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Il vincolo convenzionale tra autonomia privata e controll

È ormai acquisita alla cultura civilistica la scansione tra i vincoli di destinazione rivolti a personificare un patrimonio, od almeno ad assegnare ad alcuni beni una condizione peculiare rispetto alle globali risorse del titolare, e quelli diretti ad imporre un certo statuto quanto alle modalità di utilizzo, operando una selezione all’interno di quelle fruibili. Al centro di questi secondi si colloca non già lo scopo cui si vuole profitti l’utilità ritraibile dal bene, bensì il bene medesimo, del quale si intende predeterminare il modo di godimento.

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Il contributo della prassi notarile alla evoluzione della disciplina delle situazioni reali

Questa partizione tra vincoli di destinazione di “scopo” e di “modo”, risalente ad un fortunato contributo francese1, è effettivamente preziosa per delimitare il campo dell’indagine e - per via di

una sorta di riduzionismo logico - catturare l’essenza delle questioni coinvolte. Essa funge, quindi, da premessa dello svolgimento della ricerca: rispetto al suo prosieguo non può, tuttavia, che rimanere sullo sfondo.

Il vincolo rivolto a prefigurare le modalità di utilizzo allorché assume ad oggetto beni immobili ostenta innegabili addentellati con l’interesse pubblico. È, invero, istintivo per il giurista italiano pensarlo con riferimento alle figure la cui matrice è, direttamente od indirettamente, legislativa, quali le determinazioni che astringono il godimento delle bellezze storiche e artistiche, naturali e paesaggistiche. Varcando le frontiere di questo nucleo - dalla superficie, invero, assai estesa - si apre il vasto comprensorio dell’urbanistica, terreno di elezione della fenomenologia dei vincoli di destinazione: il civilista non ne può prescindere, nella consapevolezza di come al privato sia consentito intervenire sulle utilità non appannaggio della regolamentazione pubblicistica2.

Dei tre “elementi” che si riconoscono operare in ogni sistema, l’ambito in esame è assai poco riguardato sia dal formante legislativo - almeno sul piano civilistico -, sia da quello dottrinale che sembra accettare il traino della giurisprudenza piuttosto che tentarne il governo.

Tema specioso, disposto lungo la segmentata linea di demarcazione tra diritto privato e pubblico, il vincolo convenzionale di destinazione d’uso dei beni immobili non è stato oggetto di lavori monografici, ancorché siano numerosissimi i contributi che lo illuminano di scorcio. Il censimento delle regole e dei tecnicismi che compongono il suo corredo complessivo è quindi inedito.

L’aspirazione a pianificare l’utilizzo della proprietà che si cede, od il cui godimento si condivide con altri, prende forme assegnate alternativamente al novero dei diritti reali, o piuttosto di credito: ma si tratta di una schematizzazione pericolosa, la quale accredita una logica binaria non idonea a giustificare le disposizioni di dettaglio. Una tale bipartizione è invero poco espressiva ed inganna, cosicché pare cosa buona scomporla - almeno - nei due termini del raffronto: il profilo rimediale, da un lato, e l’opponibilità ai terzi, dall’altro.

Il modello di trattazione consolidato si arresta - di consueto - al rilievo dell’efficacia obbligatoria del vincolo esorbitante dalle coordinate della predialità, ossia di quello non ricostruibile nei termini del rapporto tra fondi. Una più attenta riflessione critica suggerisce peraltro di correggere questa secca conclusione, in ragione dell’intima coerenza di tali pattuizioni con l’essenza economica del bene. Non ci si sofferma, però, a considerare le conseguenze operative di quell’inquadramento, come se l’opposizione reale/personale fosse in grado di veicolare due blocchi compatti e contrapposti di regole, la qual cosa non è affatto così.

Sul versante rimediale occorre considerare che, pur assegnando al patto effetti obbligatori, il suo inadempimento potrebbe fondare la condanna a risarcire il deprezzamento del bene, sovvenendo quindi una tutela in qualche modo accostabile a quella congeniata per il diritto reale. È necessario, d’altra parte, misurare la propensione delle corti ad accordare il risarcimento in forma specifica e l’inibitoria3.

1 S. GUINCHARD, L’affectation des biens en droit privé francais, Parigi, 1976, il cui contenuto si trova illustrato nel mio saggio “Affectation”, “destination” e vincoli di destinazione, per gli Studi in onore di Rodolfo Sacco, II, Milano, 1994, p. 453 e ss.

2 Come a suo tempo ha evidenziato A. GAMBARO, Jus aedificandi e nozione civilistica della proprietà, Milano, 1975, passim.

3 La tutela reale potrebbe accompagnarsi all’attribuzione di efficacia relativa al vincolo qualora si ammetta l’esperibilità del rimedio inibitorio - attraverso l’art. 700

c.p.c. - nei confronti dell’autore della lesione del credito, quale cooperatore all’inadempimento: nella specie l’avente causa dal promittente la destinazione convenuta. Si tratta di una prospettiva non irrealistica, atteso che non è più preclusa la tutela d’urgenza dei diritti di credito, come illustra C. MANDRIOLI, Diritto processuale civile, 3, Torino, 2015, p. 404 e ss.; ed in giurisprudenza, Trib. Milano, ord., 2 ottobre 1997, e Trib. Milano, ord., 14 agosto 1997, entrambe in Foro it., 1998, I, c. 241, nonché Trib. Roma, 6 luglio 1995, ivi, 1996, I, c. 708, con nota di F. MACARIO; ma in senso contrario Trib. Nola, 7 maggio 2012, in Arch.

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Quanto al secondo profilo non si considera che, al di là della meccanica alternativa tra efficacia inter

partes, in un caso, ed erga omnes, nell’altro, la tutela reale del diritto di credito - ormai acquisita allo

strumentario giuridico - può importare l’opponibilità al terzo del contratto da lui conosciuto4. Inoltre,

la possibilità di dedurre la trasgressione del patto in condizione risolutiva consentirebbe di travolgere la posizione dell’avente causa5. Occorre ricordare, infine, il rilievo che riveste la pubblicità fondiaria,

nonché l’attitudine della conoscenza del vincolo ad ovviare alla sua mancata trascrizione.

Si vede bene, quindi, come sia incompleto il quadro che non tenga conto di tali variabili, e di altre ancora.

L’attenzione alle regole operative deve proseguire anche con riferimento alle condizioni ed ai termini in presenza dei quali è riscontrata la predialità, indagandosi in ordine alla volontà delle parti ed ad una sua eventuale sostituzione attraverso l’operare di presunzioni; al grado di fedeltà alla consueta fisionomia della servitù ed alla condiscendenza verso una sua applicazione deformata; al ruolo della trascrizione. Sono, ancora, cruciali il nesso tra destinazione del bene ed attività esercitata per suo tramite; e quello tra pattuizione privata e pianificazione urbanistica.

Questo inventario di problemi può certo disarticolarsi nelle tre matrici corrispondenti ai vincoli obbligatori, a quelli reali, ed infine a quelli urbanistici colti nella loro rifrazione rispetto al dispiegarsi dell’autonomia privata. L’incalzare dei blocchi tematici seguirà, invero, tale scansione, ma con l’avvertenza di non trascurare mai l’intimo loro intreccio, che solo ad esito della ricerca potrà essere portato allo scoperto in tutta la sua estensione.

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