Per loro natura le competenze di una persona non possono essere direttamente osservate e né valutate. Si possono cogliere solo le loro manifestazioni e da queste accedere a un grado più o meno elevato di probabilità circa la loro presenza e il loro livello. Questa natura interna e disposizionale delle competenze porta anche come conseguenza la difficoltà a riconoscerle in sé e valutarle personalmente, finché non si trovi una modalità di renderle visibili e identificabili. Si tratta di qualcosa di ana-
logo a quanto messo in luce da John Hattie139 trattando dell’apprendimento: come
rendere visibile e quindi valutabile l’apprendimento, con la conseguenza di poter ve- rificare anche quali metodi educativi e didattici favoriscano effettivamente l’appren- dimento dei contenuti intesi.
Nel caso delle competenze la questione assume un rilievo specifico e generale, perché il loro riconoscimento fa parte ormai di prassi che vanno consolidandosi sia a livello di assunzione del personale nei vari settori del lavoro, incluso quello del- l’insegnamento, sia a livello di prestazioni che si possono riscontrare nel contesto dell’ordinaria attività lavorativa e delle eventuali promozioni e gratificazioni, come dei possibili richiami e giudizi negativi.
Una delle strade che negli ultimi decenni sono state intraprese per affrontare tale problematica è stata quella di predisporre un opportuno portfolio delle competenze. Le ragioni fondamentali che sono state alla base di questa impostazione stanno nel fatto che occorre avere a disposizione un metodo e uno strumento che consentano di raccogliere informazioni e documentazioni pertinenti, affidabili e valide per rendere fondata e plausibile una conclusione circa il possesso a un buon livello di competen- za. Per questo, occorre valorizzare elementi informativi e documentari provenienti da fonti e secondo metodologie diversificate. Una competenza è costituita, infatti,
138Ibidem, p. 58
139HATTIEJ., Visible Learning: a synthesis of over 800 meta-analyses relating to achievement,
dalla capacità di attivare e orchestrare risorse interne (conoscenze, abilità, disposi- zioni stabili) ed esterne disponibili per far fronte alle esigenze di un compito o di una tipologia di compiti particolare.
Certo l’analisi dei risultati delle singole prestazioni può aiutare a valutare la ca- pacità di produrre determinati risultati, ma essa non può dire nulla del percorso attra- verso il quale il soggetto è stato capace di conseguirli. In altre parole, occorre non solo tener conto del prodotto finale, ma anche del processo che ha consentito di rea- lizzarlo. Informazioni sul processo possono essere fornite solo da strumenti osserva- tivi e da narrazioni del diretto interessato. Questi può anche evidenziare con il rac- conto non solo la successione dei passi che lo hanno condotto al risultato atteso, ma anche le risonanze interiori, le motivazioni, il senso di ciò che ha fatto. Il termine
triangolazione dei dati suggerisce una metodologia che utilizza nella sua indagine una
pluralità di metodi di raccolta delle informazioni e di forme di loro rappresentazione. Nel campo della valutazione delle competenze è stato quindi suggerito il portfolio come lo strumento o il dispositivo che consente la raccolta, prima, e l’esame, poi, di una documentazione molteplice e diversificata, una sua interpretazione attenta, anche diacronica e longitudinale, e un’espressione di giudizio sufficientemente fondata.
Così, dalla metà degli Anni ‘80 è sempre più invalso l’uso di denominare “port-
folio” il particolare dispositivo valutativo che si avvale di una raccolta sistematica, a
partire da specifici obiettivi e criteri, dei lavori realizzati da un soggetto nel corso di una determinata pratica educativa o formativa. Questa raccolta costituisce la documen- tazione di una serie di prestazioni, che permette poi un loro esame, interpretazione e valutazione al fine di inferire il livello raggiunto dalle competenze oggetto di appren- dimento. Nella pratica professionale, in particolare in quella segnata da competenze di natura artistica, era già consuetudine raccogliere in una cartella (spesso denominata in inglese book) esempi della propria migliore produzione, a testimonianza appunto delle competenze raggiunte in tale pratica professionale. Qualcosa di analogo si poteva riscontrare nella pratica formativa professionale, specificatamente quando si trattava della produzione dei cosiddetti “capolavori”, o in quella dell’ap prendistato artigianale. Il portfolio entra in tale tradizione, riconsiderandola a partire dalle ricerche e dalle esperienze sviluppate nel corso dell’ultimo decennio del secolo ventesimo.
Il portfolio riguarda, dunque, fondamentalmente la raccolta della documentazione attestante ciò che un soggetto sa, sa fare, sa essere o come egli sa stare con gli altri, più che quanto egli ancora non è in grado di affrontare. Esso mira a trasformare la metodologia valutativa in modo da permettere la considerazione non solo di pre- stazioni finali puntuali, ma anche dei processi e delle strategie messe in opera, dei progressi compiuti, delle circostanze e dei tempi nei quali le varie prestazioni sono state evidenziate. Tramite questo dispositivo è possibile favorire una valutazione lon- gitudinale comparativa mediante il confronto tra quanto manifestato all’inizio di un percorso d’apprendimento e quanto è stato evidenziato nel tempo. In questo modo si dà spazio a un’autentica valutazione formativa, che aiuti sia il soggetto, sia il forma- tore, sia il valutatore ad aggiustare il tiro sulla base dei risultati via via conseguiti.
Comunque occorre sempre ricordare il carattere probabilistico delle proprie come delle altrui valutazioni. L’opinione, che l’analisi critica delle proprie esperienze di apprendimento o di lavoro e della documentazione raccolta è tanto più affidabile, pertinente e valida, quanto più può basarsi su quelle che oggi sempre più vengono definite evidenze, cioè riscontri effettivi che corroborano la sua plausibilità. Tutte le volte che cerchiamo di trarre, a partire da una serie di dati, una specifica conclu- sione, occorre essere consapevoli che quest’ultima dipende dalla quantità, qualità e convergenza di tali evidenze riscontrate a suo favore di fronte a quelle che possono falsificarla.
La natura stessa del portfolio delle competenze permette di valorizzarlo in varie direzioni. Quella inizialmente più seguita è stata la valutazione dei singoli sia nel contesto scolastico, sia in quello formativo. Ben presto però si è dato ampio spazio alla sua utilizzazione nella formazione dei docenti, in particolare sotto il profilo di un processo di autovalutazione e di riflessione critica personale, spesso in collega- mento con pratiche di bilancio delle competenze, al fine di promuoverle ulteriormen- te o di acquisirne di nuove. Questa pratica ha trovato nel contesto italiano attuale uno spazio particolare nel percorso formativo del docente neoassunto, come vedre- mo meglio nell’ottavo capitolo, trattando dell’uso del portfolio digitale.
D’altra parte oggi si sottolinea il fatto che una pratica riflessiva costante dovreb- be caratterizzare i vari attori sociali al fine di poter “presidiare” i processi d’azione e coglierne il senso in rapporto alle motivazioni che li hanno originati. Ciò permette di modificare l’azione e quindi di apprendere e generare, per questa via, il cambia-
mento.140Più in generale, Giddens stesso descrive la società riflessiva nei termini di
una capacità del pensiero che retroagisce continuamente all’azione dando vita ad un circolo virtuoso tra azione-sapere-azione. Su questa lunghezza d’onda, Quaglino af- ferma che la riflessività e la flessibilità d’azione e di pensiero sono qualità necessarie affinché l’adulto possa “riconoscersi” nei suoi cambiamenti professionali ed esisten- ziali, valutando e rivalutando molteplici punti di vista e provando e riprovando dif- ferenti corsi d’azione.141
Tuttavia, si è constatato che, nel corso delle esperienze condotte negli ultimi an- ni come il semplice uso di un portfolio delle competenze, e/o di un diario sistemati- co, non porti automaticamente a una pratica riflessiva. Questa ha bisogno di essere adeguatamente stimolata anche attraverso momenti di ripensamento, di autovaluta- zione, guidati in maniera opportuna. Si è così constatata parimenti l’importanza
di promuovere un orientamento auto-regolativo nel percorso formativo seguito.142
140GIDDENSA., Le conseguenze della modernità, Bologna, Il Mulino, 1994, pp. 44-45. 141QUAGLINOG.P., Scritti sulla formazione 3, 1991-2002, Milano, FrancoAngeli, 2006, p. 53. 142Recenti ricerche hanno evidenziato come la semplice compilazione di un diario non produca
risultati apprezzabili, se non è sistematicamente collegato allo sviluppo di capacità di riflessione cri- tica e di competenze auto-regolative. Vedi a esempio: DöRRENBäCHERL. - F. PERELS, More is more?
Evaluation of interventions to foster self-regulated learning in college, International Journal of Edu-
Ciò risulta particolarmente importante come spinta motivazionale permanente al fine di diventare protagonisti della propria formazione e della sviluppo delle proprie com- petenze. La sfida più importante oggi presente nell’ambito dei processi formativi è proprio quella di promuovere nuovi strumenti e modelli educativi capaci di conside- rare l’individuo come all’origine del proprio apprendimento nel corso di tuta la vita. In questo processo la gestione di sé e l’attivazione della pratica riflessiva deve essere continuamente sostenuta e orientata sia dall’istituzione formativa, attraverso i for- matori e le risorse messe a disposizione, sia dal confronto con l’esperienza e dall’ap- porto dei compagni di cammino siano essi colleghi di lavoro o compagni di studio.
4. Il portfolio delle competenze come strumento e metodologia di autoregola-