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Dalla metafora alla didattica: ruolo e formazione in interpretazione telefonica

CAPITOLO I L’INTERPRETAZIONE TELEFONICA IN AMBITO MEDICO: TRATT

XII. Dalla metafora alla didattica: ruolo e formazione in interpretazione telefonica

La descrizione del ruolo fa spesso appello ad agentivi (helper; cfr. Anderson 1978; Kalina 2015; Grbić 2001), formule evocative (returned native; cfr. Cronin 2002) o immagini (lo stesso conduit), spesso a carattere metaforico. Tra le numerose descrizioni e metafore di ruolo possiamo citare l’helper del partecipante con meno potere conversazionale (Anderson 1978; Kalina 2015; Grbić 2001); l’assistant del lato istituzionale (Kalina 2015; Roberts 1997; Merlini 2009); il cultural interpreter, che “advises the client about rights and options in the situation”, “ensures that the client has all the relevant information and controls the interaction” e “challenges racially/culturally prejudiced statements or conclusions112” (Giovannini 1992 in Devaux 2017: 45); il conciliator, che rimuove e risolve non le incomprensioni, ma i conflitti, anche conferendo privatamente con una delle parti (Roberts 1997; Merlini, Favaron 2003), l’ibrido (Bowen 1995), il mostro (Cronin 2002), il nativo ritornato (Cronin 2002)… Esistono tante etichette quante attività traduttive e iconografie di una figura che ha sollecitato l’immaginazione di numerosi autori per la sua capacità di attraversare lingue e culture, di ricondurre a sintesi ciò che era molteplice e potenzialmente conflittuale. Di questo proliferare di nozioni e metafore, tuttavia, vorremmo trattenerne solo alcune, tralasciando quelle che nascono dalle descrizioni delle molteplici attività che un interprete può svolgere a livello pratico

112 Questa definizione fa del cultural interpreter una figura sostanzialmente identica a quella dell’advocate, cfr. §I.X, supra.

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(compilare dei moduli, dare indicazioni all’interno dell’ospedale e altri incarichi affini, elencati da Merlini 2009), che non ci sembrano però richiedere una elaborazione simbolica. La metafora è simbolo (e gode della potenza che hanno i simboli), ma anche scorciatoia cognitiva che consente all’apprendente di relazionarsi in maniera più immediata (poiché immaginifica) a un insieme di strategie interpretative che vengono sussunte all’interno di un solo concetto. Abbiamo quindi voluto considerare e impiegare le metafore come una versione semplificata dei modelli esplicativi di cui parla Gile (2009: 21), strumenti che possono essere considerati molteplici e non concorrenziali, in quanto si tratta di “simplified representations of phenomena or ideas … which can explain their operation”. A questa visione si accosta il pedagogo critico Paulo Freire (in Pereira 2017: 79-80), che riconosce il potere della metafora di rendere più accessibili concetti astratti, senza però banalizzarli: tali strumenti didattici possono anzi essere tematizzati ampiamente all’interno del dibattito di classe nella discussione di strategie più o meno funzionali e della loro legittimità. Nella nostra pratica didattica, abbiamo impiegato la metafora in questo senso di fronte ai primi “dilemmi etici” che si scatenano quando gli studenti devono affrontare le difficoltà specifiche di questa modalità interpretativa, scoprendo di non riuscire a gestirle adeguatamente con le strategie apprese per l’interpretazione presenziale. Abbiamo quindi introdotto le metafore di ruolo in un confronto tra modelli applicabili all’interprete e all’interpretare come attività complessiva, all’interprete in ambito medico e all’interprete telefonico: se i ruoli sono parzialmente sovrapponibili, essi non sono sempre associati alle stesse strategie traduttive; o al contrario strategie simili possono assumere un portato diverso all’interno del particolare contesto dell’interazione da remoto, ad esempio nelle manifestazioni di agentività dell’interprete, che in interpretazione telefonica si configura come posizionamento non deviante. Abbiamo quindi affrontato la metafora di ruolo dall’angolatura dell’agentività, selezionando quelle metafore che riuscivano a dar conto del potere dell’interprete di influire più o meno su una conversazione. Partendo dal conduit per arrivare all’advocate e all’ally, abbiamo portato all’attenzione della classe la questione del posizionamento, problematizzando però le metafore come rappresentazioni plurali e non competitive. Come immagini evocative, esse possono avere uguale validità a seconda dell’attività comunicativa che si vuole privilegiare nell’osservazione, nella consapevolezza che i modelli di ruolo non sono entità reciprocamente escludenti: non indicano essenze, ma comportamenti; non invocano un modo unico di interpretare, ma si ricollegano a strategie interpretative che possono essere di volta in volta scelte o scartate. I modelli di ruolo non si contrappongono, ma possono coesistere all’interno dello stesso evento comunicativo interpretato, in cui c’è spazio per scelte più o meno proattive o meccanicistiche, per un ruolo più o meno visibile o autoriale. Conduit e mediatore possono allora coesistere, non solo nella stessa persona, ma nello stesso incarico (Bot 2009), per cui assistiamo a un movimento oscillatorio (Avery 2001), dipendente

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dalle circostanze, dal contesto, dai partecipanti, dalle valutazioni dell’interprete tra l’uno e l’altro approccio113. Parlare di ruolo serve allora non a prescrivere identità, ma introdurre nella formazione i concetti di scelta, conseguenza, responsabilità. Sotto un profilo didattico, infatti, la discussione sul ruolo dell’interprete serve a introdurre nella pratica degli studenti dei concetti chiave legati ai valori professionali, problematizzando le nozioni di visibilità, agentività, asimmetria, potere; portando alla luce le modalità in cui l’interprete può intervenire in maniera più o meno autonoma, ma sempre con degli effetti e dei motivi, gli studenti si trovano a passare al vaglio critico possibili idées reçues sull’interpretazione e l’interpretare114. Risulta allora fondamentale indagare i modelli di ruolo degli studenti e con gli studenti, in modo da rettificare “unacceptable roles or role exceptations” (Kalina 2015) che possono andare a minare la sicurezza di sé dell’interprete e viziare le scelte traduttive che compie nel corso dell’incarico. Ciò sembra tanto più necessario di fronte a una pratica nuova e inerentemente diversa da ciò che gli studenti hanno fino ad allora conosciuto come l’interpretazione telefonica e che per questo può dar origine a timori, irrigidimenti, scelte sclerotizzate. Nella nostra pratica didattica, il dibattito sul ruolo ha avuto un ruolo centrale, poiché abbiamo voluto tematizzare le emozioni a tono negativo (che nascono anche dall’incertezza rispetto alla bontà del nostro operato), la responsabilità nei confronti delle scelte compiute e la capacità di analisi del contesto e di risoluzione creativa di problemi a fronte di incarichi sfaccettati, stratificati e rischiosi. Nella didattica dell’interpretazione telefonica, a queste caratteristiche si aggiunge anche l’elemento dell’ignoto e del nuovo: sempre più, a nostro giudizio, va allora sottolineata l’importanza di una formazione specifica per gli interpreti che vi si vogliano cimentare, per garantire qualità ai clienti e vivere senza incertezze i propri posizionamenti e le proprie scelte interpretative.

113 Un modello tridimensionale che supera il concetto di ruolo per creare una rappresentazione dinamica del

posizionamento dell’interprete è il concetto di role-space (Llewellyn-Jones, Lee 2013), che propone una matrice tridimensionale i cui assi corrispondono alla rappresentazione di sé, alla gestione dell’interazione, all’allineamento all’uno o all’altro partecipante. Il vantaggio del modello è che consente di introdurre una maggior variabilità rispetto alla nozione, abbastanza rigida e schematica, del ruolo, dando così la possibilità di concepire e rappresentare posizionamenti anche molto variati, in evoluzione continua all’interno dell’evento comunicativo. A scopo didattico, tuttavia, il modello non presenta particolare utilità, perché perde l’immediatezza esplicativa della rappresentazione metaforica.

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