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Apprendere dall’esperienza

In generale si riscontra un ampio consenso nel giudicare tale forma di apprendi- mento essenziale ai fini del proprio sviluppo professionale in quanto basato sulla pra- tica riflessiva. Tuttavia tale espressione può assumere due significati diversi, ma non contrastanti, e per molti aspetti complementari. Il primo riguarda la consta- tazione che, come risultato delle esperienze di vita e di lavoro, si ha lo sviluppo di conoscenze, competenze, atteggiamenti che derivano non da studi sistematici o for- mali, ma da quel tipo di apprendimento che viene oggi definito informale, cioè lega- to a situazioni non precedentemente organizzate, né chiaramente e intenzionalmente finalizzate. È questo il risultato di un apprendimento basato sull’esperienza, sulla partecipazione a un ambiente di vita o di lavoro. Persino a livello di studi superiori e universitari è ormai riconosciuto il diritto ad avere forme di certificazione delle competenze acquisite in questo modo o, come si suole dire, sul campo. Vari studiosi insistono da questo punto di vista nel parlare di sapere pratico, di conoscenza basata sull’azione e derivante appunto dell’esperienza sul campo.

Il secondo significato è stato valorizzato in particolare a partire da John Dewey, ed è rivolto soprattutto al futuro, alla possibilità di andare oltre a quanto acquisito, di trascendere in qualche modo la condizione esistente. Più che valutare l’accumulo di esperienza che si concretizza in un insieme di conoscenze e di abilità, si considera il processo attraverso il quale le nuove esperienze possono trasformare quanto già ab- biamo imparato o sappiamo fare. Nel primo caso si parla di apprendimento esperien- ziale come risultato. Nel secondo caso di apprendimento esperienziale come processo.

Quanto all’apprendimento esperienziale considerato come risultato nelle varie esplorazioni sulla possibilità di certificare le competenze acquisite in contesti infor- mali di vita o di lavoro, si è constatato come molte volte si sia sviluppato un saper fare di natura pratica che raramente si è in grado di esplicitare verbalmente, descri- vendone i caratteri in maniera analitica e collegandoli a principi e fondamenti di na- tura scientifica o tecnologica. Viene cioè a mancare la consapevolezza critica della qualità del proprio patrimonio di esperienze. Ci si è posta allora la seguente doman- da: cosa rimane dalla partecipazione a queste esperienze? Più profondamente, che cosa viene a poco a poco coltivato nella mente e nel cuore dalla sistematica parteci- pazione a tali esperienze? In altre parole le conversazioni che si sviluppano nel tem- po con le persone, le cose, gli ambienti, i libri, i giornali, il web, in maniera progres-

siva e talora inconsapevole formano il modo di vedere e di valutare eventi e situa- zioni, prospettive di vita e pericoli, persino se stessi e il proprio futuro. Ogni appren- dimento futuro deve tener conto di quanto ormai già sviluppato non solo in termini di conoscenze e competenze, ma anche di atteggiamenti e di valori interiorizzati dalla partecipazione a eventi, ambienti, dialoghi, incontri o scontri.

Negli studi sull’apprendimento è sempre stata presente una questione fondamen-

tale: quale ruolo ha l’apprendimento passato su quello futuro? David Paul Ausubel103,

trattando di un apprendimento non meccanico e ripetitivo, bensì ricco di significato, ha messo in luce come: «[...] l’esperienza passata influenzi, o abbia effetti positivi o negativi, sul nuovo apprendimento significativo e sulla sua ritenzione, in virtù del suo impatto sulle proprietà rilevanti della struttura cognitiva. Se ciò è vero, ogni appren- dimento significativo comporta necessariamente un trasferimento, perché non si può concepire nessun caso in cui tale apprendimento non sia influenzato in qualche modo dalla struttura cognitiva esistente; e questa esperienza di apprendimento, a sua volta, dà luogo a un nuovo trasferimento, modificando la struttura cognitiva».

In altre parole, i risultati dell’apprendimento precedente, sul piano dell’insieme delle conoscenze acquisite e organizzate e dello sviluppo dei processi cognitivi, co- stituiscono la base di appoggio per ogni nuova conquista. Nel bene come nel male. Infatti, a partire dagli Anni Settanta è stato progressivamente sempre più messo in risalto il fatto che in molti casi per conseguire una nuova conoscenza, per costruire un nuovo quadro interpretativo, per andare oltre quanto si sa o si sa fare, occorre non solo andare oltre quanto si era raggiunto nel passato, ma spesso andare contro di es- so. Nel senso che occorre decostruire concetti, teorie, interpretazioni, convinzioni, per coglierne l’insufficienza o l’erroneità e così poter costruire nuovi elementi cono- scitivi, nuove competenze in forme più corrette e adeguate.

Oggi si rileva che l’influenza dell’apprendimento precedente sul nuovo appren- dimento, deriva anche dalle componenti di natura affettiva e motivazionale presenti e attive. Un atteggiamento negativo verso un ambito di apprendimento, cresciuto normalmente a causa delle esperienze poco felici del passato, dà ragione di molte difficoltà, resistenze e spesso di infelici esperienze di apprendimento del presente. Ci si ricollega qui in maniera precisa al concetto di esperienza già ricordato: perché un evento venga considerato un’esperienza, occorre che si possa riscontrare la pre- senza di almeno due elementi: uno affettivo, l’altro cognitivo. L’elemento affettivo è dato dalla reazione emozionale che si prova. Quello cognitivo consiste nel cercare di capire il perché, il senso di tale emozione, la sua radice profonda. Una esperienza di apprendimento unisce a questi due elementi il raggiungimento di una nuova situazione personale o sul piano del sapere, o del saper fare, o del saper essere, o del saper stare con gli altri, per riprendere le espressioni del rapporto Delors.

Ripercorrere l’insieme delle esperienze accumulate nel tempo e la loro sedimen-

tazione interiore ha portato Paul Ricoeur a introdurre il concetto di identità narrativa. Egli distingue nel concetto di identità due diverse accezioni, complementari tra loro, che rispondono a due diverse domande: «che cosa sono io» e «chi sono io». La pri- ma, relativa all’identità espressa dal termine idem, può essere messa in crisi dalla dispersione e frammentarietà dell’esperienza, sviluppando una dissociazione interio- re, che invoca però una risposta alla seconda, relativa quest’ultima all’identità espressa dal termine ipse. L’identità narrativa si viene a costituire nell’interazione tra le due identità, quella della sedimentazione anteriore, della constatazione della dispersione, e quella prospettica, della promessa e dell’impegno rivolto al futuro che aspira alla coesione. «La persona si designa essa stessa nel tempo come unità narrativa di una vita che riflette la dialettica della coesione e della dispersione, che l’intreccio media».104

Al fine di mantenere l’impegno prospettico di una identità profonda del sé oc- corre: un’adeguata stima di sé, come fiducia nella capacità di mantenere la propria parola; la cura o sollecitudine per l’altro, recettore della nostra parola; l’aspirazione a vivere in istituzioni giuste. Le ultime due esigenze derivano dal fatto che: «[...] cia- scuna storia di vita, lungi dal chiudersi in se stessa, si trova intrecciata con tutte le storie di vita con le quali ciascuno è mescolato. In un certo senso, la storia della mia vita è un segmento della storia di altre vite umane, a cominciare da quella dei miei genitori, continuando per quella dei miei amici e – perché no – dei miei avversari». Questa prospettiva porta immediatamente a considerare l’apprendimento esperien- ziale come processo.

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