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L’apprendimento esperienziale come processo

Il secondo significato di un apprendimento esperienziale viene considerato co- me un processo. Questa prospettiva è stata approfondita negli ultimi decenni soprat- tutto nel contesto della formazione di soggetti adulti, evidenziando il fatto che tali modalità di apprendimento sono prevalenti in età abbastanza matura, ma occorre ri- conoscere che esse sono presenti fin dall’infanzia nella vita di ciascuno. Ciò è parti- colarmente vero se si prende in considerazione il concetto di esperienza elaborato a suo tempo da John Dewey. Esso, infatti, non è associato direttamente alla conoscen- za, bensì alla vita concreta degli esseri umani. Questa è una continua interazione tra ciascuno e il proprio ambiente, fisico e sociale. Si tratta di una transazione continua che include emozioni, sollecitazioni estetiche ed etiche, oltre che conoscenza; che è insieme processo esperienziale e suo risultato in una dinamica di natura circolare; un agire e interagire che può portare a conoscere se stessi e il mondo di cui si è parte, ma il cui risultato di gioie e dolori spesso rimane a livello non consapevole. Sovente ciò provoca uno stato di disagio interiore, di cui non si riesce a cogliere la ragione,

ma a partire dal quale può aver inizio una riflessione critica che da una parte cerca di cogliere il senso, il perché del disagio, e dall’altra cerca di superarlo anticipando possibili nuovi scenari.

Valorizzando questa impostazione è possibile determinare processi formativi che si basano soprattutto su metodologie ispirate alla prospettiva dell’apprendimento esperienziale. Alla base di tali metodi sta la predisposizione di attività di tipo educa- tivo e formativo, ricche in sé di valori e significati, da proporre alle persone, accom- pagnando la loro partecipazione in maniera attenta perché ne traggano non solo rea- zioni emozionali positive, ma ne percepiscano anche il senso più profondo. È il sen- so di tutte le forme di stage o di tirocinio pratico, di partecipazione a eventi come convegni, manifestazioni, mostre, anche sindacali, rassegne, festival, ecc. Le solle- citazioni di tali esperienze segnano molti dei partecipanti, tuttavia un buon accom- pagnamento prima, durante e dopo tali eventi dovrebbe aiutare a fare tesoro perso- nale di tali esperienze, favorendo la comprensione del loro significato e valore.

Guy Le Boterf ha delineato alcuni tratti di un percorso formativo che consenta

di promuovere sia il “saper agire” professionale, sia il “voler agire” professionale.105

Anch’egli parte da un concetto ormai dato per acquisito: si apprende dall’esperienza. In effetti egli subito mette in evidenza come una persona che sia capace di agire con pertinenza in una situazione particolare deve possedere un doppia capacità di comprensione: quella della situazione nella quale interviene e quella della propria maniera di intervenire. Comprendere una situazione significa costruire una rappre- sentazione concettuale che permetta di agire in essa con efficacia. Attraverso questa rappresentazione si passa, come è stato ben evidenziato nello studio sulla soluzione

di problemi106. Nel saggio “Educare” da una percezione della situazione in -

determinata, fluida, indistinta a una definizione più chiara e definita (lo spazio del problema, secondo la terminologia di Newell e Simon; il momento del cosiddetto

problem setting) e quindi prefigurare adeguate strategie di intervento (il problem sol- ving). È questo un processo di modellizzazione, di distanziazione, di concettualizza-

zione, una costruzione di natura cognitiva.

La riflessione implica per un soggetto un prendere le distanze da una situazione affrontata, da una pratica lavorativa, in modo da rendere esplicita, nella misura in cui ciò è possibile, la sua maniera di rappresentarle e di utilizzare o sviluppare gli schemi operatori già posseduti. Le Boterf reinterpreta il ciclo proposto da Kolb nel 1984 per descrivere un apprendimento basato sull’esperienza, tenendo conto degli apporti di derivazione piagetiana (Fig. 1).

105LEBOTERFG., Construire les compétences individuelles et collectives, Paris, éditions d' Orga-

nisation, 2000.

1) Si parte dall’esperienza vissuta. Il soggetto è impegnato nell’azione, nella realizzazione di un’attività, di un progetto, nella soluzione di un problema. È l’indi- spensabile momento di avvio, ma se ci si limita a questo si cade nella ripetitività.

2) Si passa alla fase di esplicitazione, il primo momento di riflessività, un rac- contare a se stesso ciò che è avvenuto nell’esperienza vissuta. Non si tratta solo di rappresentare in qualche forma l’esperienza, bensì di trasformare gli avvenimenti in una storia, di renderli intelligibili, fornirli di senso. È una forma di reinterpreta- zione, di ricostruzione tramite quella che Piaget denominava “astrazione riflettente”. Questa fase non è automatica. Essa ha bisogno di mediatori che sappiano porre le giuste domande al soggetto.

3) Segue la fase di concettualizzazione e di modellizzazione. La ricostruzione e reinterpretazione raggiunta con la narrazione conduce ora ai modelli d’azione, ai co- siddetti suoi invarianti operatori, ciò che resta come struttura fondamentale rispetto a ciò che varia, o può variare, come dettaglio contestuale. È un sapere pragmatico che si appoggia su un processo di decontestualizzazione e di elaborazione di schemi o modelli che hanno carattere più generale, più astratto.

4) La quarta fase concerne il trasferimento degli schemi operativi o dei modelli elaborati nel contesto di una nuova situazione o di un nuovo problema. È il momento

della ri-contestualizzazione. Più la nuova situazione è simile a quella precedente più il processo è agevole (fino ad essere automatico). Più essa è distante più sarà grande l’impegno di trasformazione e di “accomodamento” degli schemi o modelli d’azione già elaborati.

6. Conclusione

Certamente ogni apprendimento è collegato all’esperienza, il vissuto che accom- pagna la persona umana in ogni passo nel suo cammino esistenziale. Tali apprendi- menti tuttavia possono essere piò o meno profondi, più o meno significativi, più o meno costruttivi, più o meno positivi dal punto di vista della crescita culturale, per- sonale, morale, fisica, spirituale. Molte volte l’influsso dei contesti di vita è nascosto alla consapevolezza personale, ma a lungo andare si possono interiorizzare modalità di pensare, di agire, di interagire, di comportarsi delle quali non si ha chiara perce- zione, ma che diventano stabilmente presenti nel soggetto.

Così la ripetizione pura e semplice di comportamenti può promuovere vere e proprie abitudini che diventano, come è stato spesso rilevato, forme ormai di dipen- denza, perché iscritte nella stessa struttura corporea dei soggetti.107 Favorire la

consapevolezza di tutto ciò è essenziale perché la propria identità personale e pro- fessionale non sia modellata da altri o dall’ambiente in cui si vive, o dalla ripetizione banale di modi di fare e di rapportarsi, ma costruita dal soggetto nell’interagire con tali contesti. Insistere sul ruolo dell’apprendimento esperienziale identificandone i caratteri essenziali perché esso sia veramente un apporto valido e dinamico alla propria crescita, aiuta non poco nel favorire uno sviluppo autonomo.

1. Introduzione

Abbiamo constatato nei capitoli precedenti la centralità dei processi riflessivi nel- la costruzione della propria identità professionale. Nell’esplorare l’apprendimento esperienziale si è evidenziato il ruolo essenziale della riflessione, riflessione che spes- so assume carattere narrativo, di ricostruzione dell’esperienza per cercare di interpre- tarla e considerarne le sollecitazioni ad approfondirne le istanze di sviluppo di nuove conoscenze e di nuove competenze; in particolare cercando di riprogettare la propria azione in vista di esperienze più ricche di senso e soddisfacenti dal punto di vista ope- rativo. Ora occorre delineare un quadro delle possibili azioni formative e/o auto-for- mative al fine di sviluppare ulteriormente la capacità e la profondità riflessiva.

Abbiamo già osservato come la riflessione critica implichi una qualche forma di distanziazione del vissuto immediato. A differenza della riflessione prima dell’a- zione che porta a impostare un’azione ben pensata e prospettata consapevolmente e di quella durante l’azione, che in qualche modo dialoga con la realtà che si cerca via via di modificare, la riflessione dopo l’azione implica una ricostruzione di quanto sperimentato per cercare di fornirne un’adeguata interpretazione. La riflessione cri- tica, tuttavia, può anche essere estesa all’intera vicenda umana e lavorativa, alla con- siderazione in generale di se stessi e dei propri processi interni e delle azioni esterne. Secondo quanto evocato da Platone si tratta di una forma di dialogo con se stessi per giungere a una presa di posizione. Ci si può quindi chiedere: quali metodologie for- mative possono essere messe in atto per favorire questo tipo di processi.

In questo capitolo ci concentreremo sulle forme di riflessione critica che sono favorite dalle cosiddette “scritture di sé”, cioè da forme di analisi critica delle proprie vicende ed esperienze, in particolare formative e/o lavorative, che sono favorite da procedimenti di scrittura per una diagnosi della situazione dal punto di vista della costruzione della propria identità professionale e da una delineazione di possibili percorsi di un suo sviluppo ulteriore e/o adattamento a nuove sollecitazioni percepi- te. Vengono approfondite soprattutto due forme di scrittura di sé: il diario e il bilan-

cio di competenza. In relazione a quest’ultima forma di scrittura si esplicita anche il

ruolo di strumenti diagnostici delle proprie competenze e relativi livelli. Quanto al portfolio delle competenze se ne approfondirà il ruolo e le caratteristiche in un pros- simo capitolo, tenendo conto anche delle sue forme digitali.

CAPITOLO SESTO

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