Questa dimensione dell’autonomia privata viene sperimentata in Italia in relazione al trust soprattutto nella prassi notarile. Come è noto, il Notariato ha giocato un ruolo di primo piano nell’acclimatare l’istituto nel nostro Paese. Il Notariato ha infatti dato concretamente vita alla sperimentazione - condotta in larga misura con successo, nonostante i rischi legati alle possibilità di abuso - delle soluzioni rivolte a rendere praticabile l’istituto in Italia, attraverso il richiamo della legge straniera, pur in presenza di fattispecie localizzate interamente nel foro13.
Il Notariato è il principale custode di quella visione funzionale, teleologica, dei rapporti intersoggettivi che emerge quando i privati si rivolgono al professionista per realizzare i propri scopi, manifestando intenti che il notaio sostiene attraverso la propria capacità di organizzazione dei rapporti giuridici, adeguatrice della volontà privata, destinata a trasformare la volontà espressa dai privati in esiti garantiti dal diritto. Nell’operare in tal senso, il notaio si misura con il necessario rispetto delle regole di ordine pubblico e di applicazione necessaria, che valgono in questa materia, nonché con i limiti imposti all’utilizzo dell’istituto in base all’art. 15 della Convenzione dell’Aja. Il rispetto di questi obblighi e di questi limiti - è sufficiente richiamare qui la legislazione in materia di trasparenza delle operazioni finanziarie - salvaguarda l’operazione che il privato vuole realizzare con l’ausilio del ministerio notarile, evitando che essa venga a cadere perché contraria a norme inderogabili, o fraudolenta. La mediazione del Notariato ha dunque avuto un’importanza capitale nel dare certezza circa la possibilità di fruire dell’istituto nel nostro ambiente, in forza dell’autonomia del disponente in sede di scelta della legge applicabile al rapporto. Il trust si è così radicato in Italia, ed è divenuto uno strumento
12 In questo senso è corretto considerare il trust come forma di organizzazione complessa: A. GALLARATI, Il trust come organizzazione complessa, Milano, 2010.
13 Si tratta delle tesi avanzate in dottrina dapprima da M. LUPOI, Introduzione ai trusts: Diritto inglese, Convenzione dell’Aja, diritto italiano, Milano, 1992; e poi in modo più articolato in ID., Trusts, 2° ed., Milano, 2001, e in vari
altri scritti, cui hanno aderito numerosi autori, e che è ora accolta tanto da varie decisioni di legittimità, quanto da numerose decisioni di merito. Per il punto sulla giurisprudenza: A. TONELLI, «Certezze e incertezze del diritto -Nota a Cass. n. 10105 del 9 maggio 2014 e Trib. Belluno 16 gennaio 2014», Il Caso, 5 novembre 2014, p. 1 e ss.
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di largo utilizzo per conseguire vari scopi, di cui si tratterà quindi di accertare la bontà, alla luce della causa concreta dell’operazione14. Nella prassi, il trust viene infatti utilizzato per realizzare liberalità,
per prevedere assetti mirati di beni in sede di separazione e di divorzio, per proteggere soggetti deboli, per gestire il passaggio generazionale di un’azienda, per far fronte alla crisi d’impresa, per garantire finanziamenti erogati da istituti di credito, per gestire patti di sindacato azionario, depositi fiduciari, e così via.
Naturalmente, pur guardando con un certo favore all’impiego in Italia dell’istituto straniero, il Notariato fin dal principio ha sostenuto che la sperimentazione affidata alla prassi in questo campo non fosse pienamente adeguata né sufficiente a offrire al nostro Paese i mezzi necessari per soddisfare le esigenze incanalate attraverso il trust.
Si tratta di una presa di posizione del tutto comprensibile, per una ragione intuitiva. Il ricorso alla legge straniera per regolare rapporti che si radicano esclusivamente nel foro implica che il professionista conosca bene la fonte a cui attinge. Questa conoscenza non è però acquisibile in modo agevole, perché richiede una notevole familiarità con elementi di diritto estranei al sistema delle fonti del diritto italiano, per di più accessibili solo in lingua straniera, con la cospicua eccezione del diritto sammarinese. Certamente oggi l’operatore italiano è più aperto all’idea secondo cui il diritto italiano è inserito in un contesto più ampio, entro il quale è possibile reperire elementi di conoscenza che possono servire ad elaborare soluzioni da praticare in Italia. Tuttavia, questa maggiore disponibilità a esaminare dati relativi ad esperienze giuridiche straniere non sopprime l’esigenza di disporre di mezzi propri per realizzare quanto attualmente invece viene fatto soprattutto grazie al ricorso alla legge straniera. Tanto è vero che oggi è portata all’attenzione della dottrina e della prassi italiana la proposta di operare attraverso un contratto di affidamento fiduciario, che avrebbe il merito di dare nuovo impulso all’applicazione del diritto italiano15. Per ragioni analoghe non pochi Paesi si sono
dotati di leggi che mirano a replicare in tutto o in parte l’istituto del trust, ovverosia la possibilità di conseguire effetti congruenti rispetto a quelli che il trust produce. Il panorama di queste leggi si è venuto ampliando anche in Europa, con l’opera di riforma dei codici civili di vari Paesi, dalla Francia, al Lussemburgo, alla Romania, alla Repubblica Ceca. Lo stesso draft common frame of reference, che negli intenti dei suoi redattori - ovvero di alcuni dei suoi redattori - avrebbe dovuto costituire la base per una codificazione del diritto patrimoniale in Europa contiene un libro decimo in cui sono raccolte le norme che sarebbero destinate in ipotetico futuro a introdurre su scala europea il trust16. L’interesse
manifestato verso il successo del trust non può dunque essere ritenuto né sporadico, né episodico. Anche il legislatore Italiano, per la verità, ha introdotto regimi che si collocano sotto il segno di scelte di fondo ben note ai cultori dei trusts. Se si passa al vaglio la legislazione dedicata al mercato mobiliare si nota lo sforzo rivolto a predisporre schemi destinati a realizzare le medesime finalità che nel mondo di common law sono realizzate attraverso lo strumento del trust. Mi riferisco in particolare alla disciplina sui fondi comuni di investimento e sui fondi pensione, e alle norme sulle cartolarizzazioni. Nel campo del diritto societario, si è inoltre fatta strada la possibilità di costituire patrimoni destinati ad uno specifico affare. Disponiamo così ormai di numerose discipline di settore che svelano l’apertura del diritto italiano verso le regole che integrano lo statuto proprio del trust.
14 Cassazione civile, sez. I, 9 maggio 2014, n. 10105 - Pres. Vitrone - Est. Nazzicone: «Quale strumento negoziale astratto, il trust può essere piegato invero al raggiungimento dei più vari scopi pratici; occorre perciò esaminare, al fine di valutarne la liceità, le circostanze del caso di specie, da cui desumere la causa concreta dell’operazione: particolarmente rilevante in uno strumento estraneo alla nostra tradizione di diritto civile e che si affianca, in modo particolarmente efficace, ad
altri esempi di intestazione fiduciaria volti all’elusione di norme imperative».
15 M. LUPOI, Il contratto di affidamento fiduciario, Milano, 2014.
16 A. BRAUN, «Trusts in the Draft Common Frame of Reference: The “Best Solution” For Europe? », (2011) 70 Cambridge Law Journal, p. 327; e vedi della stessa autrice: The Framing of a European Law of Trusts, in The Worlds of the Trust, a cura di L. Smith, Cambridge, 2013.
Il trust: una pagina nella storia della proprietà funzionalizzata
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Il contributo della prassi notarile alla evoluzione della disciplina delle situazioni reali
Il frutto più recente di queste iniziative sul terreno del diritto civile è l’art. 2645-ter c.c., intitolato alla trascrizione degli atti di destinazione. Possiamo dire che la figura del linguaggio che è stata adoperata in questa norma - ‘atto di destinazione’ - evoca prepotentemente l’idea di una proprietà finalizzata, funzionalizzata al perseguimento di ‘interessi meritevoli di tutela’, di cui la norma offre qualche esemplificazione. Anche qui, alle spalle della scelta legislativa troviamo riferimenti significativi. Si tratta di riferimenti che dovrebbero garantire l’interprete sotto il profilo dell’adesione alla tradizione civilistica, di indubbio peso nel valutare la qualità della sostanza giuridica trasfusa in norme di legge. Mi riferisco alla teoria delle destinazioni patrimoniali che si affaccia in Italia nell’opera di Francesco Ferrara sr. intitolata alle persone giuridiche, sulla scia delle dottrine tedesche in materia di patrimoni destinati al perseguimento di uno scopo17, e che rappresenta un lascito duraturo al pensiero civilistico
del nostro Paese, come di altri Paesi dell’Europa romanistica18.
Non compete a me stabilire se l’introduzione di questa norma in Italia abbia realizzato le speranze di coloro che avevano certamente in mente una proposta più articolata e complessa19. Però è possibile
domandare se la volontà di dare rilievo alla funzione che innerva l’atto, secondo gli schemi contemplati dall’art. 2645-ter c.c., si sia espressa in modo pienamente soddisfacente attraverso quest’ultima disciplina. Bisogna in proposito notare che, quando si esamina il trust come ipotesi di proprietà funzionalizzata, il centro di gravità del rapporto non è in realtà il singolo bene destinato alle finalità individuate dal disponente, ma è piuttosto il valore rappresentato da quel bene. Raramente il vincolo istituito dal disponente tende infatti a conservare la destinazione specifica del singolo bene affidato al trustee. Nella realtà, il bene assoggettato al trust rimane - deve rimanere - liberamente negoziabile. Per questa ragione il trust è da concepire normalmente come un rapporto che grava su un fund, il cui valore è rappresentato pro tempore da determinati beni, così come in relazione ad un fondo comune di investimento il dato saliente non è il complesso di beni che costituiscono il fondo comune in ogni istante bensì, in realtà, il controvalore che essi rappresentano in ogni istante. Il vincolo creato dal trust è pertanto un vincolo dinamico, che per via di questa caratteristica normalmente non tende ad abbattere l’alienabilità dei beni soggetti al rapporto20. Se fosse diversamente, il trust inciderebbe negativamente
sul valore dei beni rispetto a cui è costituito il rapporto, perché ogni fattore che incide sull’alienabilità di un bene ne diminuisce immediatamente il valore capitale, che è per l’appunto il valore realizzabile tramite la sua alienazione sul mercato, come sanno tutti coloro che si sono interrogati intorno al senso più profondo del principio del numero chiuso dei diritti reali alla luce delle dinamiche di mercato21.
Quanto si è appena detto ha un’implicazione evidente. Tanto il trust, quanto l’atto di destinazione, sono mezzi idonei a dare vita ad ipotesi di proprietà funzionalizzata, vale a dire rivolta al perseguimento di particolari interessi - leciti, e per ipotesi, meritevoli di tutela -. Tuttavia il modo con cui l’operazione prende corpo nei due casi è normalmente ben diverso. Per effetto dell’istituzione di trust, la funzionalizzazione della proprietà ha - normalmente - carattere dinamico.
Il trust preserva il valore capitale dei beni rispetto a cui è costituito il rapporto, poiché il trustee o i trustee normalmente dispongono del potere di alienarli a valore di mercato, salvo il (ri)costituirsi del vincolo sui proventi dell’alienazione, riscossi presso il terzo acquirente dal trustee o dai trustee.
Viceversa il vincolo di destinazione è certamente pensato in chiave statica, per assicurare il godimento di un determinato bene in specie, più che per preservare che il valore rappresentato dal bene in vista
17 F. FERRARA, Teoria delle persone giuridiche, Napoli, Torino, 1915, p. 558 e ss.
18 Per l’approfondimento, nell’abbondante letteratura: M. BIANCA, Vincoli di destinazione e patrimoni separati, Padova, 1996; P. IAMICELI, Unità e separazione dei patrimoni, Padova, 2003; F. MEZZANOTTE, La conformazione negoziale delle situazioni di appartenza, Napoli, 2015, p. 96 e ss., e in propspettiva comparata: F. BENATTI, Le forme
della proprietà. Studio di diritto comparato, Milano, 2010. 19 AA. VV., Destinazione di beni allo scopo. Strumenti attuali e tecniche innovative, Atti della Giornata di studio (Roma, 19 giugno 2003), Milano, 2003.
20 M. GRAZIADEI, B. RUDDEN, «Il diritto inglese dei beni e il trust: dalle res al fund», in Quadrimestre, 1992, p. 458.
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del perseguimento di specifiche finalità. Pertanto, il vincolo di destinazione creato per effetto dell’atto previsto nell’art. 2645-ter c.c. di regola incide negativamente sul valore del bene, fino a quando il vincolo si estingue. Clausole di surrogazione reale inserite nell’atto con cui il vincolo è costituito potrebbero renderlo efficace rispetto ad ogni specie di bene, come accade ex lege per il trust, in modo da garantire un assetto patrimoniale che possa far fronte al meglio ad eventuali sopravvenienze impreviste nel corso del tempo. Tuttavia l’ammissibilità di tali clausole è avvolta dal dubbio, perché l’atto di destinazione sembra essere idoneo a produrre effetti solo in relazione a beni mobili o immobili registrati in pubblici registri22. I due istituti, pur senz’altro diversi, sono ora accomunati - verosimilmente - nella disciplina,
per quanto riguarda la possibilità da parte del creditore procedente di pignorare il bene soggetto a alienazione gratuita, o a vincolo di indisponibilità, ai sensi del nuovo articolo 2929-bis del codice civile23.