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Il contenzioso in materia è, invero, piuttosto antico. In effetti, solo in tempi relativamente recenti la casistica appare frontalmente riferita ad ipotesi di lottizzazione. Tuttavia anche prima della diffusione di un tale fenomeno sussistevano nella sostanza fattispecie analoghe - sotto il profilo che ci riguarda - con la conseguenza che le corti erano investite delle medesime questioni che oggi cataloghiamo sotto quella formula. Merita piuttosto rilevare come in allora non solo gli autori, ma gli stessi giudici, nei

45 Tra le numerose Cass., 28 maggio 1963, n. 1410, in Riv. giur. ed., 1963, I, p. 957; Cass., 28 gennaio 1961, n. 168, in Riv. giur. ed., 1961, I, p. 108.

46 Ricordato da P. VITUCCI, Servitù prediali, piani di lottizzazione privati, edilizia convenzionata, in Convenzioni urbanistiche e tutela nei rapporti tra privati, a cura di M. Costantino, Milano, 1978, p. 743 e ss.

47 Un caso genovese di inizio secolo fu deciso dalla visitatissima Cass., 21 marzo 1927, in Giur. it., 1927, I, 1, p. 542; Riv. dir. comm., 1927, II, p. 622, con nota di E. ALBERTARIO; Foro it., 1928, I, c. 41, con nota di L. BARASSI, «La clausola che impone all’acquirente di erigere solo un determinato tipo di edificio».

48 P. VITUCCI, op. ult. cit., p. 745, ricorda esperienze parigine ed altre svizzere. L’elaborazione francese sul vincolo contrattuale di destinazione “à l’habitation bourgeoise” sarà esaminata in seguito.

49 Sull’inammissibilità delle servitù reciproche: Cass., 19 dicembre 1931, in Foro it., 1932, I, c. 404; Cass., 9 maggio 1933, in Foro it. Rep., 1933, voce Servitù, n. 20. 50 Aggettivazione impiegata da A. CANDIAN e A. GAMBARO, op. cit., p. 152.

51 B. BIONDI, «Oneri reali ed obbligazioni propter rem», in Foro pad., 1953, I, p. 341 osservava: «non mi sembra esatto, come fa talvolta la giurisprudenza ... rifugiarsi genericamente nella indefinita categoria degli oneri reali ed obbligazioni reali, diventata più una frase che un concetto» (c. 353).

52 Cass., 21 marzo 1927, cit.

53 Cass., 24 febbraio 1917, in Giur. it., 1917, I, 1, p. 1160. 54 App. Roma, 17 marzo 1936, in Foro it., 1936, 1, c. 693, che dalla qualifica nei termini dell’onere reale derivò il corollario della sua estinzione per mutuo dissenso.

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loro riferimenti mescolassero le decisioni di casi così caratterizzati con quelle emesse in margine ad ipotesi diverse, ove faceva difetto la pluralità dei lotti.

La congiuntura che riproduce l’assetto della lottizzazione è quella contrassegnata dal frazionamento di un’estensione di terreno in singole porzioni cedute ad altrettanti acquirenti, cui viene imposto il rispetto di prefissate tipologie nelle realizzande costruzioni. Paradigma finitimo è quello in cui vincoli corrispondenti vengono prescritti nella vendita di una certa metratura del fondo da parte dell’originario titolare che trattenga per sé tutta la superficie residua.

Le medesime clausole si trovano inserite anche nelle alienazioni più semplici, in cui il venditore trasferisce ad un solo avente causa tutto il cespite che possiede; la somiglianza di quest’evenienza con la cessione dell’appezzamento residuo nella vendita a lotti è però solo apparente.

Ove, com’è intuibile, ci si muova nella prospettiva della predialità, che nel nostro sistema di consueto prende forma nelle servitù, è evidente che nelle ipotesi in cui difetti il riferimento ad un fondo dominante, come nel penultimo caso ricordato, le decisioni rese in margine a tale casistica devono essere emarginate.

Nell’ultima ipotesi un tale riferimento è, invece, individuabile nei lotti circostanti, precedentemente trasferiti: emergono nondimeno delicate questioni che trovano spesso sbocco sul terreno della contrattazione a favore del terzo.

Da questa giurisprudenza devono poi ulteriormente separarsi le pronunce dedicate a casi in cui l’edificazione era astretta sul piano quantitativo (ciò che la tradizione suole ricondurre alla servitù

altius non tollendi), e quelle che si occupano di altri vincoli fondiari (ad esempio, impegni relativi a

strade). Sono precedenti di certo utilizzabili per ricostruire le regole genericamente applicate dalle corti in margine a oneri reali, obbligazioni propter rem e servitù prediali, ma rimangono più in ombra rispetto alle decisioni specificamente incentrate su ipotesi di predeterminazione convenzionale della tipologia dei beni.

Non rappresenta invece sul piano concettuale una figura differente, l’imposizione del vincolo su porzioni di edificio anziché su lotti di terreno. È questo il caso che caratterizza una pronuncia tra le più risalenti in tema. La datazione della fattispecie precede addirittura l’entrata in vigore del codice ormai abrogato, il che porta la corte a ritenere applicabile il diritto comune anteriore55.

Nell’atto di divisione di un fabbricato all’assegnatario del piano terreno fu imposto il divieto di locarlo “per l’esercizio di arti o industrie rumorose”. La Corte Suprema (di Firenze) sancì, nella specie, la trasmissibilità di detta obbligazione ai successivi acquirenti ravvisandovi una servitù personale a favore degli inquilini stessi. Trattandosi di stabilire l’indole di un patto stipulato nel 1860 in Toscana, si ritenne corretto riferirsi al diritto comune in allora colà vigente, secondo il quale - a detta dei giudici - «la servitù personale non era limitata all’uso, all’usufrutto ed all’abitazione, ma si estendeva in generale al diritto di godere di qualsiasi comodità od utilità a carico del fondo altrui costituito a favore di determinate persone, senza aver riguardo al benefizio di un altro fondo». In effetti si ricorda che già nel diritto romano, come testimonia un passo di Pomponio, un tale diritto poteva essere alternativamente inquadrato nella servitù prediale od invece personale56. Ben osserva l’illustre

annotatore che la sentenza era pervenuta ad un esito corretto attraverso un itinerario sbagliato, dal momento che nella specie erano ravvisabili tutti i caratteri e gli elementi della servitù prediale come tramandati dalle fonti romane prima e da quelle francesi poi57. L’Autore coglie pienamente la

peculiarità del caso in esame in cui il divieto si traduceva altresì in un limite all’attività negoziale.

55 Cass., Firenze, 9 aprile 1891, Morelli c. Angeloni, in Foro it., 1891, I, 1076, con nota di L. TARTUFARI.

56 POMPONIO, (L. 15, Dig., de servitutibus): «Jus in re aliena constitum quo dominus in re sua aliquid pati vel non facere tenetur in alterius personae reive utilitatem».

57 Cfr. L. TARTUFARI, op. cit., c. 1077 il quale si rifà sia alle fonti romane (Pomponio, Paolo, Celso) sia a quelle francesi (Pardessus, Aubry et Rau, Laurent) per confermare come quel tipo di utilità fosse perfettamente compatibile con la figura della servitù prediale. In

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La liceità di tali patti era del resto già stata riconosciuta da secoli58, ma sul terreno del mero vincolo

obbligatorio, dal momento che il divieto imposto all’acquirente mirava all’interesse commerciale dell’alienante (nella prospettiva della prevenzione della concorrenza) piuttosto che al vantaggio diretto del fondo59.

Meno scontata era invece apparsa la qualificazione del caso in cui un proprietario di due case contigue ne avesse venduta una impedendo al compratore di aprirvi alcuna bettola od osteria60. Figura analoga

era quella dove la presclusione riguardava l’esercizio di attività rumorose tali da recare incomodo ai vicini61.

L’inquadramento nei termini della servitù, talora commutata nell’onere reale, fu di poi sempre più privilegiato62 - con l’approvazione della dottrina63 - almeno allorché il vincolo gravava un fondo a

vantaggio di uno finitimo. Qualificazione questa - prevalentemente sotto il profilo dell’onere reale - confermata con specifico riferimento all’obbligo di costruire soltanto case di civile abitazione, imposto nelle vendite per lotti di aree fabbricabili64.

In particolare, alcuni giudici espressero fuor di metafora l’apprezzamento verso i divieti di costruire edifici diversi dalle case di signorile abitazione, dei quali evidenziarono l’attitudine ad avvantaggiare non solo la persona del venditore, ma lo stesso fondo finitimo: «certo da tale elemento trae vantaggio

particolare segnala l’affinità con l’ipotesi tratta dalle fonti romane (L. 15, I, Dig. VIII, de servitute, 1, secondo cui «servitutum non ea natura est ut aliquid faciat quis, veluti viridaria tollat, aut amoeniorem prospectum praestet, aut in hoc ut in suo pingat; sed ut aliquid patiatur aut non faciat»).

58 Si veda, in particolare, CAEPOLLA, Varii tractatus, Venetiis, 1571, tract., I, cap. 12, n. 1, ricordato da L. TARTUFARI, secondo cui «... Si vendo tibi domum cum pacto non possis ibi exercere tales artes, si ex hoc consequor aliquam utilitatem, quia in alia mihi remanente similem artem exercebam, valet pactum, alias secus».

59 Il riferimento è diretto a F. LAURENT, Principes, VII, n. 149, nonché alle decisioni delle Corti di Bruxelles 8 marzo 1809, di Liegi 26 agosto 1811, e di Amiens 19 febbraio 1851, e della Cassazione francese 8 luglio 1851 (ivi citate p. 175 n. 2 e 3).

60 Sovviene, in proposito, il brano di F. LAURENT, op. cit., n. 150: «En effet les cabarets sont une cause de trouble pour le voisinage; le bruit, les disputes, souvant la musique et la danse troublent le repos des voisins. L’heritage au profit duquel la charge est stipulée est donc amelioré. Voilà bien les caractères de la servitude». 61 A maggior ragione ricondotte alle servitù prediali (F. LAURENT, op. loc. cit.).

62 La corte di Grenoble, in un caso in cui il rapporto era tra fondo e fondo, ritenne l’esistenza della servitù: «la clausola posta come servitù nel contratto di vendita da un fondo a un proprietario di cave situate nelle vicinanze, in forza della quale al venditore si interdisce di cavare pietre negli altri fondi rimastigli o di dare passaggi per trasporto di pietre cavate, non dà luogo ad un’obbligazione personale, ma crea una vera servitù attiva per il fondo destinato a cave di pietre, e passiva per i fondi del venditore» (sentenza 28 maggio 1858, in causa Du Bord c. De Rosiere - Pasicrisie franc., 1859, p. 37-25). Cfr., inoltre, Cass. Roma, 31 dicembre 1917, in Giur. it., 1918, p. 86: «quando nel vendere un opificio con la forza idraulica che lo anima il venditore pattuisce espressamente con il compratore

che non sarà mai destinato al medesimo uso industriale a cui esso serviva prima, uguale a quello di altro vicino opificio di proprietà del medesimo venditore, tale patto costituisce sull’edificio venduto una servitù a vantaggio dell’altro opificio, non la semplice obbligazione personale del compratore di non fare concorrenza al venditore. Perciò se il contratto sia debitamente trascritto, il terzo acquirente non può sottrarsi al vincolo reale che deriva dalla imposizione della servitù»; nonché App. Torino, 14 luglio 1866, in Giur. tor. 1866, p. 188: «una stipulazione per la quale alcuno si obblighi verso il possessore di un molino di non costruire altro molino sopra un dato terreno prossimo, non costituisce una semplice obbligazione personale, ma impone sul fondo stesso un vero peso reale, una servitù per la utilità del vicino molino».

63 Cfr. B. BRUGI, in Riv. dir. comm., 1926, I, p. 48, il quale significativamente afferma che «Una servitù di vietare costruzioni rumorose, che emanino fumo, cattivo odore, ecc. può essere un mezzo di conservare la benefica quiete ad un quartiere e specialmente all’edificio dominante, che sia usato per persone bisognose di riposo».

64 La corte di Genova ritenne la piena validità del vincolo posto dal venditore di un’area fabbricabile, a tenore del quale si stabiliva che sulla medesima non potessero sorgere che case di civile abitazione (App. Genova, 5 febbraio 1915, Lurati-Tallerici, in Monit. trib., 1915, p. 914), aggiungendo solo che la costruzione di una piccola chiesa (chiesa russa di S. Remo) non potesse dirsi in contrasto con il vincolo stesso. La corte di Roma ritenne analogamente la validità del vincolo imposto ai compratori da chi vende per lotti un suo terreno, per il quale si imponeva di costruirvi soltanto villini o palazzine (App. Roma 27 febbraio 1915, Marsiglia c. Crespi, in Monit. trib., 1915, p. 713), giudicando poi che se (come nel caso di specie) ad un determinato compratore il vincolo non fosse stato esplicitamente imposto, non lo si potesse indurre per analogia.

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anche la persona dell’abitatore della palazzina, ma lo trae attraverso l’utile che questa ne ha. Si immagini se, accanto ad essa, sorgesse una di quelle case operaie, che sembrano alveari umani, ove è vociare e strillare continuo, uno stabilimento che dà rumori ed esalazioni, un magazzino servito da rombanti autotrasporti»65.

Soluzione non dissimile si ebbe con riguardo all’imposizione di un tale obbligo nella cessione di un appezzamento di terreno attiguo ad opera del proprietario di un palazzo: la lite fu instaurata dal venditore nei confronti di un acquirente di quel fondo. In primo grado la pretesa - formulata nella forma della confessoria servitutis - fu respinta sulla base di una lettura di quelle clausole che ne privilegiò l’interpretazione nei termini dell’impegno obbligatorio, pur diffondendosi ad ammettere la concettuale percorribilità del diverso inquadramento66. Tale verdetto fu però riformato in appello,

ove fu riconosciuta la consistenza di servitù a favore del palazzo rimasto in proprietà del venditore67.

Degno di rilievo è anche un caso genovese sfociato in una delle più note sentenze in materia68: la

controversia era insorta tra due aventi causa dalla medesima società venditrice per il rispetto degli obblighi che quest’ultima aveva accettato nell’acquisto del terreno69. Alla difesa del convenuto, tutta

fondata sull’inesistenza di alcun rapporto diretto con l’attore, la corte opponeva che le limitazioni convenzionali reciproche nelle costruzioni degli edifici costituiscono «modi di essere delle cose» e, una volta trascritte, «in forma di onere reale» seguono la cosa presso qualsiasi possessore, «vincolano i singoli contraenti del pari che i loro eredi od aventi causa, ratione rei, fundi nomine» i quali sono tenuti “propter rem” a rispettarla. In omaggio al pregiudizio in allora vigente si assumeva che la reciprocità della limitazione escludesse la ricorrenza della servitù: «limitazione che non segna tra i fondi alcuna superiorità, ma disciplina soltanto il modo di essere delle cose».

Il carattere convenzionale non ne importa dunque l’efficacia obbligatoria: anche l’avente causa ne è quindi vincolato, se è vero che «non è lecito ribellarsi al fatto proprio nè si può vantare un diritto maggiore di quello scaturente dal titolo».

65 App. Milano, 30 luglio 1927, Conte Vittorio Turati c. S.A. La Soie de Chatillon, in Monit. trib., 1927, p. 770, pronunciato avverso la decisione di primo grado Trib. Milano, 26 giugno 1926, in Monit. trib., 1927, p. 788. 66 La ricchezza della motivazione giustifica la scelta di trascriverne uno stralcio: «Il vecchio domma servitus in faciendo consistere nequit non ha valore assoluto; già le servitus oneris ferendi (6 Dig. 8.5): Labeo autem, hanc servitutem non hominem debere, sed rem; denique licere domino rem delinquere scribit, ed in minor grado quelle altius tollendi rappresentano notevoli successive attenuazioni della rigidità arcaica del domma. Può ben concepirsi una servitù di carattere industriale. Già il Digesto 13 Dig. 8.4 contiene il seguente passo di Ulpiano: Venditor fundi Geroniani, fundo Botriano quem retinebat, legem dederat ne contra eum piscatio thynnaria exerceatur. Quamvis mari quod natura omnibus patet, servitus imponi privata lege non potest; quia tamen bona fides contractus legem servari venditionis exposcit personae possidentium, aut in ius eorum succedentium per stipulationis vel venditionis legem obligantur. Questo passo è suggestivo. Il proprietario di due fondi adiacenti al mare ne vende uno imponendovi il divieto, vantaggioso per il suo fondo, della pesca del tonno, vale a dire di esercitare tonnaie dirimpetto al fondo acquistato. Esso differisce da una clausola di concorrenza dei nostri giorni pel carattere personale dell’astensione in cui un tale vincolo si concreta. Laddove il proprietario del fondo Geroniano doveva astenersi dalla pesca del tonno finchè rimane tale

e quindi l’onere grava sul fondo, sub specie aeternitatis e per esso sul proprietario pro tempore; lo stipulante una clausola di concorrenza si obbliga personalmente all’ astensione. L’uno liberatosi dal fondo, si libera dall’onere o anche comprando un altro fondo può di questo servirsi come punto di appoggio dell’industria peschereccia; l’altro è vincolato da un obbligo personale per cui è decisiva la legge del contratto» (Trib. Milano, 26 giugno 1926, cit.). 67 App. Milano, 30 luglio1927, cit., secondo cui «il ricordo nostalgico delle servitù classiche romane si risolve in una mutilazione della legge».

68 Cass., 21 marzo 1927, Stramesi c. Oberti, pubblicata insieme a Cass., 13 maggio 1927, Gestri c. Benvenuti, entrambe in Foro it., 1928, I, c. 40, con nota di L. BARASSI, «La clausola che impone all’acquirente di erigere solo un determinato tipo di edifici».

69 La clausola era del seguente tenore: «la società venditrice si obbliga per sè e per i suoi aventi causa a costruire soltanto palazzine nei terreni di sua proprietà che restano a sinistra della gran strada da via Pia al Lido d’Albaro e si stendono a sud dei beni col presente atto venduti a Alberto Tommaso Rosasco fino allo stabilimento Lido. Le quali palazzine non potranno avere più di tre piani, pianterreno incluso, per ciascheduna, restando solo permessa in maggiore elevazione per ogni palazzina una torre, purché la di lei superficie non oltrepassi l’ottava parte della palazzina cui è annessa».

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Il ragionamento della Cassazione è definito “involuto” dall’insigne annotatore70, il quale obietta come

questa misteriosa “limitazione convenzionale reciproca” in realtà non fosse che una servitù prediale reciproca, e, soprattutto, lamenta l’insufficiente attenzione dedicata al contratto a favore del terzo, cui è ricondotto il fondamento dell’efficacia della clausola anche nei confronti dei precedenti acquirenti. Del resto molteplici erano gli interrogativi rimasti aperti. È certa l’attitudine di tale meccanismo ad operare con riferimento ai diritti reali? L’accettazione del terzo è idonea a consolidare l’acquisto a suo favore?71 Il titolo costitutivo risulta dal contratto e dalla dichiarazione del precedente acquirente,

entrambi da trascrivere, per completare l’individuazione del fondo dominante e per descrivere il peso imposto a quello servente? Occorre che la clausola contenga un riferimento esplicito all’interesse dei precedenti acquirenti?

Con una pronuncia resa l’anno successivo la Corte Suprema afferma la validità della servitù costituita, nell’ambito di una compravendita, a favore del proprietario del fondo vicino, purché questa formi oggetto di apposita condizione; esclude che la dichiarazione del terzo debba soggiacere a limiti di tempo e a vincoli di forma (cosicché, essa può rintracciarsi in qualsiasi fatto del terzo che dimostri la sua volontà di accettare il diritto); indica quale equipollente della trascrizione l’impegno del terzo acquirente del fondo a rispettare la servitù72.

Circa un decennio più tardi la Cassazione ritorna sul tema con una motivazione particolarmente diffusa: essa ribadisce che la stipulazione a favore del terzo - nella specie l’imposizione di una servitù a vantaggio dei fondi confinanti, derivati dal frazionamento dell’unico lotto - deve rappresentare un’espressa modalità della compravendita, ed ancora che l’ accettazione può avvenire in qualunque tempo, né è sottoposta a formalità73. In definitiva, contrariamente a quanto tramandano richiami

storici troppo sbrigativi, già nella prima metà del novecento - e non dunque dagli anni cinquanta in poi -, in margine a fattispecie del tipo descritto, la giurisprudenza ricorreva ad entrambe le qualificazioni, nei termini sia della servitù, sia dell’onere reale (od obbligazione propter rem)74, propendendo anzi per

una lettura generosa della predialità75. 70 L. BARASSI, op. cit., c. 43.

71 In questo senso si era già espresso App. Napoli, 28 febbraio 1926, in Foro it., 1927, c. 430.

72 Cass., 30 gennaio 1928, in Foro it., 1929, I, c. 128 emessa in margine all’impugnazione esperita avverso App. Napoli, 28 febbraio 1926, cit.

73 Cass., 12 marzo 1937, Buja c. Lavatelli, in Giur. it., 1937, I, 1, p. 537. Nel senso dell’esplicita ammissione dell’operatività del contratto a favore del terzo anche nei confronti dei diritti reali v. Cass., S.U., 29 maggio 1939, Raccuglia Maltese c. Società costruzioni edilizie di Napoli, in Giur. it., 1939, I, 1, p. 934. Più recentemente, nello stesso senso, Cass., 11 maggio 2000, 6030, in Giust. civ. Mass., 2000, p. 991.

74 App. Roma, 10 gennaio 1929, Sacerdoti c. Lopez e Ferrari, in Foro it., 1929, I, c. 915, con nota di A. BUTERA, «Sulla efficacia reale degli oneri che impongono un determinato tipo nella costruzione degli edifici». 75 A. BUTERA, op. cit., p. 916, ricorda una decisione in base alla quale si escluse che l’onere imposto all’acquirente di un fondo di costruire solo una certa tipologia di edifici conferisca azione per l’adempimento di tale patto all’acquirente di altra porzione, se non risulti che tale sia stata l’intenzione delle parti: «l’azione diretta ad ottenere l’osservanza del vincolo pattuito e trascritto, pur essendo esperibile presso qualsiasi possessore della cosa, non può

essere esercitata se non dal contraente della stipulazione limitativa, oppure dai suoi eredi e aventi causa». La

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