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Piani di lottizzazione e limitazioni reciproche tra i fond

Si è detto come condomini di edifici e comprensori lottizzati siano lo sfondo più familiare rispetto al fenomeno dei vincoli di destinazione d’uso, in tal contesto colorati di realità dapprima attraverso l’assimilazione alla obligatio propter rem, e poi alle servitù reciproche.

Vanno segnalate peraltro alcune ulteriori particolarità. È curioso, intanto, notare come, a dispetto del dogma circa la tipicità delle obligationes, in siffatti ambiti - specie in margine alle previsioni contenute in regolamenti condominiali - emergano espresse concessioni alla configurabilità di oneri reali27. Si

tratta perlopiù di casi alternativamente riconducibili alle servitù reciproche, cosicchè la nominale reviviscenza di quella figura - che si predica altrimenti quiescente - è sfornita di rilievo operativo, non conducendo a risultati diversi da quelli conseguibili sul terreno della servitù, ed in presenza dei medesimi presupposti di fatto che ne legittimerebbero la configurabilità.

Solo in qualche rara ipotesi si ha l’impressione che la preferenza sia accordata alla qualificazione in termini di obligatio, o di onere reale, in ragione della più facile demolizione del vincolo che per via di questo paradigma si può ottenere, come in effetti è avvenuto nel caso del vincolo a portierato, sopra riferito28.

L’altro fenomeno degno di nota è l’assoluta disinvoltura con cui in tale settore vengano riconosciuti sussistenti gli estremi della predialità. Emerge come, in definitiva, siano qualificati servitù tutti i vincoli imposti dall’originario titolare nelle vendite dei singoli appezzamenti: fondo dominante è ritenuta la parte rimasta in proprietà dell’alienante, ancorché non ne sia fatta parola29. Anche quando siano

stati ceduti tutti i lotti, viene egualmente riconosciuta la creazione di altrettante servitù reciproche, ipotizzandosi una contrattazione a favore del terzo30.

26 M. COMPORTI, Divieti di alienazione e vincoli di destinazione, in Studi in onore di Pietro Rescigno, vol. V, Responsabilità civile e tutela dei diritti, Milano, 1998, p. 874 e ss.

27 Tra le sentenze di legittimità più recenti si segnala Cass., 5 settembre 2000, n. 11684, in Giur. it., 2001, I, p. 446, in Giust. civ., 2001, I, p. 1314, in Vita not., 2001, p. 239, in Arch. locaz., 2001, p. 418, la quale ha provato a distinguere, nell’ambito delle previsioni contenute nei regolamenti condominiali, la costituzione di: ‘servitù’ - come tali trascrivibili nei Registri immobiliari - identificandole in «pesi a carico di unità immobiliari di proprietà esclusiva e a vantaggio di altre unità abitative, cui corrisponde il restringimento e l’ampliamento dei poteri dei rispettivi proprietari»; ‘oneri reali’, laddove vengano imposte «prestazioni positive a carico dei medesimi [leggi condomini] e a favore di altri condomini o di soggetti diversi»; infine ‘obbligazioni propter rem’ ove sia limitato «il godimento o l’esercizio dei diritti del proprietario dell’unità immobiliare», cui va ricondotto «il divieto di adibire l’immobile ad una determinata

destinazione, ovvero di esercitarvi determinate attività». Non si tratta, peraltro, di una situazione consolidata, poiché al contrario le limitazioni al godimento delle unità immobiliari sono state ricondotte, da parte della stessa giurisprudenza di Cassazione ed anche in tempi recenti, ora alle servitù reciproche, ora agli oneri reali, come emerge dalle annotazioni di M. DE TILLA, «Regolamento di condominio e divieto di destinazione», in Arch. locaz., 2001, p. 418, nonché di R. TRIOLA, «Sulla natura giuridica delle limitazioni dei poteri dei condomini disposta dal regolamento contrattuale», in Giust. civ., 2001, I, p. 1317, cui adde R. CORONA, voce Regolamento di condominio, in Enc. dir., Agg. V, Milano, 2001.

28 App. Genova, 4 ottobre 1988, cit.; Cass., 11 novembre 1986, n. 6584, in Giust. civ., 1987, I, p. 1494, con nota di M. COSTANZA.

29 App. Roma, 28 gennaio 1954, in Foro pad., 1954, p. 906; Cass., 18 febbraio 1954, n. 483, cit.; Cass., 18 febbraio 1970, n. 380, in Foro it., 1971, I, c. 2127.

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Quanto all’identificazione del contenuto della servitù, con analoga generosità si reputa sufficiente il richiamo al piano di lottizzazione31.

In maggiore onore è invece tenuta la pubblicità, pretendendosi comunque l’inserimento della clausola costitutiva nella nota di trascrizione del rogito di compravendita32, e talora anche l’autonoma

trascrizione in danno dell’acquirente del fondo.

La verifica dell’adempimento pubblicitario potrebbe però fare stragi nelle future controversie ove si consideri che l’art. 17, comma II, L. 52/1985 ha imposto la redazione di note autonome per ogni distinto negozio, seppure contenuto nel medesimo rogito. Nella specie, l’opponibilità del vincolo di destinazione sarebbe, quindi, subordinata all’avvenuto deposito di una nota specificamente dedicata alla servitù corrispondente, con l’ulteriore avvertenza che la trascrizione della stessa deve avvenire secondo un ordine capovolto rispetto a quello della compravendita, quindi “a favore” dell’alienante e “contro” l’acquirente.

La rilevanza prodromica del progetto di piano di lottizzazione fu da taluno già adombrata33 rileggendo

una lontana pronuncia della Suprema Corte34, che la confermò nei rapporti tra privati anche in

assenza dell’autorizzazione comunale. In questa lettura semplificatrice si annida l’equivoco dal quale sono spesso viziate le considerazioni che, nei contesti più diversi, liquidano sbrigativamente il tema dei vincoli imposti dai piani di lottizzazione. Si omette, non di rado, di tenere distinto il rapporto con la P.A., dal versante civilistico.

La sentenza in questione si occupò esclusivamente di questo secondo. La vicenda, che risale agli anni cinquanta, vedeva protagonista una cooperativa la quale, dopo avere predisposto un piano di lottizzazione per una vasta area di sua proprietà, anteriormente all’approvazione dello stesso avviò la cessione dei vari appezzamenti, nei singoli contratti prevedendo che determinate aree o strisce di terreno fossero destinate a strada o a giardini. La controversia di specie originò dall’iniziativa assunta da un avente causa, diretta a fare valere il corrispondente diritto sulle parti destinate ad uso comune. La lettura attenta della motivazione restituisce la corretta prospettiva. La Suprema Corte non ha, invero, mai inteso sovrapporre i due profili, ed anzi si è data carico di precisare che l’autorizzazione comunale assume rilevanza solo nel rapporto tra la P.A. ed i privati interessati, mentre «la mancanza di essa non incide sulla legittimità e validità di convenzioni iure privato».

È ben vero che un passo dischiude un’apertura verso il rilievo primario di queste ultime («pattuizioni che tendono anzi a porre in essere le premesse necessarie sul piano privatistico per poter eventualmente richiedere poi l’autorizzazione prescritta dal ripetuto art. 28»), ma viene pur sempre riconosciuto che rimane «salva la facoltà dell’Amministrazione di apportarvi varianti o di predisporlo d’ufficio». Senza contare, infine, che la fattispecie era anteriore alla L. 767/1967, cosicchè norma di riferimento si rendeva l’art. 28 L. 1150/1942 il quale - si è detto - ritagliava una fisionomia più marcatamente privatistica del piano di lottizzazione35.

1982, n. 6871, in Giur. it., 1983, I, 1, p. 1489; Cass., 2 giugno 1992, n. 6652, in Foro it., 1993, I, c. 148. 31 Cass., 2 giugno 1992, n. 6652, cit.; Cfr. anche, Cass., 23 febbraio 2009, n. 4373, in Giust. civ. Mass., 2009, 2, p. 287, in Giust. civ., 2009, 6, I, p. 1269, in Vita not., 2009, 2, p. 934. 32 Cass., 1° agosto 1958, n. 2845, in Giust. civ., 1958, I, p. 2071; Cass., 23 dicembre 1960, n. 2315, in Giust. civ., 1961, I, p. 221. Cass., 11 maggio 1996, n. 4439, in Giust. civ. Rep., voce Trascrizione, n. 2, ha ribadito l’impegnativo principio secondo cui, a seguito della trascrizione del regolamento di condominio, il divieto - ivi - previsto di realizzare opere sulle terrazze a livello della proprietà esclusiva risulta opponibile a tutti i successivi aventi causa senza limiti di tempo. Cass., 25 giugno 1999, n. 6588, in Guida al dir.,

1999, p. 52, con nota di G. DE PAOLA, «I terzi non sono tenuti a consultare il titolo per verificare eventuali omissioni o errori», ha fatto applicazione, con riferimento alle clausole del regolamento di condominio, del principio secondo cui, nel caso di divergenza tra i dati riportati nella nota e quelli emergenti dal titolo, sono i primi a prevalere, onde escludere la possibilità di interpretare (non a caso: estensivamente) la clausola portante il divieto trasfuso nella nota alla luce degli elementi desumibili dal titolo. 33 M. BESSONE, Natura giuridica del piano di lottizzazione, in Convenzioni urbanistiche e tutela nei rapporti tra privati, a cura di M. Costantino, II ed. aggiornata, Milano, 1995. 34 Cass., 23 marzo 1961, n. 651, in Foro it., 1962, I, c. 131. 35 M. BESSONE, op. cit., p. 232.

Le modificazioni convenzionali al contenuto della proprietà e dei diritti reali di godimento e garanzia

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Il contributo della prassi notarile alla evoluzione della disciplina delle situazioni reali

Specularmente vale l’assunto formulato in una sentenza resa in quei medesimi anni in sede di merito, sebbene riguardante una forma primordiale di convenzione di lottizzazione stipulata agli inizi del novecento. In quell’occasione si escluse che diano origine a servitù prediali le clausole che documentano l’accordo raggiunto dal proprietario dell’area fabbricabile con il Comune circa le future costruzioni, in armonia con il piano regolatore della città e le costruzioni già esistenti36.

La demarcazione tra i due versanti fu ben evidenziata osservando il modello francese in vigore negli anni settanta37. La scansione indicava, da un lato, l’ “arreté” fonte di regole e servitù d’interesse

generale vincolanti il lottizzatore ed i suoi aventi causa; e, dall’altro lato, il “cahier” di fonte privata, diretto ad assicurare l’equilibrio tra i lotti38.

L’autonomia della destinazione assentita dalla P.A. rispetto a quella impressa privatamente attraverso la costituzione di servitù affiora con chiarezza ove si consideri l’ipotesi del loro contrasto. Le corti, investite in passato del giudizio su questa congiuntura, manifestarono preferenza verso la superiorità del vincolo contrattuale39.

Dopo alcuni contributi prodotti nel solco della prospettiva più tradizionale, in tempi di trionfo dell’approccio dogmatico40, la dottrina è pervenuta ad aggiornare l’intonazione dei suoi argomenti,

suggerendo di fare capo alla sanzione comminata dall’art. 1074 c.c. nel caso di sopravvenuta mancanza dell’utilità41.

L’espediente concettuale è consistito nel ricorso al canone della “funzione sociale” che, direttamente riferita dalla Costituzione alla proprietà, viene addotta - in via diretta e non analogica42 anche

come criterio di qualificazione del contenuto della servitù: il sopraggiunto contrasto con le mutate previsioni urbanistiche ne farebbe venir meno proprio la funzione sociale, congiuntura da collegarsi, equiparandole, alla sopravvenuta cessazione dell’utilità oggettiva del fondo dominante43. In entrambi

i casi la servitù entrerebbe in uno stato di quiescenza, cosicchè l’esercizio ne sarebbe impedito44.

Ve ne è quanto basta, insomma, per illustrare la diversità dei due risvolti, amministrativo da un lato, civilistico dall’altro. Nè si ritengano eccentriche quelle numerose sentenze che hanno giudicato sufficiente per la costituzione della servitù il richiamo dell’autorizzazione alla lottizzazione nei rogiti di

36 App. Genova, 14 febbraio 1963, in Foro pad., 1963, I, 455, in margine ad un accordo stipulato con il Comune nel 1914. La sentenza confermò Trib. Savona, 26 maggio 1961, in Foro pad., 1962, I, p. 820.

37 A. DE VITA, Posizione dei privati e disciplina urbanistica nel sistema francese. Soluzioni e orientamenti nell’esperienza attuale, in Convenzioni urbanistiche e tutela nei rapporti tra privati, cit., p. 171 e ss.

38 Obbligatorio fino al 1958 è poi divenuto facoltativo; alla domanda di autorizzazione deve essere comunque allegato un dossier comprendente un regolamento che rechi la disciplina delle servitù e delle caratteristiche delle costruzioni. Il “cahier des charges” quale contratto tra lottizzatore e lottizzati, ed all’interno di questi ultimi, necessita dell’autorizzazione amministrativa e del suo assorbimento nel “réglement d’urbanisme” (A. DE VITA, op. ult. cit., p. 226 e ss.). Ancora degne di nota sono le “servitudes d’urbanisme” ascritte alla categoria delle “servitudes d’utilitè publique”: sono assimilate ai limiti imposti alla proprietà privata nell’interesse pubblico, e sulla base degli artt. 649-650 Code civil si esclude la necessità di un fondo dominante (conf. Cass. civ., I Sect., 30 aprile 1963, G.P., 1963, J., p. 201). La natura delle “charges” contenute nel “cahier” è variabile in dipendenza della situazione di fatto (Cass. civ., 13 novembre 1963, G.P., 1964, J., p. 229).

39 Cass., 1 maggio 1942, n. 1155, in Foro it. Rep., 1942, v. Obbl. e contr., p. 177-178 operò una netta scelta di campo; Cass., 20 gennaio 1962, in Foro it., 1962, I, 204, nonché in Riv. giur. ed., 1962, I, p. 222 (con nota di A. ALIBRANDI, «Servitù di destinazione di un fondo ad un tipo edilizio (villini) e successiva destinazione urbanistica della zona a diverso tipo edilizio») giudicando in margine ad un caso di abbattimento dell’edificio eretto in conformità alla servitù, e sua ricostruzione secondo le mutate previsioni urbanistiche, ha ritenuto il proprietario passibile di un’azione di danni.

40 B. BIONDI, «Servitù reciproche e limite legale trasfuso in servitù volontaria», in Giur. it., 1956, I, 1, p. 888; ID., «Trasformazione di limiti legali del dominio in servitù volontaria», in Foro it., 1951, I, c. 56.

41 M. COMPORTI, «Servitù private e normativa urbanistica», in Riv. giur. ed., 1968, II, p. 271 (articolo destinato agli Studi in onore di Gioacchino Scaduto). 42 In quest’ultimo senso S. RODOTÀ, «Note critiche in tema di proprietà», in Riv. trim. dir. proc. civ., 1960, p. 1326. 43 Nozione a suo tempo indagata in profondità da parte di P. PERLINGIERI, Rapporto preliminare e servitù su “edificio da costruire”, Napoli, 1966, p. 39 e ss.

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vendita dei singoli appezzamenti, chè al contrario quella giurisprudenza ha subordinato la soluzione affermativa all’autonomia ed indipendenza delle pattuizioni privatistiche45, le quali ultime meritano,

dunque, separata attenzione.

L’utilizzo delle servitù quale strumento di pianificazione territoriale è tema visitatissimo dai civilisti, che vi hanno dedicato contributi ora frontalmente incentrati, ora prodotti - per così dire - “in occasione”. Il fenomeno è del resto assai risalente, come già l’esempio romano dell’Eur vale a dimostrare46: una

clausola del contratto tipo imponeva agli acquirenti dei singoli lotti una serie di limiti in ordine al volume, all’ubicazione ed alla tipologia delle erigende costruzioni. Precedenti ormai celebri raccontano come anche in altre città fiorissero esperienze analoghe47; nè si trattava di un fenomeno solo italiano48.

La qualificazione di quei vincoli nei termini della servitù è, tuttavia, ben più recente. Per lungo tempo, e comunque finchè fu in vigore il codice del 1865, un’assai discutibile lettura del principio “neminem res

sua servit” ostacolò la concettuale configurabilità di servitù reciproche49, in realtà l’inquadramento più

lineare di vincoli prediali diretti a sacrificare ed avvantaggiare ugualmente più fondi.

I giudici ripiegarono, in effetti, sulla “veneranda”50 figura dell’obbligazione propter rem, talora

commutata nell’onere reale, soggiacendo a quell’indebita propensione ad evocarle in modo fungibile51.

Fu così statuito che le limitazioni convenzionali reciprocamente imposte in ordine alla tipologia degli edifici realizzandi, una volta trascritte seguono il bene quali oneri reali che ne disciplinano “il modo di essere”52.

È poi curioso notare come la medesima natura di oneri reali fosse confermata quand’anche i vincoli riposassero su precetti dell’autorità amministrativa53: indirizzo da non dimenticare, ed anzi da mettere

in collegamento con ben più recenti affermazioni.

Una volta scartata la servitù, il ricorso all’onere reale rispondeva alla preoccupazione di garantire la trasmissione di tali limitazioni non solo agli eredi, ma pure agli aventi causa fundi nomine54.

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