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CAPITOLO II APPROCCI METODOLOGICI E FILOSOFICI ALLA DIDATTICA

I. L’approccio teorico e filosofico

I.1 Approcci sociocostruttivisti alla didattica on-line

La formazione a distanza ha vissuto fasi diverse, che affondano le proprie radici nella carta e nella penna: il corso inviato per posta, a cui fa seguito la lezione alla radio e poi in televisione, per passare successivamente alle prime forme di educazione tramite computer e Internet, con corsi a distanza rivolti a numeri sempre maggiori di partecipanti. In quest’ultima tipologia di corso, i materiali possono essere inviati via e-mail oppure ospitati su siti, quale che sia la natura del contenuto: digitale, scansionato, testuale, audio, video.

Un modello simile di formazione a distanza, in uso da diversi decenni in istituzioni educative o tra i privati del settore, privilegia la trasmissione di contenuti “asettici”, in cui al dato informativo non si

119 Le virgolette indicano la distanza epistemologica di questo scritto nei confronti di una visione oggettivistica del mondo

quale oggetto a sé stante. La formulazione di questo principio consente di sottolineare l’intervento della coscienza individuale nell’interpretazione di ciò che circonda e attraversa il soggetto, e la possibilità, al contempo, di intervenire sul mondo per modificarlo.

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accompagna una dimensione sociale, con il docente o con i pari. Lo scenario previsto è caratterizzato dalla scarsa attenzione al dialogo con lo studente che si trova dall’altra parte dello schermo di un dispositivo digitale (ma anche dello schermo televisivo, della radio, del materiale cartaceo; cfr. Saba 2003: 7). Lo studente gode di un accesso agevolato ai contenuti, ma scarso al docente, e nullo o rarefatto con i propri pari121: l’approccio insiste sull’autonomia dello studente, responsabile del proprio apprendimento nella misura in cui esso viene innescato dalla sua interazione con i materiali o, al contrario, non si produce se il rapporto con i contenuti resta quello della ricezione passiva di informazioni memorizzate, ma non rielaborate.

La formazione a distanza che punta sulla partecipazione di grandi numeri di studenti autodiretti è stata definita una modalità formativa di tipo industriale (Peters 1994), non più in sintonia coi valori della società contemporanea (o post-moderna), società che Peters (1988: 124) descrive come segnata da un passaggio “from rationality to irrationality, from unemotional action to emotional expression, from institutional roles and standards to individual roles and standards, from duties to society to orientation towards personal gratification […] The consequence of this change is that the post-modern self is disposed to behaviour that no longer corresponds to distance education in its industrial character122”.

Al modello tradizionale, erogativo, della formazione a distanza, Garrison e Anderson (1999) oppongono allora un approccio che si vuole post-industriale. Gli autori, che scrivono a cavallo di un secolo di grandi rivolgimenti tecnologici, e in un periodo in cui il paradigma sociocostruttivista raccoglie sempre maggiori consensi, propongono una “little distance education123” universitaria,

121 Anche con grandi numeri di studenti, si può dare spazio alla dimensione sociale, coltivando la relazione tra formatore e studente attraverso la moltiplicazione dei tutor, e la relazione tra i pari grazie alle attività collaborative in cui la classe viene suddivisa in gruppi di lavoro. In alcuni casi, però, può essere significativo che sia la stessa persona a occuparsi degli sia aspetti valutativi che emotivi degli studenti; nel caso della didattica dell’interpretazione, assommare entrambe le figure in sé può servire al formatore per lavorare sulla paura del giudizio da parte degli studenti.

122 A nostro giudizio, si tratta di un cambio di paradigma che apre la strada a derive individualiste; in termini educativi,

alla ricerca di un Graal che consenta di soddisfare ogni esigenza di ciascuno studente (rimuovendo del resto così il soggetto del formatore come persona). Una possibile soluzione viene indicata dal radicamento dell’apprendimento individualizzato (eccezionale, irripetibile) in una comunità. In questo senso, ci si discosta dal Sé autonomo ma atomizzato del pensiero moderno per abbracciare la visione postmoderna di un Sé in una relazione di interdipendenza con altri (Chang 2008).

123 La definizione di Garrison e Anderson riprende la distinzione tratteggiata da Schramm (1977) tra “big media” e “little

media”: i primi, audiovisivi e (all’epoca) costosi, non sarebbero però didatticamente più efficaci dei “piccoli” media, che utilizzano un solo canale comunicativo. I due autori superano però questa dicotomia tra media per concentrarsi sul

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caratterizzata da un forte accento su interazione e apprendimento significativo e attivo124 (Saba 2003). L’avvento di tecnologie che consentono di comunicare tra persone (dapprima in maniera asincrona), e non più solo con una tecnologia o una istituzione, permette di superare alcune delle criticità caratteristiche della formazione a distanza delle generazioni precedenti: la monomedialità, la comunicazione unidirezionale tipica dei mass media, la riduzione dei contatti sociali (formali e informali) tra gli studenti e con il formatore, e l’isolamento spaziale e sociale degli studenti (Peters 2003: 98125).

Il modello proposto da Garrison e Anderson ci pone di fronte l’importanza di una precisa visione del sapere e dell’apprendimento nel momento della progettazione didattica. Convinti della validità di una didattica centrata sulla relazione126 e sullo scambio comunicativo all’interno di una comunità, gli autori promuovono quella che, all’epoca, si presenta come una impresa di epiche proporzioni, che implica l’aggiramento e la manipolazione delle affordances dei mezzi tecnologici a disposizione sul finire degli anni Novanta. Gran parte dell’interazione pedagogica a distanza avviene allora giocoforza in maniera asincrona: sono quindi richiesti particolari accorgimenti per sollecitare la motivazione e la partecipazione continuativa degli studenti, con rischi di abbandono del corso, insoddisfazione, percezione di mancato apprendimento.

La stessa impostazione teorica è certo oggi facilitata dalle affordances delle tecnologie a nostra disposizione, che con la loro natura sincrona e pervasiva fanno sempre più parte delle nostre vite, dentro e fuori la classe. La grande innovazione dei social networks ha introdotto una nuova visione della relazione con e attraverso le tecnologie anche nella didattica: luoghi dell’intrattenimento e della relazione quotidiani, gli ambienti digitali sono sempre più percepiti come spazi di socialità piuttosto che di isolamento. La didattica che faccia uso di ambienti comunicativi digitali non è forse più radicalmente innovativa, ma si appropria di contesti comunicativi oggi consueti che consentono di

modello didattico che sottende la formazione a distanza, nei loro testi sempre pervasa da una forte dimensione comunicativa e conversazionale.

124 Le altre caratteristiche tipiche della “piccola formazione a distanza” sono l’architettura distribuita che facilita l’amministrazione universitaria, il rilievo dato alla ricerca sul campo e un occhio di riguardo verso il rapporto costi- benefici.

125 Qui Peters individua un ulteriore limite proprio della prima e seconda generazione della formazione a distanza, ossia la scarsa partecipazione degli studenti al processo scientifico.

126 Moore (2003) sottolinea che la formazione a distanza contiene in se stessa un’apertura all’Altro in senso egualitario, centrata sulla facilitazione dell’interazione e su un parziale trasferimento del controllo e dell’autorità dall’insegnante agli studenti.

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esplorare generi a sé stanti, che esistono in maniera autonoma e non come varianti depotenziate della conversazione in presenza (Herring 2001). In questo modo, essa può in alcuni casi potenziare l’autenticità delle attività didattiche, e trovando in questa possibilità una sua originalità e ricchezza. Questi ambienti comunicativi sono da ripopolare con obiettivi, registri e contenuti adatti alla didattica, oggi che gli studenti hanno una buona familiarità con chat e social networks (anche nella forma della conversazione asincrona tramite post), ma corrono il rischio di utilizzare registri inappropriati, esercitando la propria padronanza degli strumenti ma travisando le norme comunicative proprie delle attività educative (Ally 2004) in qualsiasi ambiente.

Per supplire alle difficoltà della comunicazione asincrona dei primi esperimenti didattici in rete, può ancora essere valida la nozione di community of inquiry (“comunità di indagine”) elaborata da Archer, Garrison e Anderson (2000). Un simile tipo di comunità, formata dagli studenti e dal docente, si caratterizza per il suo scopo: investigare un argomento che viene analizzato e dibattuto on-line, in forma scritta e asincrona. Tali caratteristiche della discussione possono dare, secondo gli autori, un impulso alla riflessione, con la produzione di contributi più ragionati e, potenzialmente, più rivelatori di forme di pensiero critico127 (Garrison, Anderson, Archer 2003). Questa ipotesi sarebbe, tuttavia, da dimostrare in maniera più accurata anche secondo gli stessi autori, un’impressione confermata da Shea, Bidjerano (2009b) e da Garrison, Cleveland-Innes (2005).

Ci sembra inoltre che un ragionamento profondo, al di là della sua natura maggiormente strutturata e organica, dipenda da una serie di fattori: le conoscenze pregresse dello studente, quelle acquisite o esperite durante la lezione, la natura del dialogo con i pari e con il formatore, la predisposizione personale, la motivazione – soprattutto – a investire emotivamente e pragmaticamente nel lavoro cognitivo dell’interrogarsi.

Va sottolineato che la community of inquiry non coincide con una qualsiasi comunità di apprendimento on-line. Essa non costituisce un ambiente, ma un processo, un insieme di azioni (che vanno dalla progettazione didattica ai contributi conversazionali) consapevolmente costruite allo scopo di promuovere l’indagine su un problema e di coltivare il coinvolgimento epistemico (“epistemic engagement” in Larreamendy-Joerns, Leinhradt 2006) degli studenti, ossia l’impegno attivo dello studente nell’analisi di un problema e nella formulazione di possibili soluzioni: un

127 Gli stessi autori riconoscono la difficoltà di definire questo costrutto, definibile come un insieme di competenze che

sono però difficilmente individuabili e misurabili (Kuhn 1999 in Garrison, Anderson, Archer 2003). Ai fini del presente studio, abbiamo considerato come manifestazioni di pensiero critico ogni forma di indagine personale di problemi e di messa in discussione ragionata e argomentata di visioni, teorie, risposte altrui. In particolare, abbiamo individuato un tipo di organizzazione del pensiero in cui il ragionamento esprime da dove parte, una proposta di analisi e risoluzione ed eventuali punti deboli della proposta che derivano dall’osservazione del problema da un’altra prospettiva.

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processo che consentirà loro di sviluppare il linguaggio e le competenze di una comunità professionale attraverso l’indagine di gruppo (Shea, Bidjerano 2010). Il coinvolgimento epistemico diventa allora il risultato di una serie di azioni ragionate da parte del formatore, che coltiva, nel modello della community of inquiry, tre tipologie di presenza: la presenza sociale, espresse nelle interazioni con e tra gli studenti, attraverso forme diverse di intervento, quali l’utilizzo di contributi a carattere umoristico, o il ricorso alle proprie esperienze personali; la presenza didattica, che si manifesta in tutti gli interventi del formatore, siano essi di coordinamento (facilitazione del dialogo), direttivi (istruzioni) o progettuali (Garrison et al. 2000; Anderson et al. 2001); e infine la presenza cognitiva, promossa, secondo il modello, dall’ambiente supportivo e accogliente che la presenza sociale crea (e da cui è a sua volta creata) e dalla presenza didattica che struttura ambiente, attività e dialoghi.

A queste tipologie di presenza, Shea, Bidjerano (2010) aggiungono un quarto elemento: la learning

presence128, che viene accostata dagli autori all’autoregolazione degli studenti e, quindi, alla loro

capacità di dosare sforzi ed energie dedicate al compito. Tale nozione ci sembra di particolare importanza all’interno di una didattica che voglia promuovere e rendere conto dell’apporto personale, attivo e autonomo, dello studente, in particolare per l’introduzione, nella learning presence, del costrutto di autoefficacia (Bandura 1986), che consiste nell’adozione da parte degli studenti di un “system of epistemological and motivational beliefs that classifies failure as an occasion to be informed, a condition that is controllable, and a stimulus to spend effort to achieve better” (Winne 2005 in Shea, Bidjerano 2010: 1723). Il formatore può sollecitare tale approccio valoriale nello studente, che vi contribuisce con l’interpretazione di esperienze vissute (o esperite in qualità di osservatore), grazie al feedback altrui, dei pari o del formatore. Così la percezione di autoefficacia diventa uno snodo del passaggio tra presenza sociale e didattica da un lato, e presenza cognitiva dall’altro: se lo studente apprende, è (anche) perché l’ambiente comunicativo è supportivo, gli interventi altrui rinforzano la propria percezione di riuscire a controllare e a eseguire il compito, e ciò conduce a una percezione129 di presenza cognitiva che promuove l’apprendimento. L’indagine

128 Una possibile traduzione di questo termine che voglia sottolineare l’azione dell’apprendere è “presenza conoscitiva”.

Se si volesse invece focalizzare l’attenzione sulla persona al centro del processo, si potrebbe parlare di “presenza dell’apprendente”.

129 Trattandosi di costrutti compositi, spesso a base psicologica, risulta difficile valutare le “presenze”. L’indagine delle

percezioni degli studenti stessi va accompagnata a valutazioni a carattere più oggettivo, come l’analisi dei contributi negli spazi comunicativi del corso, o forme di valutazione di attività didattiche. Nell’analisi di componenti proprie del pensiero critico, altro costrutto di difficile definizione, Bruno e Dell’Aversana (2016) propongono uno schema che rileva la presenza di un “linguaggio mentale” che indichi una esplicitazione da parte dello studente di nessi tra le emozioni e la

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condotta su più di cinquemila studenti da Shea e Bidjerano (2008) fa emergere una correlazione tra la presenza didattica e la percezione di autoefficacia maggiore per i corsi blended; il contatto personale, anche non costante, promuove la sensazione di presenza degli altri, percepita come lacunosa in una dimensione digitale. Ciò può indurre a considerare, anche per un corso blended, la necessità di “an expanded teaching presence construct, one which acknowledges that successful online students are metacognitively, motivationally, and behaviorally active participants in their own learning processes” (Shea, Bidjerano 2010: 1727).

La nozione di community of inquiry e delle quattro presenze che la strutturano si inserisce nella scia del paradigma sociocostruttivista e può essere utilizzata dal formatore per concepire diversamente i propri interventi on-line, con l’obiettivo di coniugare spinte cognitive e sociali. Tra gli interventi possibili, il formatore può creare contenuti di apprendimento significativi e stimolanti, porre domande che presentino aspetti meno evidenti del problema agli studenti, fornire informazioni complementari e di approfondimento alle loro riflessioni, individuare falle nel ragionamento e quindi proporre un modello di analisi, indagine, strutturazione del problema e del pensiero, e, infine, proporre interpretazioni individuali del problema analizzato collettivamente.

Quest’ultimo intervento, che rivela il docente nella sua veste di professionista e di ricercatore esperto (nel senso freiriano del termine: cfr. §II.1.2, infra), reintroduce l’autorità epistemica del formatore e il suo sapere all’interno della lezione. Un tipo di contributo che, nella letteratura dedicata alla didattica digitale (Morris, Xu, and Finnegan, 2005; Goold, Coldwell, and Craig 2010), è correlato a una soddisfazione degli studenti, i quali percepiscono la presenza didattica come un elemento di accompagnamento nella scoperta e nella costruzione del sapere, con una qualità, quindi, anche sociale.