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Dialettica fra tipicità e tensione all’evoluzione nella disciplina delle situazioni reali Le servitù predial

La disciplina delle servitù prediali1, e dei diritti reali in genere, potrebbe apparire un campo in

cui la prospettazione stessa di una ‘evoluzione’ presenta maggiori difficoltà rispetto ad altri àmbiti dell’esperienza giuridica a seguito della presenza di diversi fattori ‘stabilizzanti’, che, tuttavia, anche attraverso la prassi notarile vengono composti e rimeditati per addivenire a soluzioni evolutive utili al soddisfacimento delle esigenze concrete via via manifestate dai privati.

L’importanza del ruolo della prassi notarile nell’evoluzione dell’ordinamento costituisce un fattore consolidato se già con riguardo all’opera di Rolandino si afferma che in essa troviamo «testimonianza del coraggio del giurista, che rifugge da sicuri, ma anche imprigionanti porti», e che essa «è anche un segno di comprensione della realtà e di rivendicazione del proprio ruolo di costruttore da parte del giurista, che certo non interpretava passivamente la sua posizione di depositario della fides e della

veritas»2.

Ricordato ciò, si può constatare che l’autonomia negoziale, che particolarmente in materia immobiliare si esprime attraverso l’opera di discernimento del notaio, può dispiegarsi in termini meno ampi rispetto alla materia delle obbligazioni e dei contratti, dovendo rispettare il principio del numerus clausus; per i diritti reali si individuano, poi, generalmente caratteri di tipicità, che non appaiono sempre permeabili alle eventuali esigenze di adattamento poste dai privati; e, infine, l’ordinamento vigente risulta più che in altri àmbiti fortemente ancorato al modello delle fonti romane.

Circa il numerus clausus dei diritti reali (principio romanistico, sostanzialmente abbandonato nel diritto comune che conosce la moltiplicazione dei diritti sulle cose, ma riportato in auge nella codificazione napoleonica e nelle legislazioni ad essa ispirate), in questa sede, può ricordarsi brevemente che al legislatore rivoluzionario francese il permanere della varietà multiforme di situazioni reali appariva come un ostacolo alla libertà del singolo individuo e alla circolazione dei beni3.

1 Al riguardo, R. TRIOLA, Le servitù, in Il Codice civile. Commentario, fondato da Schlesinger, diretto da Busnelli, Milano, 2008; A. BURDESE, Le servitù prediali. Linee teoriche e questioni pratiche, Padova, 2007; G. BRANCA, Servitù prediali, 6 ed., in Comm. cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1987; M. COMPORTI, Le servitù prediali, in Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, vol. 8, Proprietà, t. II, Torino, 1982; P. VITUCCI, Utilità e interesse nelle servitù prediali, Milano, 1974; B. BIONDI, Le servitù, in Tratt. dir. civ. e comm., diretto da Cicu e Messineo, vol. XII, Milano, 1967; G. GROSSO e G. DEIANA, Le servitù prediali, 3 ed., in Tratt. dir. civ. it., diretto da Vassalli, Torino, 1963; F. MESSINEO, Le servitù, Milano, 1949; L. BARASSI, I diritti reali limitati, Milano, 1947; L. CARIOTA FERRARA, Delle servitù prediali, in Comm. cod. civ., a cura di D’Amelio e Finzi, Libro della proprietà, Firenze, 1942.

2 In questi termini, I. BIROCCHI, Autonomia privata tra ordini e mercato: leggendo Rolandino, Domat e Portalis,

in Tradizione civilistica e complessità del sistema, a cura di F. Macario e M.N. Miletti, Milano, 2006, p. 105.

3 In materia, ex multis, I. BIROCCHI, op. cit., p. 126, secondo cui, caduta la visione gerarchica della società e venuta meno l’idea che questa rispondesse a una convergenza metafisica dei fini, la nuova concezione orizzontale del consorzio civile, basata sull’eguaglianza di diritto, comportava la ricostituzione della stessa intorno al valore terreno dei beni e all’iniziativa di ciascuno per raggiungere il proprio benessere. Di qui la centralità della proprietà, che, tendenzialmente libera da vincoli, rientra in una prospettiva dinamica, dove la tutela del godimento e della disponibilità è in funzione non solo della possibilità che i beni vengano messi a frutto, ma anche dell’«incessante movimento per scambiarla». La proprietà, da perno dell’ordine economico naturale, assurgeva a fondamento dell’ordine sociale, poiché collegata al «commercio abbandonato a se stesso», cioè

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Il contributo della prassi notarile alla evoluzione della disciplina delle situazioni reali

Per tale motivo, il codice napoleonico, dopo le riforme che abolirono gli istituti feudali, procedeva ad esaltare la proprietà, quale diritto naturale fondamentale sui beni, liberandola dai precedenti numerosi vincoli. Con riguardo ai diritti reali su cosa altrui, il code civil ne semplifica al massimo gli schemi ammessi, ritornando sostanzialmente ai tipi previsti dallo ius civile romano (usufrutto, uso, abitazione, servitù prediali, garanzie reali) e limita ulteriormente l’incidenza di tali situazioni reali sulla proprietà sia nel contenuto, sia - ove possibile - nella durata.

Il codice civile italiano previgente riprende tali orientamenti, stabilendo pure il principio dell’affrancabilità dell’enfiteusi e di altre prestazioni e oneri perpetui; il codice vigente prevede, inoltre, la disciplina della superficie.

In base alla regola secondo cui i diritti reali di godimento costituiscono un numerus clausus, si é deciso, ad esempio, che non è configurabile un rapporto di così detto dominio utile (corrispondente a uno ius

in re aliena), cioè un diritto di godere di un fondo altrui in perpetuo, non essendo, fra l’altro, consentiti,

al di fuori dei casi previsti alla legge, rapporti di natura perpetua, in quanto contrari a interessi di natura pubblicistica4.

Il principio generale del numero chiuso dei diritti reali vale naturalmente solo per i privati: al legislatore è consentita la creazione di nuove figure, quali, da ultimo, la multiproprietà, di cui si è, fra l’altro, detto che costituisce un nuovo modello soggettivo di appartenenza, segnatamente nella forma tradizionale così detta immobiliare, nel quadro della legislazione speciale di derivazione comunitaria a tutela del consumatore5.

Il numerus clausus dei diritti reali acquista, poi, una sua valenza anche nell’ottica del diritto comunitario, ove (se si esclude l’art. 17 Carta dir. fond. Ue, circa la proprietà), in assenza di disposizioni specifiche (l’art. 345 Tratt. Fue6, ex 295 Tratt. Ce, prevede che il trattato stesso «lascia del tutto impregiudicato

il regime di proprietà esistente negli Stati membri»), i singoli Stati sono liberi di individuare le regole sui diritti reali.

al mercato, pensato come compositore dell’equilibrio tra le esigenze disparate nascenti da bisogni e aspettative individuali.

Sul numero chiuso dei diritti reali, fra gli altri: M. COMPORTI, Tipicità dei diritti reali e figure di nuova emersione, in AA.VV., Studi in onore di Cesare Massimo Bianca, vol. II, Milano, 2006, p. 769; V. MANNINO, «La tipicità dei diritti reali nella prospettiva di un diritto europeo uniforme», in Europa e dir. priv., 2005, p. 945; A. FUSARO, «Il numero chiuso dei diritti reali», in Riv. crit. dir. priv., 2000, p. 439; E. CATERINI, Il principio di legalità nei rapporti reali, Napoli, 1998; M. COSTANZA, Numerus clausus dei diritti reali e autonomia contrattuale, in Studi in onore di C. Grassetti, vol. I, Milano, 1980, p. 421; A. BELFIORE, Interpretazione e dommatica nella teoria dei diritti reali, Milano, 1979; P. VITUCCI, «Autonomia privata, numero chiuso dei diritti reali e costituzione convenzionale di servitù», in Riv. dir. agr., 1972, I, p. 855. Per una ricostruzione critica dal diritto romano al codice vigente, V. GIUFFRÈ, L’emersione dei iura in re aliena ed il dogma del numero chiuso, Napoli, 1992, passim.

4 Cfr. Cass., 26 settembre 2000, n. 12765, in Rep. Foro it., 2000, voce Proprietà, n. 16; Cass., 1 aprile 2003, n. 4914, ivi, 2003, voce Agricoltura, n. 103, precisa che, circa i contratti agrari, l’art. 8, comma 1, L. 26 maggio 1965, n. 590, é norma di stretta interpretazione, poiché apporta speciali limitazioni al diritto di proprietà, e contempla, dunque, un

numero chiuso di situazioni soggettive protette: essa non può trovare applicazione oltre i casi previsti (si tratta della medesima ratio, in base a cui i privati non possono creare iura in re aliena ulteriori rispetto a quelli ex lege).

5 Si veda G. DI ROSA, Proprietà e contratto. Saggio sulla multiproprietà, Milano, 2002. In materia, anche: E. MALAGOLI, «La direttiva 2008/122/Ce sulla multiproprietà», in Contr. e impr./Europa, 2009, p. 984; U. MORELLO e G. TASSONI, voce Multiproprietà [aggiornamento-2003], in Digesto disc. priv., sez. civ., t. II, Torino, 2005, p. 896; G. ALPA, «Il recepimento della direttiva comunitaria in materia di multiproprietà: un’analisi comparativa», in Europa e dir. priv., 1998, p. 193; G. DE NOVA, «Multiproprietà e disciplina dei contratti», in Riv. dir. priv., 1999, p. 5; G. CASELLI, La multiproprietà, Milano, 1999; U. VINCENTI, Multiproprietà immobiliare, Padova, 1992; A. DE CUPIS, «Multiproprietà e comproprietà», in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1984, p. 1024; F. SANTORO PASSARELLI, «Multiproprietà e comproprietà», ibidem, p. 19.

6 La denominazione di Trattato sul funzionamento dell’Unione europea sostituisce quella di “Trattato che istituisce la Comunità europea” ed è prevista dall’art. 2, punto 1, L. 2 agosto 2008, n. 130 (ratifica e esecuzione del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, modificante il Trattato sull’Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea e alcuni atti connessi).

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Si fa riferimento, comunque, al principio di mutuo riconoscimento in tema di libera circolazione dei beni (art. 34 Tratt. Fue, ex artt. 28 e 29 Tratt. Ce) e alle deroghe al principio medesimo, previste per circostanze, giustificate da motivi di moralità pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali, di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale, o di tutela della proprietà industriale e commerciale (art. 36 Tratt. Fue, ex art. 30 Tratt. Ce).

Tali disposizioni, se, da un lato, impongono, per quanto possibile, la libera circolazione degli strumenti giuridici, dall’altro, riconoscono la possibilità di misure restrittive, per preservare aspetti importanti di ciascun ordinamento nazionale. Per questo, si é individuata «una naturale tensione tra la funzione protezionistica del numero chiuso e la visione europeizzante del mutuo riconoscimento»7.

Princìpi romanistici ed evoluzione della disciplina delle servitù: le servitù

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