttamente realizzatori. Realisticamente si deve anche aggiungere che il ricorso alla espropriazione ed al susseguente svolgimento di attività proprietarie sui fondi ablati è divenuto più oneroso da quando il diritto italiano si è adeguato al canone occidentale che richiede un indennizzo pieno, e poiché ciò è accaduto in coincidenza con la riduzione delle risorse finanziarie degli enti locali, l’esito pratico è stato quello per cui operativamente gli strumenti classici della pianificazione urbanistica si riducono alla imposizione di vincoli, ovvero di obblighi di non fare, che però nei casi più incisivi possono avere una efficacia limitata nel tempo. Per procurare condotte attive, corrispondenti alla esecuzione di obblighi di fare o di dare, lo strumento giuridico previsto dal sottosistema della pianificazione urbanistica è costituito dalla convenzione, o dall’atto unilaterale d’obbligo3. Si tratta in realtà di strumenti equivalenti. Anche se la seconda forma è intesa a sottolineare
l’assenza di un sinallagma contrattuale in senso proprio, si deve osservare che in entrambi i casi si da origine ad un rapporto da cui nascono aspettative tutelate la cui presenza incide sull’esercizio dei provvedimenti autoritativi4. A parte la sinallagmaticità che sotto non pochi profili rimane piuttosto
problematica, è da sottolineare che si tratta di atti volontari5 idonei a costituire la fonte di obblighi 3 In tema Cfr. T. GALLETTO, Convenzioni urbanistiche, in
Digesto civ., vol. IV, Torino, 1989, p. 359 e in Nuova giur. civ., 1989, II, p. 117; A. CANDIAN e A. GAMBARO, Le convenzioni urbanistiche, Milano, 1992; Convenzioni urbanistiche e tutela nei rapporti tra privati, a cura di M. Costantino, Milano, 1995; V. MAZZARELLI, voce Convenzioni urbanistiche, in Enc. dir., aggiornamento-V, Milano, 2001, p. 294; N. CENTOFANTI, in P. CENTOFANTI e M. FAVAGROSSA, Le convenzioni urbanistiche ed edilizie, IV ed., Milano, 2012.
4 Cfr. C. Stato, sez. V, 13 agosto 1996, n. 898, «Non è revocabile la concessione edilizia gratuita, rilasciata dal comune ai sensi dell’art. 9, lett. a), L. 28 gennaio 1977, n. 10 - a seguito di atto unilaterale d’obbligo del concessionario, dei suoi eredi e dei suoi aventi causa a qualunque titolo per la destinazione dell’azienda e del fondo agricoli al fabbricato autorizzato - qualora l’acquirente d’una porzione del fondo accetti senza eccezioni o riserve il vincolo esistente e trascritto a favore della p.a. stessa, in quanto il predetto asservimento è rimasto inalterato in capo all’avente causa del concessionario primo obbligato». «D’altro lato è stato chiarito che L’esistenza di una convenzione urbanistica, stipulata in vista del rilascio di licenze edilizie con l’impegno del privato ad eseguire opere di urbanizzazione, non priva l’amministrazione del potere di liberarsi dal vincolo contrattuale ove sopraggiungano esigenze di interesse pubblico, ma non toglie che l’amministrazione debba osservare un comportamento ispirato a correttezza nel considerare le aspettative suscitate nel contraente privato e pertanto l’atto di esercizio del potere di conformazione del territorio può essere valutato come illegittimo per eccesso di potere dal Giudice amministrativo e come costituente inadempimento da parte del giudice ordinario non perché (come avviene in un qualsiasi contratto di diritto privato) abbia negato alla parte adempiente l’utilità
che si attendeva dall’esecuzione della convenzione, ma soltanto perché, in luogo di quell’utilità, non ha dato soddisfazione all’aspettativa del privato ad una corretta azione amministrativa». Cfr. Cass., S.U., 05 marzo 1993, n. 2669; Cass., sez. I, 10 gennaio 2014, n. 364.
5 Da ciò discende che non essendo la sproporzione delle prestazioni causa di nullità degli atti negoziali, «non è affetta da nullità la clausola della convenzione di lottizzazione che impone al soggetto attuatore la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria sproporzionate rispetto all’entità degli oneri di urbanizzazione dovuti», C. Stato, sez. IV, 22-01-2013, n. 351; dal carattere contrattuale discende ancora che «Le convenzioni urbanistiche stipulate ai sensi della L. 6 agosto 1967, n. 765, che consentono l’esercizio in forma contrattata dei poteri autoritativi di controllo dell’attività edilizia, anche sotto forma d’impegno ad un futuro atto di esercizio del potere di pianificazione urbanistica, conservano il loro carattere contrattuale, con la conseguenza che, in caso di risoluzione per inadempimento della p.a., il privato ha diritto al risarcimento dei danni che, sebbene non commisurabili alle utilità che egli si poteva aspettare da una puntuale esecuzione della convenzione, comprendono il costo delle opere di urbanizzazione inutilmente eseguite in forza della convenzione inadempiuta, in quanto funzionalmente collegate alla programmata edificabilità dell’area, come effetto ripristinatorio della situazione antecedente alla conclusione del contratto, stante la regola della retroattività della risoluzione» Così Cass. civ., sez. I, 10 gennaio 2014, n. 364. Anche la giurisprudenza penale considera che l’inadempimento della convenzione di lottizzazione può integrare un reato e non costituisce violazione di un mero obbligo civilistico, poiché le convenzioni di lottizzazione si presentano quale momento indefettibile del complesso procedimento di pianificazione urbanistica che si
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di dare e di fare che non si potrebbero imporre mediante provvedimenti autoritativi e proprio da questa idoneità ha tratto origine un amplissimo filone legislativo che dall’area dell’urbanistica si è estesa a molti altri settori dell’attività amministrativa6. Pertanto, a partire dal modello matriciale
della convenzione di lottizzazione si è assistito, specie ad opera della legislazione regionale, ad una ampia fioritura di tipologie convenzionali che tuttavia appartengono ad un genus comune. Ciò che qui rileva sottolineare è che le convenzioni urbanistiche, hanno altresì natura, di «accordi sostitutivi» del provvedimento, e pertanto determinano l’assetto della parte del territorio considerata e sono destinate ad inserire le opere che sono il frutto dell’attività edificatoria in un contesto compiutamente integrato, sicché le relative prescrizioni regolano - in via definitiva, con efficacia conformativa della situazione di appartenenza inserita nel territorio - il complessivo assetto urbanistico ed edilizio della porzione di territorio comunale interessata dall’intervento; pertanto, l’attività edilizia svolta dai proprietari dei suoli nell’ambito di tali convenzioni non può essere procedimentalmente e funzionalmente disgiunta dall’adempimento degli obblighi convenzionalmente assunti, che normalmente si concretizzano nella realizzazione delle relative opere di urbanizzazione previste a tal fine7.
In termini più generali l’osservazione appena svolta si potrebbe sintetizzare nei seguenti passaggi. Occorre riconoscere che la “disciplina urbanistica” tende a conformare le proprietà private differenziandone le destinazioni anche quando nessuna differenziazione preesiste a livello di modo di essere dei fondi su cui insiste il diritto dominicale, e quindi si pone in posizione di contrasto dialettico con il carattere generale ed astratto delle altre discipline pubblicistiche che possono conformare le situazioni di appartenenza, o lo svolgimento di attività, in riferimento ad un predefinito insieme di beni o di attività identificati per astrazione in base ad alcune loro caratteristiche oggettive. La ragione di ciò sta nel fatto che la disciplina urbanistica, come indica l’etimologia della parola, è pensata in funzione della disciplina degli usi di territori ad elevata densità antropica - quelli urbani - in cui si manifesta una edilizia di prossimità che esalta la possibilità che l’esercizio del jus aedificandi generi esternalità negative non governabili mediante accordi spontanei tra proprietari8. Da ciò la necessità,
di cui la disciplina urbanistica è filiazione diretta, che al fallimento del mercato subentri un “ordine di piano” capace di armonizzare tra loro le destinazioni differenziate dei singoli fondi trasponendole ad un livello di razionalità complessiva in cui gli interessi individuali si coordinano con i molteplici interessi pubblici coinvolti nell’uso del territorio9. In quanto strumentali alla realizzazione dell’ ”ordine
di piano”, le convenzioni urbanistiche si pongono quindi come strumentali alla realizzazione di un tipo di armonizzazione degli usi e della attività territoriali che trascende senza annichilire10 gli interessi
dei singoli privati coinvolti e li sintetizza in un insieme ordinato di proporzionata corrispondenza tra interessi pubblici di vario calibro ed interessi individuali che debbono rimanere sufficientemente tutelati per costituire un incentivo all’azione.
conclude con l’approvazione del piano di lottizzazione, sicché le stesse configurano un modulo organizzativo attraverso il quale si imprime un determinato statuto ai beni che ne formano oggetto (così già Cass., sez. 3, 9 febbraio 1998, Svara ed altri, ribadita in Cass. pen., sez. III, 25 gennaio 2011, n. 17834). In tema cfr. M. DE DONNO, «Il principio di consensualità nel governo del territorio: le convenzioni urbanistiche», in Riv. giur. edil., 2010, II, p. 279.
6 Cfr. ex multis V. RICCIUTO e A. NERVI, Il Contratto della pubblica amministrazione, Napoli, 2009.
7 Così: C. Stato, sez. IV, 24 ottobre 2012, n. 5450. 8 In altri termini ancora, si può dire che in base all’esperienza storica nei territori densamente edificati o edificandi, si generano market faillures che come tali
fuoriescono dallo schema coasiano, anche a cagione del fatto che l’armonizzazione richiede di contemplare rapporti multilaterali in cui si annidano le condotte strategiche.
9 In questa sede trascuro il fatto che essendo la cura di tali interessi pubblici differenziati (economici, culturali, militari, demaniali, ecc.) assegnati a diverse amministrazioni pubbliche, è risultato molto difficoltoso procedere razionalmente come era nei voti degli urbanisti di professione.
10 In effetti a lungo una dottrina scarsamente attenta all’assetto dell’ordinamento positivo ha impostato il problema dell’armonizzazione degli interessi plurali che esso riconosce e tutela in termini meccanicistici da cui discendeva che in contemplazione di un conflitto tra
L’incidenza della disciplina pubblicistica sulla conformazione del diritto di proprietà. Obbligazioni propter rem e vincoli pubblicistici nascenti da convenzioni urbanistiche e dagli atti di obbligo
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Il contributo della prassi notarile alla evoluzione della disciplina delle situazioni reali
Ne discende che la connotazione delle attività programmate nelle convenzioni urbanistiche rimane nel campo pubblicistico. Si ricorderà infatti che la Corte di Giustizia11 ha chiarito come la realizzazione
diretta di un’opera di urbanizzazione secondo le condizioni e le modalità previste dalla normativa italiana in materia urbanistica costituisce un “appalto pubblico di lavori” soggetto alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici12. Naturalmente però la connotazione pubblicistica orienta la
conformazione della disciplina relativa alle convenzioni urbanistiche, ma non muta la fonte della loro disciplina che rimane quella contrattuale la quale procede dalle regole del codice civile, esigendo solo gli adattamenti necessari al perseguimento del superiore interesse pubblico così come riconosciuto dalla legge.
Da quanto appena ricordato discende l’indicazione per cui è impossibile condurre una seria analisi giuridica degli effetti delle convenzioni urbanistiche sulla base della dicotomia tra sfera del diritto pubblico in cui si tutelano interessi generali e sfera del diritto privato in cui rilevano interessi individuali13. Se si assume che lo strumento convenzionale è inserito in una più ampia struttura di
pianificazione degli usi del territorio e concorre con gli strumenti di piano a conformare le proprietà ivi presenti, si deve concludere che le convenzioni sono strumento di conformazione della proprietà, e la proprietà conformata, come è stato indicato da Pugliatti14 è nient’altro che un diritto conformato
da una fonte che obbedisce ad esigenze d’indole generale. Nel caso della proprietà edilizia dunque, lo specifico strumento conformativo rappresentato dalla convenzione non può che avere natura ibrida ed il suo contenuto ed i suoi effetti debbono essere pensati in relazione a tale natura. Di ciò occorre tenere conto quando si considerino, in particolare, gli effetti obbligatori a carico del privato.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato, pur senza teorizzare attorno alla figura, è costante nell’asserire che le convenzioni urbanistiche sono fonti di obbligationes proper rem15. In prima approssimazione ciò
significa riconoscere che con la convenzione (o con l’atto unilaterale d’obbligo) l’ente territoriale mira a vincolare il contrante privato non come persona, ma come proprietario, ossia come soggetto legittimato ad eseguire le opere edilizie localizzate e sagomate secondo il programma edificatorio ritenuto conforme all’interesse generale ed anche, secondo la prassi ormai più diffusa, le opere di urbanizzazione primaria e secondaria programmate nella convenzione stessa. Pertanto la circolazione dei titoli di proprietà sui fondi interessati è giuridicamente irrilevante, e conseguentemente si è deciso che «È illegittimo il provvedimento di revoca di concessione edilizia motivata dal fatto che i titolari abbiano alienato a terzi parte del fondo interessato con conseguente violazione degli impegni assunti attraverso la sottoscrizione di un atto unilaterale d’obbligo qualora l’assunzione di detti impegni da parte degli acquirenti sia puntualmente prevista nell’atto di compravendita; infatti, trattandosi (nella specie) di vincolo propter rem, gravante sui fondi unitariamente considerati, per la sua validità resta completamente indifferente che i fondi stessi appartengano a proprietari diversi oppure pervengano ad acquirenti diversi, anche per successione a titolo particolare; in sostanza, qualora la concessione
l’interesse individuale, o privato, da un lato e l’interesse pubblico e generale dall’altro lato, il secondo prevaleva sempre annichilendo il primo. Conclusione illogica, sia perché il potere di piano è funzionale alla armonizzazione degli interessi e non alla loro soppressione, cui si può provvedere mediante l’esercizio del potere ablativo, sia perché assume come presupposto occulto che il diritto di proprietà individuale anziché essere un conformabile fascio di diritti, pretese, facoltà e privilegi, sia la pienezza del diritto sulla cosa che può estrinsecarsi in ogni direzione oppure deve essere soppresso.
11 Cfr. Corte di Giustizia, 12 luglio 2011, C-399/98. 12 In tema cfr. M.A. QUAGLIA, Convenzioni urbanistiche e
lavori pubblici, Torino, 2009.
13 Cfr. le osservazioni di A. TRAVI, «Accordi fra proprietari e comune per modifiche al piano regolatore ed oneri esorbitanti», in Foro it., 2002, parte V, c. 274. 14 Cfr. S. PUGLIATTI, Interesse pubblico e interesse privato nel diritto di proprietà, ora in La proprietà nel nuovo diritto, Milano, 1954 (rist. 1964), p. 3.
15 Cfr. ex multis, C. Stato, sez. I, 13 gennaio 2012, n. 4026/10; C. Stato, sez. IV, 30 maggio 2002, n. 3016; C. Stato, sez. V, 13 agosto 1996, n. 898; in senso conforme Cfr. anche Tar Campania, sez. Salerno, sez. I, 24 settembre 2012, n. 1674; Tar Friuli-Venezia Giulia, 27 aprile 1998, n. 675.
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non sia violata o alterata, resta nella facoltà dei proprietari interessati alienare in tutto o in parte il terreno asservito purché il vincolo permanga in capo agli aventi causa a qualsiasi titolo del primo obbligato»16.
Il tratto caratterizzante delle obbligationes propter rem che qui viene valorizzato in conformità con l’interesse pubblico perseguito è quindi in prima battuta quello dell’ambulatorietà; si parla di obbligazione propter
rem perché si vuole che il soggetto vincolato sia quello che è titolare della posizione di appartenenza
al momento rilevante della esecuzione della prestazione promessa e non già (solo) quello che ha sottoscritto la convenzione17.
Se l’ambulatorietà, intesa nel senso che uno dei soggetti del rapporto è automaticamente modificabile in conseguenza delle variazioni della titolarità su un bene, è la ragione di fondo che ha imposto di qualificare come propter rem le obbligazioni assunte dal privato mediante la convenzione, o l’atto unilaterale d’obbligo, si debbono tuttavia introdurre alcune ulteriori considerazioni circa il nesso che si crea tra titolarità del diritto di proprietà su fondo ed individuazione del soggetto passivo del rapporto obbligatorio.
È ben noto infatti che l’esercizio del jus aedificandi da parte del proprietario è subordinato alla presenza delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria idonee a garantire che allo sviluppo edilizio corrisponda la presenza di dotazioni minime di infrastrutture pubbliche essenziali al fine di assicurare la normale qualità del vivere in un territorio edificato. Da ciò discende che ove tale dotazione minima non esiste occorre realizzarla prima di, o sincronicamente con il procedere alla esecuzione dell’attività edificatoria, ove consentita. È parimenti noto che una decente considerazione verso i canoni della giustizia distributiva impone che tale realizzazione non possa essere economicamente a carico dell’ente territoriale, ma debba essere a carico di chi richiede il titolo abilitativo edilizio. È questa la finalità essenziale delle convenzioni urbanistiche le quali pertanto prevedono l’assunzione di obbligazioni sia di dare che di fare, a carico del privato edificante. Tuttavia il programma obbligatorio che trova la sua fonte nella convenzione si inserisce ed è parte di una programmazione più ampia che ha ad oggetto l’assetto del territorio e più precisamente la qualità del vivere su quel territorio. Per conseguenza, l’interesse generale sotteso al programma obbligatorio nato dalla convenzione urbanistica si concentra sul momento realizzatorio, ossia sul momento della esecuzione, mentre tollera male di essere tutelato per equivalente monetario, ed infatti i rimedi risarcitori risultano scarsamente satisfattivi posto che sono incongruenti con l’ordine del programma, che è anche ordine in senso cronologico e non solo spaziale. Da ciò la necessità di vincolare alla esecuzione delle opere programmate, tutti coloro che succedono nelle posizione di appartenenza al soggetto stipulante, così come la necessità di sottrarre l’adempimento degli obblighi assunti alla paralisi della prescrizione18.
16 Cfr. C. Stato, sez. V, 13 agosto 1996, n. 898, cit. 17 Ciò è chiaro in Cass., sez. II, 28 giugno 2013, n. 16401: «L’assunzione, da parte del proprietario del fondo, degli oneri relativi alle opere di urbanizzazione primaria e di una quota degli oneri delle opere di urbanizzazione secondaria (cui è subordinata l’autorizzazione per la