CAPITOLO I L’INTERPRETAZIONE TELEFONICA IN AMBITO MEDICO: TRATT
VIII. Tipicità e problematiche dell’interpretazione telefonica
Abbiamo illustrato più sopra alcuni fattori che giocano a favore di una introduzione dell’interpretazione telefonica, in particolare nel settore sanitario. L’accesso a un interprete nella propria lingua costituisce una componente importante di una cura (e di una prevenzione) di qualità, e l’interpretazione telefonica assicura l’accesso a un interprete a costi ridotti per l’istituzione, anche per lingue padroneggiate da pochi professionisti (e magari residenti in aree estremamente distanti tra
78 A proposito della necessità di una collaborazione tra tutti i partecipanti all’interazione per il conseguimento di una
qualità della resa interpretativa, Wadensjö scrive: “the outcome of interpreters’ work is dependent on the primary participants, on their mutual relations, on how they relate to the interpreter, and on their communicative style” (1998: 3). Allo stesso principio, ma con una prospettiva più ampia, si ispira Hale (2007: 137) nell’affermare: “the responsibility for quality interpreting services does not lie solely with interpreters, but with all the participants involved in the interaction, as well as with the system that trains, accredits and employs them”.
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loro), e in orari notturni, come nel caso dei turni di notte o nel caso delle emergenze sanitarie (Gracia- García 2002). La presa in carico dei pazienti avviene in tempi minori (Rivadera et al. 2000) e, presumibilmente, proprio perché il paziente si rivolge con anticipo al servizio sanitario e non è necessario seguire le tempistiche dilatate di un interprete in presenza, la presa in carico da parte del servizio è di minor durata (Hardt 1992). Un ulteriore elemento a favore dell’interpretazione telefonica è la maggiore privacy di cui godrebbero i pazienti, in particolare durante certi tipi di visite diagnostiche e per pazienti appartenenti a culture per cui il genere dell’interprete potrebbe causare imbarazzo durante una visita (Cabrera Mendéz, Capiozzo, Danese 2018).
Non mancano, in letteratura, anche le segnalazioni dei vantaggi per gli interpreti: la possibilità di non dover assistere a situazioni traumatiche, il minor coinvolgimento emotivo (Loutan, Farinelli, Pampallona 1999) e conseguente minor rischio di burn-out79, una maggior facilità nel conservare la distanza professionale che spesso non può essere mantenuta quando interprete e paziente sono lasciati da soli in un contesto presenziale (situazione che rimane in realtà possibile anche al telefono; cfr. Cheng 2015; Kelly 2008b).
Allo stesso tempo non mancano certo le criticità tipiche del mezzo che consente la comunicazione. Piuttosto che negare la validità della pratica, tuttavia, la letteratura più recente ha preferito individuare alcune linee di intervento: le soluzioni più frequenti sono l’utilizzo di apparecchiature migliori (Cheng 2015), la formazione ad hoc degli interpreti da remoto (Ko 2006; Iglesias Fernández, Muñoz López 2018) e degli utenti istituzionali (Spinolo 2018).
Il primo elemento problematico è rappresentato dall’assenza di fattori visivi. Poiché la comunicazione tra esseri umani è costituita in buona parte dalla comunicazione non verbale e non linguistica, l’interprete telefonico si trova nell’ardua condizione di dover comprendere, far comprendere, coordinare una comunicazione tra due parlanti senza il supporto di alcun fattore visivo, in entrata o in uscita. A questa non facile condizione, Pallotti e Bercelli (2002: 181) oppongono un vantaggio conversazionale legato all’assenza di input non verbali. Gli autori evidenziano infatti come “la restrizione delle risorse espressive alle sole risorse vocali semplific[hi] drasticamente il gioco comunicazionale e lo linearizz[i], organizzandolo in sequenze meno variabili, meno articolate in flussi comunicativi paralleli”. È sicuramente vero che la conversazione telefonica è regolata da
79 La ricerca nell’ambito dell’interpretazione sta affrontando sempre più spesso il problema del burn-out degli interpreti
che lavorano in situazioni ad alto portato emotivo, come gli ospedali o le commissioni che devono prendere in esame le richieste d’asilo, in cui i richiedenti espongono le proprie storie, spesso dolorose e traumatiche. Cfr. Wadensjö (1998); Lee (2007) per gli interpreti nei servizi pubblici; Valero Garcés (2015) per una panoramica degli studi condotti; Bower (2015) per l’interpretazione dei segni in videoconferenza; Lor (2012) per gli incarichi con pazienti psicologici o psichiatrici traumatizzati.
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procedure ritualizzate che caratterizzano alcuni momenti della conversazione (in particolare l’apertura e la chiusura) e che la conversazione telefonica in ambito medico è ulteriormente impostata secondo protocolli che appartengono al setting e al mezzo telefonico attraverso il quale sono condotte. Tuttavia, la tensione verso la regolamentazione dell’interazione telefonica, che è funzionale a una rapida erogazione del servizio, non corrisponde automaticamente a una linearità della comunicazione. Ci sembra inoltre che questa affermazione presenti un quadro idealizzato della comunicazione, in cui sono assenti sia le difficoltà causate dall’indebolimento della dimensione interazionale e affettiva, sia le maggiori difficoltà cognitive che riguardano la comprensione del discorso e della situazione comunicativa. Se da un lato, quindi, l’interprete può volgere a proprio vantaggio le procedure comunicative che regolano l’interazione in corso, dall’altro esse esistono proprio perché, a monte, l’assenza di stimoli visivi produce difficoltà oggettive a cui gli utenti hanno dato e danno risposta attraverso specifici orientamenti verso le risorse che hanno a disposizione (Hutchby 2001). Tali difficoltà hanno anche un effetto più individuale sulla performance dell’interprete, poiché l’assenza di fattori visivi è correlata a un carico cognitivo maggiore per l’interprete (Ko 2006; Braun 2015; Amato 2018), che più rapidamente rischia di affaticarsi e non riuscire a garantire una performance di qualità80. La sensazione di affaticamento e di difficile concentrazione, tuttavia, viene riportata più genericamente per l’interpretazione da remoto, con o senza stimoli visivi: la percezione di affaticamento è stata difatti rilevata anche per l’interpretazione in videoconferenza (Andres, Falk 2009; Braun 2015; Kurz 1999, Fors 1999 in Ko 2006).
Per contro, Ko (2006) dimostra, in un interessante studio, il ruolo svolto dall’esperienza nel miglioramento della resa dell’interprete telefonico e della sua resistenza alla fatica fisica e mentale: con l’aumentare degli incarichi telefonici, gli interpreti percepiscono una fatica sempre minore e, parallelamente, una maggior soddisfazione nei confronti della propria resa. Emerge una curva di apprendimento per cui, con l’aumento delle sessioni di interpretazione telefonica, aumenta il livello di concentrazione percepita. La tabella seguente illustra i dati della sperimentazione che si riferiscono alla capacità di concentrazione dei sei interpreti riportata.
80 Braun, Taylor (2012) segnalano un inizio di affaticamento in videoconferenza attorno ai trenta minuti; tale sensazione
è probabilmente legata, come dimostra Ko (2006) per l’interpretazione telefonica, alla scarsa esperienza (e, quindi, alla mancanza di strategie di risoluzione dei problemi) che gli interpreti hanno del setting.
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15 minuti 30 minuti 45 minuti 60 minuti
Sessione 1 5 1 Sessione 2 3 3 Sessione 3 2 4 Sessione 4 1 3 2 Sessione 5 1 1 3 1 Sessione 6 2 3 1 Sessione 7 1 3 2 Sessione 8 1 2 3
Tab. 1. Aumento della capacità di concentrazione in sessioni interpretative ripetute (Ko 2006).
Si nota un aumento della capacità di concentrazione degli interpreti che arriva, per la maggior parte dei partecipanti, ai quarantacinque minuti o all’ora. Gli interpreti intervistati affermano di poter interpretare in questa modalità per un’ora senza incontrare difficoltà, pur preferendo incarichi di durata non superiore a un’ora e un quarto. Si tratta di un tempo non breve e non sempre necessario: se Ko (2006) ha come esplicito obiettivo lo sdoganamento della pratica dell’interpretazione telefonica in ambito giuridico, dove potrebbe essere impiegata in processi che possono avere una durata di due o tre ore, in altri setting, come quello medico, la durata di una interpretazione può essere decisamente inferiore: chiamate d’emergenza, follow-up, prenotazione di visite o di esami possono richiedere molto meno tempo.
Ko (2006) mette anche l’accento su un secondo possibile atout: non solo l’esperienza, ma anche l’utilizzo di dispositivi adeguati può facilitare enormemente l’interprete. Dispositivi mobili che tengono impegnate le mani, o cuffie e auricolari non professionali, possono creare difficoltà, stress, affaticamento facilmente aggirabili. L’importanza di un’apparecchiatura adeguata è sottolineata come garanzia di qualità in diversi studi (Gracia-García 2002), con una particolare preferenza per i dispositivi che lasciano libere entrambe le mani (Ko 2006; Amato 2018; Spinolo 2018; Cabrera Mendéz, Capiozzo, Danese 2018): aggiungiamo così alle strategie che permettono all’interprete di ridurre il proprio carico cognitivo la tecnica della presa di note, che non è però nota a tutti gli interpreti
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(e per cui una formazione specifica risulta preziosa); inoltre, la possibilità di avere le mani libere consente il ricorso a risorse esterne, preferibilmente on-line o digitali per la loro rapidità di accesso, come dizionari, glossari (personali o meno), siti che presentano equivalenti traduttivi in contesto, enciclopedie, motori di ricerca in genere (ad esempio, per capire meglio il nome della località, magari mal pronunciata, in cui si trova la persona che sta chiamando; cfr. Rosenberg 2007; Amato 2018). Questo prevede però l’esercizio della professione in un luogo preposto (seguendo anche Kelly 2008b) e non, come spesso accade, in maniera estemporanea, là dove si trovi l’interprete in quel momento (Lee 2007; Cheng 2015).
La problematica dell’assenza di fattori visivi non influenza solo il carico cognitivo dell’interprete, ma ha ulteriori ricadute sulla dimensione interazionale. David Mintz (1998), ex-presidente della National Association of Judicial Interpreters and Translators (NAJIT), l’associazione di categoria che rappresenta interpreti e traduttori giuridici negli Stati Uniti, sottolinea il rischio di interpretare senza fattori visivi in un contesto legale, dove la comprensione del parlante da parte dell’interprete, e la resa dell’interprete di fronte al giudice, possono essere inficiate, o depotenziate, dalla mancanza di fattori visivi. Ancora in ambito giuridico, alcuni eventi comunicativi appaiono più a rischio di altri: una testimonianza in tribunale, per cui la veridicità e la credibilità di una persona sono al cuore del verdetto che verrà poi emesso, può più facilmente, e gravemente, essere influenzata da una comunicazione mutila.
Il problema della credibilità in tribunale non affligge però la sola interpretazione telefonica: si tratta, piuttosto, di una delle maggiori difficoltà di questo particolare ambito, per cui la resa dell’interprete non è mai realmente neutra81, spersonalizzata, nonostante all’interprete giuridico venga richiesto di non “interpretare”, ma di rendere “parola per parola” quanto viene detto82. E tuttavia, la perplessità espressa da Mintz sembra legittima: in contesti in cui un errore dell’interprete può condurre a gravi conseguenze sulla vita di una persona, è forse meglio che le istituzioni garantiscano contesti interpretativi meno irti di difficoltà, in cui la comprensione dell’interprete e la sua resa possano godere di tutti gli input disponibili, per cui un sistema di videoconferenza (AVIDICUS 2011-16) può forse meglio rispondere alle esigenze di accesso a un interprete in un luogo remoto in questo tipo di setting.
81 Ne è prova uno studio di Berk-Seligson (1990) sull’impatto della resa dell’interprete nella percezione di credibilità di
un testimone da parte dei giurati: al variare di alcune caratteristiche conversazionali, come le formule di cortesia, aumentava la percezione di credibilità del testimone interpellato.
82 In questo senso, la richiesta – irrealistica – dei clienti istituzionali di un interprete in ambito legale manifesta una
sostanziale incomprensione del compito interpretativo e promuove la visione dell’interprete-traduttore come trasmettitore di un messaggio immanente.
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Ciò che però è maggiormente compromesso nell’interazione telefonica interpretata è la dimensione interazionale e affettiva, più difficoltosa quando i partecipanti non condividono lo stesso spazio fisico e lo stesso frame of reference. Tale indebolimento può essere legato anche alla componente uditiva: un audio deteriorato altera anche pesantemente i fattori paralinguistici come intonazione, volume e tono che contribuiscono a una miglior comprensione anche contestuale (Spinolo, Bertozzi, Russo 2018). Ciò vale sia per la relazione tra interprete e cliente, che per la relazione primaria, quella tra paziente e terapeuta, che rappresenta il fulcro dell’alleanza terapeutica (Adler 2002) attorno al quale ruota il trattamento medico accettato e condiviso.
Del resto, numerosi studi si sono interrogati sulla tipologia di evento comunicativo (e di attività in esso contenute) per cui l’interpretazione telefonica può rappresentare una soluzione efficace. Anche tra i sostenitori di questa pratica, molti (Kelly 2008a; Wadensjö 1998; Niemants, Castagnoli 2015) propongono un distinguo: non tutti gli eventi comunicativi (e, forse, anche non tutti i setting) possono ugualmente beneficiare di questo tipo di interpretazione. Non ci soffermeremo qui sull’ambito giuridico, in cui traduzione e interpretazione sono circoscritte all’interno di limiti e ruoli ben definiti e la cui analisi oltrepassa i limiti della nostra indagine, ma ci concentreremo piuttosto sull’ambito medico, per cui vanno osservati alcuni accorgimenti. Il primo spartiacque a essere tracciato tra una pratica efficace e una potenzialmente a rischio83 riguarda la tipologia di paziente: persone anziane (NAJIT 2009) o con problemi di udito84, bambini85, persone con problemi psichiatrici (Kelly 2007; Wadensjö 1998; Newman 2003) possono avere difficoltà maggiori durante una interpretazione telefonica, sia per la qualità del suono, sia per la mancanza di familiarità con la situazione, sia per l’indebolimento della dimensione interazionale.
Una seconda categoria di eventi comunicativi che presentano complessità eccessive – e scarsi risultati – riguarda quegli eventi che presentano un numero di parlanti superiore a tre (compreso l’interprete) (Kelly 2007; Hewitt 2000). In mancanza di stimoli visivi, il riconoscimento delle voci e il coordinamento dei turni risulterebbero compiti gravosi sia per l’interprete, sia per gli utenti.
83 Iglesias Fernández (2017) ritiene però che i dati empirici siano ancora insufficienti per poter sconsigliare recisamente
l’impiego della modalità telefonica in alcuni contesti rispetto ad altri.
84 Diverso è il caso della persona sorda per cui la telefonata viene compiuta dall’interprete di lingua dei segni (Pollitt,
Haddon 2005).
85 L’interpretazione con/per i minori rappresenta sempre una sfida per l’interprete, che deve dimostrare grandi doti di
sensibilità e sviluppate capacità comunicative e interazionali (Amato, Mack 2017, “Giving voice to the powerless: Children in interpreter-mediated interviews”, comunicazione presentata al convegno “Potere e ideologia in contesti mediati da interprete”, UNINT, 23-24 novembre 2017).
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Infine, è sconsigliabile l’impiego della modalità telefonica qualora i due partecipanti primari condividano il luogo fisico dell’interazione e le attività comunicative prevedano una dimostrazione pratica al paziente (Niemants, Castagnoli 201586; Kelly 2007). Questo tipo di situazione ruota attorno allo stimolo visivo, e può essere troppo complesso per l’interprete comprendere ciò che sta avvenendo. Va sottolineato però che tutti gli eventi comunicativi in cui i partecipanti si relazionano in presenza prevedono un’anche minima parte di stimoli o attività visivi che l’interprete da remoto deve dedurre (ad esempio, il silenzio che accompagna la stesura di una ricetta o l’indicazione di una zona dove il paziente ha dolore): queste situazioni non sono però al di là della portata di un interprete telefonico. È difatti sufficiente spiegare a entrambi gli interlocutori che il loro apporto al buon esito della comunicazione sta nell’esplicitare ciò che è implicito e scontato per chi condivide lo stesso spazio fisico (Spinolo 2018), ma che risulta inaccessibile, o difficilmente comprensibile, all’interprete che si trova all’altro capo del filo.
Oltre alla mancanza di stimoli visivi e della scarsa qualità dell’audio lamentata dagli interpreti, un ulteriore elemento critico è dato dalla difficoltà a interrompere gli interlocutori (cfr. infra), in particolare i pazienti in preda a uno stato emotivo alterato (Lee 2007); la prima causa di insoddisfazione riportata da diversi studi, tuttavia, è il basso compenso (Lee 2007; Wang 2015; intervista a Nataly Kelly, 2013), che si accompagna a una sensazione di scarso valore della propria attività lavorativa; si tratta spesso di interpreti freelance e part-time, che lavorano telefonicamente per arrotondare le proprie entrate, e che svolgono altre attività lavorative (anche come interpreti in presenza) come fonte primaria di reddito. Questo aspetto assume una rilevanza particolare, giacché influisce sulla qualità dell’interpretazione. L’interprete che accetta un incarico telefonico dal proprio telefono cellulare, in un luogo non dedicato, per via di incombenze familiari (Lee 2007) o di altri lavori da seguire, rischia un deterioramento della qualità della resa e un incremento della percezione di stress a causa del contesto lavorativo non adeguato: rumori, stimoli visivi e uditivi esterni, nessun ricorso a risorse linguistiche contribuiscono ad acuire la complessità dell’incarico. Inoltre, lo svolgimento della pratica professionale in un luogo dedicato può contribuire a restituire agli interpreti da remoto la sensazione di stare svolgendo un lavoro importante e significativo, sensazione spesso assente (Lee 2007; Cheng 2015).
86 Le due autrici di questo studio riportano il caso di una infermiera che illustra a un paziente come praticarsi una iniezione
di insulina. In questo caso, lo scopo dell’interazione è la dimostrazione di una procedura, cosa che lascia poco spazio alle capacità deduttive dell’interprete, a meno che non conosca approfonditamente il protocollo seguito dall’operatore sanitario. Anche in questo caso, tuttavia, la situazione sembra non essere ideale né per l’interprete telefonico, né per il paziente.
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Anche in questo caso, non si tratta di una problematica intrinseca né di una sola responsabilità degli interpreti, quanto piuttosto della conseguenza di un circolo vizioso fatto di bassa retribuzione, basso status della professione (Gentile 2013), impossibilità di farvi affidamento come principale fonte di reddito (Lee 2007; Cheng 2015) e, quindi, mancanza di identificazione con il ruolo di interprete telefonico. Gentile (2013) si rifà alla Sociologia delle Professioni per delineare lo status e la percezione di una professione, facendolo dipendere da tre variabili: istruzione necessaria per accedere alla professione, reddito derivante dalla professione, prestigio simbolico e sociale della professione. Se applichiamo questi tre parametri alla professione dell’interprete telefonico, vediamo che gli ultimi due punti non garantiscono un posizionamento più che medio. A questo si aggiunge anche una mancanza di controlli di qualità da parte dei committenti, problematica che è però condivisa da altre modalità interpretative, in particolare quando si tratta di lingue poco comuni (Gracia-García 2002) per cui l’offerta formativa è scarsa o inesistente. Ne emerge un circolo vizioso per cui il “mestiere” di interprete telefonico deve forse ancora attraversare un processo di professionalizzazione che riesca a unire riconoscimento sociale e formazione dedicata (preferibilmente di carattere accademico, cosa ancora relativamente assente), accanto a una sinergia tra professionisti e clienti.
A queste problematiche di carattere macroscopico possono essere accostate altre più specifiche, legate direttamente al compito interpretativo nei suoi aspetti di resa linguistica e di coordinamento dell’interazione. Nella sua indagine sulla pratica lavorativa degli interpreti telefonici, Cheng (2015, traduzione di chi scrive) individua le seguenti difficoltà, in ordine di frequenza della risposta al questionario erogato, dalla più frequente alla meno frequente:
1. Ottenere dati precisi e accurati dal cliente;
2. Riuscire a conciliare gli incarichi telefonici con altri lavori; 3. Dover ripetere domande o risposte ai clienti;
4. Dover interrompere il cliente;
5. Incapacità dei clienti, in particolare non istituzionali, di comprendere il ruolo dell’interprete telefonico87;
87 Si tratta qui di utenti che parlano lingue poco comuni, spesso con una storia di migrazione alle spalle, e che si rivolgono
all’interprete come a un connazionale che può loro fornire dei consigli grazie alla posizione favorevole in cui si trova: miglior conoscenza della lingua dominante, delle istituzioni, delle norme, e miglior accesso alle informazioni. Ciò può condurre a una percezione del ruolo dell’interprete in ambito medico diversa a seconda del cliente: per il terapeuta, l’interprete rappresenterebbe uno strumento di cui servirsi per superare una barriera linguistica, mentre per il paziente si tratterebbe di un interlocutore (co-conversionalist nella terminologia di Davidson 1998). Questa casistica, estremamente comune quando si interpreta per/con dei clienti con un vissuto di migrazione, appartenenti a comunità dalla svariata
67 6. Riuscire a far fronte alla velocità del discorso; 7. Interpretare per clienti in uno stato emotivo alterato.
Tranne il punto 5, si tratta di attività condotte in prima persona dall’interprete all’interno dell’evento comunicativo, attività che fanno capo ad aspetti diversi del compito, e del ruolo, dell’interprete. Alcune (il punto 1) e il punto 6) si collegano a competenze interpretative di particolare importanza per l’interprete telefonico; altre (3, 4, 6, 7) appartengono più propriamente all’ambito del coordinamento dell’interazione, il secondo grande e speculare compito dell’interprete accanto al lavoro linguistico (Wadensjö 1998); infine, appaiono come fattori di difficoltà alcuni elementi meno legati al compito interpretativo di per sé e che ruotano attorno al ruolo dell’interprete percepito dal cliente (punto 5), ma anche dall’interprete stesso (punto 2).
La difficoltà espressa dal primo punto (la raccolta di informazioni precise e accurate nella comunicazione con l’utente non istituzionale) si collega del resto alla necessità di ripetersi con il cliente (punto 3), e anche, talvolta, alla presenza di un interlocutore in uno stato di forte emotività (punto 7); in questo caso, possibili strategie di risoluzione del problema sono: la richiesta di spelling (Amato 2018), valida però se il paziente ha un discreto livello di alfabetizzazione (Lee 2007); l’utilizzo di domande chiuse, in cui la risposta è “sì” o “no” (González Rodríguez 2018) e un briefing iniziale da parte dell’operatore/terapeuta. A fronte della tipica imprevedibilità dell’interpretazione telefonica (Iglesias Fernández 2017), il briefing iniziale facilita grandemente il compito interpretativo, e va quindi nella direzione di una qualità complessiva dell’interazione. Pur rappresentando una buona prassi, che l’interprete dovrebbe sollecitare anche in caso di una telefonata