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La problematica connessa con lo sviluppo delle competenze personali general

Tutti e tre i quadri di competenze presentati nei paragrafi precedenti danno ampio spazio alle cosiddette competenze personali o soft skills. In particolare il quadro deli- neato dal National Research Council presenta solo questo tipo di competenze. L’emer- gere prepotente dell’attenzione verso di esse è stato ben descritto nelle sua centralità

dal premio Nobel per l’economia James J. Heckman. Egli ha promosso presso il Cen- tro per l’economia dello sviluppo umano dell’Università di Chicago una serie di studi sullo sviluppo del capitale umano confluiti in una pubblicazione del 2014 curata da lui e da J.E. Humphries e T. Kautz dal titolo The Myth of Achievement Tests: The GED

and the Role of Character in American Life40. Due capitoli di quest’opera sono stati

tradotti in italiano a cura della Fondazione per la Scuola della Compagnia di San Paolo,

con una Introduzione di Giorgio Vittadini.41Heckman, oltre che economista, è anche

uno statistico e, sulla base delle ricerche sviluppate in ambito econometrico, ha evi- denziato l’importanza per le singole persone, come per le imprese e l’economia degli Stati, di promuovere nei processi educativi e formativi non solo competenze cognitive, ma anche quelle che egli definisce “competenze del carattere” (character skills).

Le argomentazioni svolte dall’Autore poggiano sulle evidenze provenienti in gran parte proprio dagli studi di tipo econometrico, applicati al campo dell’Istruzione e della Formazione Professionale, ponendosi la domanda se il GED (General Edu- cational Development), cioè l’insieme delle prove che al termine della scuola secon- daria qualificano gli studenti, sia predittivo della riuscita nella vita e nel mondo del lavoro. Si tratta di quelle competenze che Hackman chiama cognitive skills. Egli giunge ad affermare la loro scarsa validità se considerati in isolamento, mentre sem- pre più emergono come determinanti altri tipi di qualità personali, quelle appunto che possono essere descritte come non cognitive skills e che da lui vengono deno- minate competenze proprie del carattere, o character skills.

Nel corso delle sue indagini ha quindi esaminato il ruolo delle competenze prese in considerazione da un diffuso test di personalità denominato Big Five. Esso deriva la sua denominazione dall’aver evidenziato cinque dimensioni fondamentali della personalità umana: estroversione, amicalità, coscienziosità, stabilità emotiva, aper- tura all’esperienza. Dalle sue analisi emergono come fondamentali la coscienziosità, seguita dall’apertura all’esperienza. Occorre aggiungere che la ricerca in psicologia delle organizzazioni e quella in psicologia dell’educazione hanno anch’esse messo in rilievo la correlazione assai pronunciata tra l’apertura all’esperienza e il successo occupazionale e scolastico. Nel primo caso si ha apertura all’apprendimento perma- nente e alla flessibilità, nel secondo caso si ha una correlazione con l’intelligenza, la creatività e la curiosità intellettuale. Così la coscienziosità risulta fortemente corre- lata con il successo occupazionale e scolastico. Nel lavoro risultano importanti alcu- ni aspetti della coscienziosità come affidabilità, precisione, perseveranza. Gli studen- ti coscienziosi, d’altra parte: «[...] risultano organizzati, affidabili e persistenti; si

considerano e sono considerati dagli altri più intelligenti».42

40HECKMANJ.J. - HUMPHRIESJ.E. - KAUTZT., The Myth of Achievement Tests: The GED and the

Role of Character in American Life, Chicago, University of Chicago Press, 2014.

41HECKMANJ.J. - T. KAUTZ, Formazione e valutazione del capitale umano, Bologna, il Mulino,

2016.

42CAPRARAG.V. - BARBARANELLIC. - BORGOGNIL., BFQ Big Five Questionnaire, Firenze, OS,

Egli si pone poi la questione se il carattere e le sue competenze siano tratti stabili oppure modificabili attraverso processi formativi. A questo fine egli passa a esami- nare un numero assai elevato di programmi educativi che centrano l’attenzione sul loro sviluppo e sui risultati effettivi che essi riescono a conseguire, giungendo alla conclusione che non solo l’intelligenza, ma anche il carattere delle persone è malleabile. In termini pedagogici si direbbe che le persone sono educabili da questi due punti di vista.

A conclusione delle analisi puntuali sviluppate, le evidenze riscontrate portano ad affermare che «[...] i programmi di maggiore qualità rivolti all’infanzia esercita-

no effetti durevoli e positivi sui character skills. Le prove emerse riguardo agli in- terventi nelle scuole primarie evidenziano benefici durevoli possibili anzitutto grazie al potenziamento delle abilità caratteriali. Sono invece scarse le valutazioni a lungo termine degli interventi rivolti agli adolescenti. Le prove a disposizione indicano un beneficio molto maggiore per quei programmi che si concentrano sui character skills rispetto a quei programmi che mirano soprattutto alle abilità cognitive e a for- me di apprendimento strettamente scolastiche. I programmi di apprendimento colle- gati al mondo del lavoro che insegnano i character skills si rivelano interventi di maggiore efficacia come strategia di recupero degli adolescenti». La conclusione

generale è questa: «I dati a disposizione suggeriscono che i programmi di recupero

per adolescenti non hanno la stessa efficacia dei progetti più incisivi per la prima infanzia. La costruzione di una base precoce di abilità per promuovere l’apprendi- mento nella vita e l’impegno nella scuola e nella società costituisce una strategia

migliore. La prevenzione conviene più del recupero».43

Occorre anche aggiungere che i dati raccolti da Heckman tendono a confermare quanto già percepito e in molti casi già valorizzato nel mondo del lavoro e della For- mazione Professionale. Ad esempio all’inizio degli Anni Ottanta in Francia era vi- vacemente presente un movimento che faceva dell’apprendimento esperienziale la sua bandiera e che vedeva nello sviluppo del carattere delle persone il centro focale di ogni attività formativa. A testimonianza di questa impostazione si può citare il vo- lume di Alain Kerjean dal titolo Le caractère plus importante que le CV (Il carattere più importante del CV), che rivendica l’importanza nel mondo del lavoro e nella so- cietà economica delle competenze personali che formano il carattere delle persone di fronte a quelle solamente tecniche. Egli cita sondaggi del tempo che avevano ri- levato come nel reclutamento della forza lavoro gli imprenditori mettessero al primo

posto le qualità delle persone (48%), poi l’esperienza (45%).44

43Ibidem, p. 187-188.

6. Lo sviluppo di un’identità professionale implica la progressiva capacità di

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