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Tipicità dei diritti reali e autonomia negoziale Servitù prediali e servitù personal

Come si è accennato, oltre alla regola del numerus clausus, la stessa disciplina legislativa dei diritti reali tipici sembrerebbe lasciare margini non particolarmente ampi ai privati (e conseguentemente al notaio, che cura le operazioni adeguate, anche preparatorie e successive all’atto da compiere12, per

la creazione, la modificazione, il trasferimento di diritti) nella regolazione degli interessi di cui sono portatori e, quindi, anche nel possibile emergere di fattori evolutivi nella regolazione delle situazioni soggettive in esame.

In particolare, con riguardo ai diritti reali su cosa altrui, se nel codice del 1865, l’art. 476 dispone che le servitù personali - usufrutto, uso e abitazione - siano regolate dal titolo da cui derivano e che la legge non supplisca che a quanto non provveda il titolo (salvo che essa disponga altrimenti), nel codice attuale, tale norma non è stata riprodotta.

9 La stessa giurisprudenza non ha avuto occasione di pronunziarsi in materia, se non con Corte giust. Ce, grande sez., 16 luglio 2009, n. 428, H. c. Secretary of State for Food, in Dir. economia, 2009, p. 831, e Riv. dir. agr., 2009, 3, p. 208, secondo cui uno Stato membro può comprendere nelle proprie norme per le buone condizioni agronomiche e ambientali ai sensi dell’art. 5 e dell’all. IV, regolamento Ce del Consiglio 29 settembre 2003, n. 1782 (che stabilisce norme comuni sui regimi di sostegno diretto nell’àmbito della politica agricola comune, istituisce taluni regimi di sostegno a favore degli agricoltori e modifica precedenti regolamenti), requisiti di manutenzione dei sentieri visibili gravati da servitù di passaggio pubblico, purché detti requisiti contribuiscano a mantenere tali sentieri come elementi caratteristici del paesaggio o,

eventualmente, a evitare il deterioramento degli habitat. 10 Cfr. Cass., 15 aprile 1999, n. 3749, in Vita not., 1999, p. 778.

11 Cfr. Cass., 10 ottobre 2000, n. 13487, in banca dati Leggi d’Italia; Cass., 2 giugno 1992, n. 6652, in Giur. it., 1993, I, 1, c. 1029. Sulle servitù reciproche, BRANCA, op. cit., p. 65; BIONDI, Le servitù, cit., p. 116; TRIOLA, op. ult. cit., p. 29.

12 Per quanto riguarda la funzione, le obbligazioni e le relative responsabilità del notaio, si rimanda, da ultimo, a G. MUSOLINO, Contratto d’opera professionale, 2 ed., in Il Codice civile. Commentario, fondato da Schlesinger, diretto da Busnelli, Milano, 2014, p. 541 e ss.; fondamentale rimane F. CARNELUTTI, «La figura giuridica del notaro», in Riv. trim. dir. proc. civ., 1950, p. 921.

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La disposizione abrogata derivava dall’art. 628 c.c. francese (secondo cui Les droits d’usage et d’habitation

se règlent par le titre qui les a établis et reçoivent, d’après ses dispositions, plus ou moins d’étendue) e dall’art. 629

(Si le titre ne s’explique pas sur l’étendue de ces droits ils sont réglés ainsi qu’il suit), ripresi anche dal codice spagnolo, per il quale l’uso e l’abitazione sono regolati nell’ordine: dal titolo costitutivo (art. 523 c.c. spagnolo); in mancanza di disposizioni negoziali, dalla legge; e, infine, dalle norme sull’usufrutto in quanto compatibili13.

Il progetto preliminare del codice civile italiano attuale aveva sostanzialmente riproposto nell’art. 115 il contenuto del menzionato art. 476 c.c. abr.; la legislazione vigente non ha comunque accolto la disposizione sulla preminenza del titolo nelle servitù personali e la Relazione al codice sottolinea l’intendimento di non svuotare di contenuto il diritto reale con la creazione, ad esempio, di figure anomale di esso. Sembrerebbe, dunque, potersi concludere che la volontà del legislatore sia nel senso di attribuire allo schema dell’usufrutto, dell’uso e dell’abitazione una tipicità più rigorosa, rispetto a quella concepita dal codice previgente, riducendo corrispondentemente l’àmbito dell’autonomia negoziale nell’apportare variazioni al tipo ex lege14.

In quest’ottica, si è giunti ad affermare che l’usufrutto e l’uso hanno un carattere determinato e certo, per cui si hanno solo due casi concreti di servitù personali: l’usufrutto e l’uso, che per gli edifici può assumere carattere di abitazione. Si afferma che le servitù personali possiedono oggi struttura tipica e manca, dunque, una categoria generale di “servitù personali”, poiché esistono solo l’usufrutto e l’uso, come diritti reali di godimento a contenuto determinato15.

In definitiva, per ciò che riguarda la possibilità dei privati di utilizzare, nell’àmbito che più direttamente consideriamo, le libertà negoziali riconosciute dall’ordinamento (art. 1322 c.c.), il codice vigente sembrerebbe porsi in una prospettiva differente rispetto a quello abrogato, e, comunque, secondo l’impostazione complessivamente scaturita dalla codificazione napoleonica (e acquisita e affinata anche nel nostro ordinamento), i diritti reali tendono a presentarsi quali modelli in larga parte prestabiliti e indipendenti dal titolo dal quale sorgono16.

13 A questo riguardo, J. PUIG BRUTAU, Fundamentos de derecho civil, 2 ed., t. III, vol. 2, Barcelona, 1973, p. 363. Rispetto al codice del 1865, G. VENEZIAN, Dell’usufrutto, dell’uso e dell’abitazione, in Dir. civ. it., a cura di Fiore, continuato da Brugi, 2 ed., vol. II, rivisto da Maroi, Napoli-Torino, 1936, p. 914, osserva che il titolo può dare un regolamento più esteso, conferendo facoltà proprie dell’usufrutto (facoltà di vendere i prodotti del fondo; o di locare la casa), o può restringere o determinare la misura del frui, ma non fino a sottrarre l’uso alle sue cause necessarie di estinzione. I privati potrebbero, poi, modificare i limiti negativi ex lege (destinazione economica del bene, soddisfacimento di bisogni attuali dell’usuario), ma non attribuire solo singole facoltà (si creerebbe un diritto atipico e obbligatorio) o consentire la facoltà di cessione, che snatura l’uso in usufrutto. Per B. WINDSCHEID, Diritto delle Pandette, trad. di Fadda e Bensa, vol. I, rist., Torino, 1930, § 207, p. 743 e ss., se il diritto di uso è il diritto di usare di una cosa altrui, impiegandola agli scopi raggiungibili senza appropriazione dei frutti, tuttavia il soggetto a cui è concesso il diritto «non è limitato necessariamente al suindicato contenuto; egli può benissimo in un dato caso avere anche un diritto di godimento dei frutti più o meno esteso, come pure la facoltà di cedere l’uso ad altri. È cioè possibile che il concedente abbia voluto di più di quanto portano le

espressioni: diritto d’uso, uso; in questo caso l’interprete può ben far valere, di fronte all’espressione imperfetta, la vera volontà del concedente», particolarmente in materia testamentaria.

14 Sul punto, in questo senso: D. BARBERO, L’usufrutto e i diritti affini, Milano, 1952, p. 52; G. GROSSO, Questioni in materia di usufrutto con riguardo al nuovo codice civile, in Scritti storico giuridici, t. II, Diritto privato. Cose e diritti reali, Torino, 2001, p. 407. In materia, anche G. MUSOLINO, L’usufrutto, nella collana Strumenti del diritto. Diritti reali, a cura di Boero e Musolino, Bologna, 2011, p. 143.

15 In questo senso, si esprime L. BARASSI, I diritti reali limitati, Milano, 1947, p. 110.

16 Si veda A. NATUCCI, La tipicità dei diritti reali, Padova, 1982; M. COSTANZA, «Realità e relatività della situazione proprietaria», in Giust. civ., 2008, I, p. 1260, comunque, rileva che l’affermazione di principio circa la tipicità dei diritti reali non appare trovare sempre pieno riscontro: lo stesso legislatore «non ha escluso la modulazione delle relazioni fra il soggetto e la res quale conseguenza di specifiche determinazioni convenzionali attraverso le quali le regole della titolarità reale si intensificano o si attenuano, generando diritti e obblighi che relativizzano la situazione soggettiva in funzione delle esigenze dei singoli interessati».

Circa il diritto di uso, G. PALERMO, L’uso, in Tratt. dir. APPENDICE

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Il contributo della prassi notarile alla evoluzione della disciplina delle situazioni reali

All’interno di queste coordinate generali, veniamo, ora, alle servitù prediali, per le quali l’art. 1063 c.c. prevede che l’estensione e l’esercizio delle servitù stesse sono regolati dal titolo - e, solo in mancanza di questo, dalle disposizioni ex artt. 1064 e ss. c.c.17 - (con formula inversa, per l’enfiteusi, l’art. 957 c.c.

stabilisce che le disposizioni ex lege si applicano salvo che il titolo disponga altrimenti).

Il quadro prospettatoci dall’ordinamento, nella lettura che di esso compiono l’interpretazione dottrinale e quella giurisprudenziale sembrerebbe presentarsi, dunque, almeno in parte differente rispetto a quanto si è detto con riguardo all’usufrutto: nelle servitù prediali, fermo il principio dell’utilitas, l’autonomia privata si esplica con maggiore ampiezza, spettando alla volontà delle parti definire i limiti entro i quali si comprimono le facoltà dominicali del proprietario del fondo servente e si ampliano le prerogative a vantaggio del fondo dominante18.

Per questo, si è giunti a osservare che solo partendo dal titolo e, dunque, dall’atto costitutivo della servitù prediale volontaria «è consentito stabilirne i tratti che il legislatore ha disegnato solo nei contorni, affidando agli autori dell’atto costitutivo la determinazione e di conseguenza la regolamentazione. Lo statuto del diritto reale trova nell’atto negoziale la sua fonte e la sua regola con una sovrapposizione fra impegni e facoltà che dalla relazione obbligatoria si distingue per il confronto che si instaura fra i

praedia anziché fra i soggetti»19.

La regola dell’atipicità delle servitù prediali. La servitù che realizza la cessione di

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