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Le dinamiche coinvolte nella riflessione personale e nell’attività riflessiva promossa

Jean Guichard e Mark Savickas, commentando i contributi raccolti durante un simposio dedicato alla riflessività presente negli interventi propri della metodologia di consulenza orientativa definita Life Design,90insistono sulla distinzione tra attività

90SAVICKASM.L. - J. GUICHARD, Reflexivity in Life Designing interventions, Journal of Voca-

tional Behavior, 2016, 97, pp. 1-2.

CAPITOLO QUINTO

riflessiva di primo ordine e attività riflessiva di secondo ordine. Il primo tipo di ri- flessione coinvolge processi interpretativi che aiutano a dare senso e significato alle esperienze vissute e alle situazioni problematiche da affrontare sulla base dei quadri di riferimento posseduti (assunzioni, convinzioni, ruoli assunti). La seconda tipolo- gia di riflessione è più profonda e coinvolge un cambiamento di prospettiva inter- pretativa. Questa distinzione evoca quanto a suo tempo Jack Mezirov aveva proposto circa i processi di apprendimento trasformativi. Egli partiva da una concezione dell’apprendimento nel quale svolge un ruolo centrale il processo interpretativo: l’apprendimento a livello adulto è «[...] il processo connesso con l’uso di una prece- dente interpretazione per costruire una nuova o una rivista interpretazione del signi-

ficato di una propria esperienza come guida per azioni future».91

L’apprendimento è così visto da Mezirov come un processo interpretativo dialet- tico mediante il quale interagiamo con oggetti ed eventi, guidati da un insieme d’at- tese già presente. «In altre parole, noi usiamo le attese già stabilite per spiegare e costruire ciò che percepiamo essere la natura di un aspetto dell’esperienza che fino ad ora manca di chiarezza o è stata mal interpretata. Tuttavia, in un apprendimento trasformativo reinterpretiamo una vecchia (passata) esperienza (o una nuova) da un

nuovo insieme d’attese, dandole così un nuovo significato e una nuova prospettiva».92

Egli precisa poi quattro forme di apprendimento gradatamente sempre più im-

pegnative.93La prima forma concerne l’apprendere attraverso gli schemi interpreta-

tivi già posseduti, che possono essere ulteriormente differenziati ed elaborati per adattarsi alla nuova esperienza, oppure possono essere utilizzati immediatamente senza bisogno di alcun adattamento. In quest’ultimo caso, ciò che cambia rispetto al passato è solo la risposta specifica. La seconda forma d’apprendimento riguarda la formazione di un nuovo schema interpretativo, cioè la creazione di nuovi significati, che siano sufficientemente consistenti e compatibili con le prospettive di senso già esistenti, per integrarle e in questo modo estenderne gli scopi. La terza forma d’ap- prendimento avviene attraverso la trasformazione di schemi di significato, o schemi interpretativi. Questo tipo d’apprendimento implica una riflessione attenta circa la qualità delle assunzioni, o presupposizioni, sulle quali essi si basano. In tale contesto, nostri specifici punti di vista e particolari convinzioni si manifestano poco funzionali o del tutto inadeguati di fronte a una nuova situazione o esperienza e sperimentiamo, di conseguenza, un crescente senso d’inadeguatezza delle nostre vecchie maniere di vedere e di comprendere. La quarta forma si ha quando la trasformazione riguarda più in profondità la prospettiva stessa di significato, cioè si diventa consapevoli, attraverso la riflessione e la critica, della natura erronea dei presupposti sui quali si

91MEZIROw J. et alii, Learning as Transformation, Jossey-Bass, San Francisco 2000, p. 5;

MEZIROwJ., Transformative Dimensions of Adult Learning, Jossey-Bass, San Francisco 1991, p. 12

92MEZIROwJ., Transformative Dimensions of Adult Learning, Jossey-Bass, San Francisco 1991,

p. 11.

basa una distorta o incompleta prospettiva di significato e, a partire da questa con - sapevolezza, ci si impegna nel trasformare tale prospettiva attraverso una riorganiz- zazione dei significati.

Analoga progressione la possiamo riscontrare nella distinzione avanzata

da George Bateson94tra processi di apprendimento di diverso livello. In questo caso

il cambiamento di schemi interpretativi e di prospettive di significato si colloca al terzo livello, rispetto a livelli precedenti che passano da uno elementare basato sulla ripetizione a uno più consapevole che porta allo sviluppo di abiti mentali che superano la singola esperienza. A questo terzo livello si può mettere in discussione quanto appreso ai due livelli precedenti. Ma andiamo con ordine.

Nella prospettiva batesoniana il primo livello di apprendimento, detto livello

zero, riguarda risposte specifiche e isolate, un “sapere” che è riferito a semplici infor-

mazioni o conoscenze puntuali. In genere si ha un accumulo di elementi informativi staccati tra di loro, che esigono per diventare un vero patrimonio conoscitivo di essere collegati e integrati fino a costituire quadri concettuali. Ma questo passaggio richiede lo sviluppo di abilità di natura superiore. Il secondo livello, detto livello uno, consiste nel “saper fare” nel senso più pratico-motorio, che in quello più cognitivo come inte- grare esperienze e conoscenze in un quadro interpretativo, risolvere semplici problemi o affrontare specifiche situazioni, mettendo in gioco le proprie conoscenze operative. Nella prospettiva più ampia dei processi educativi si può parlare di singole azioni, che possono essere considerate positive o negative da qualche punto di vista e quindi cor- rette da un educatore o un soggetto più esperto. Il ripetersi di azioni in contesti simili e coerenti tra loro da qualche punto di vista porta a poco a poco a sviluppare quello che nel linguaggio di Bateson si definisce deutero-apprendimento, o apprendimento di livello due. Questo livello è caratterizzato da abiti, cioè da disposizioni ad agire che si presentano coerenti nel tempo. Tali disposizioni diventano sempre più stabili a ma- no a mano che le azioni tendono a rinforzarle fino a giungere a forme di automatica messa in moto del comportamento, quando le circostanze le richiedono.

Si può giungere, poi, a un ulteriore livello di apprendimento, o apprendimento di livello tre, che può essere considerato di tipo metacognitivo o di consapevolezza critica delle disposizioni all’agire sviluppate, consapevolezza che può portare anche a un giudizio negativo su alcune di esse e alla decisione di cercare di modificarle o almeno di controllarle. A questo livello l’integrazione tra sapere e conoscenza rag- giunge il suo livello più elevato. Infatti, per poter giudicare gli abiti sviluppati, siano essi di natura fisica o motoria, di natura intellettuale, oppure di natura pratica produttiva o etica, si richiede una quadro interpretativo e valutativo che consenta tale operazione. In questo caso la valutazione della qualità dell’agire non proviene più dall’esterno, bensì dall’interno del soggetto stesso, dal suo quadro di valori e di prospettive e finalità personali.

Dal nostro punto di vista si ha così un preciso riferimento al ruolo della rifles- sione sull’esperienza vissuta nei processi di costruzione della propria identità pro- fessionale. Viene certamente implicata l’attivazione di processi riflessivi riferiti alla propria esperienza, che possono assumere sia la forma di riflessione di primo ordine, secondo l’impostazione di Guichard e Savickas, sia di secondo ordine. Tuttavia sia nel primo caso, sia nel secondo caso, la ricerca psicologica ha messo in evidenza come tali processi ben difficilmente riescano a essere messi in atto se non si è ade- guatamente aiutati, se non si è sviluppata una certa pratica nel farlo, se non si elicita una particolare intenzione di farlo. È quanto afferma in sostanza B. Rey, quando sol- lecita un’attenzione particolare all’intenzionalità del soggetto ed evidenzia la facilità

di errori interpretativi dovuti a una lettura superficiale della nuova situazione.95

Di qui la necessità di promuovere nei soggetti le abilità di comprensione profonda delle situazioni, di riflessione critica relativa alle proprie esperienze, di costruzione di riferimenti interni quanto è possibile decontestualizzati, di desiderio di esaminare le nuove situazioni e le nuove esperienze, mettendole in relazione con le precedenti per coglierne somiglianze e differenze non solo superficiali.

Jean Guichard96rilegge il processo riflessivo come un processo “dialogico con

se stesso” nel quale il soggetto stesso è un io che pone una questione a se stesso, considerato quasi un tu, e aspetta da lui una risposta sulla base di quello che questo tu ha inteso. Tale impostazione può evocare quanto Platone ha descritto nel Teeteto, spiegando il significato del pensare, del riflettere e che abbiamo già citato nel secon- do capitolo. Val la pena di riprendere l’interpretazione che dà Platone al termine pen- sare: «[...] il dialogo che l’anima per sé instaura con se stessa su ciò che sta esami- nando. [...] Infatti mi pare chiaro che, quando pensa, l’anima non fa altro che dialo-

gare interrogando se stessa e rispondendosi da sé, affermando e negando».97

Jean Guichard continua, chiarendo che spesso si tratta di un’interpretazione a partire dal quadro di riferimento concettuale ed esperienziale già posseduto. Nell’at- tività di consulenza tuttavia dovrebbe mettersi in moto un doppio dialogo: tra il sog- getto e il consulente, ma anche del soggetto con se stesso. In questo doppio dialogo è possibile che venga sollecitata una diversa interpretazione e stimolata una diversa prospettiva di senso e prospettiva di esistenza, in base alla quale lo stesso dialogo interiore viene guidato a modificare le interpretazioni e le prospettive iniziali. Così il consulente gioca un ruolo veramente attivo nello sviluppo della riflessione del sog- getto e quindi anche nella costruzione della propria identità non solo professionale, ma spesso anche esistenziale.

95REYB., Les compétences transversales en question, Paris, ESF, 1996, cap. 3.

96GUICHARDJ., Reflexivity in Life Designing interventions: comments on life and career design

dialogues, Journal of Vocational Behavior, 2016, 97, pp. 78-83.

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