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La struttura comunicativa delle chiamate di servizio, mediate e non

CAPITOLO I L’INTERPRETAZIONE TELEFONICA IN AMBITO MEDICO: TRATT

VI. La struttura comunicativa delle chiamate di servizio, mediate e non

La comunicazione telefonica monolingue è caratterizzata da procedure precise e da alcune fasi (aperture e chiusure) fortemente ritualizzate: tali procedure sono state elaborate dagli utenti per gestire efficacemente il coordinamento dei turni in una comunicazione svolta attraverso una tecnologia monosensoriale; esse vengono apprese dagli utenti telefonici all’interno di quel processo di acculturazione (Hutchby 2001) che insegna ai parlanti come gestire un particolare contesto comunicativo.

La comunicazione telefonica mediata dall’interprete presenta alcune strutture peculiari, ma manca ancora una riflessione collettiva sulle strategie comunicative adeguate a questo tipo di interazione e che possano essere trasmesse agli interpreti telefonici in un contesto formativo. La maggior parte degli studi (Moser-Mercer 2005; Lee 2007; Cheng 2015; Leeman Price et al. 2012) si concentra sulla percezione degli interpreti stessi, senza indagare la qualità percepita dai clienti; laddove essa viene indagata (cfr. Gany et al. 2007 per l’interpretazione in ambito medico), emerge una soddisfazione da parte degli utenti.

È l’interprete, quindi, a percepire l’anomalia e la difficoltà di una comunicazione la cui gestione è a suo carico, e in cui una delle principali difficoltà è la percezione di un’assenza di controllo, inteso come capacità di anticipare che cosa accadrà, o verrà detto, in seguito (Held, Durlach 1992). Nonostante l’anticipazione semantica giochi un ruolo di primo piano nell’interpretazione simultanea di conferenza (a cui lo studio del 2005 di Moser-Mercer è dedicato), essa rappresenta anche per l’interpretazione dialogica consecutiva uno strumento per eliminare l’ambiguità e decidere come interpretare un enunciato (Andres, Falk 2009), e per gestire efficacemente le proprie risorse cognitive. L’assenza di controllo è però da ricollegare anche alla scarsa familiarità degli interpreti con la modalità telefonica (Ko 2006; Moser-Mercer 2005): in questo senso, un’analisi delle regolarità della comunicazione telefonica mediata da un interprete e una elaborazione delle strategie comunicative adeguate possono influire sul buon esito – e il buon vissuto – dell’interpretazione.

In questa direzione, si possono identificare tre fattori di particolare rilevanza: il recupero di elementi contestuali, a cui vedremo come l’interprete può rispondere strategicamente; la conoscenza delle procedure e delle corrispondenze tra coppie adiacenti del discorso; e, infine, la conoscenza delle caratteristiche paraverbali che possono costituire importanti indizi dello stato d’animo e dell’orientamento dell’interlocutore (Amato 2018). Una conversazione telefonica non riproduce le stesse formule, la stessa organizzazione dei turni di parola, le stesse coppie adiacenti di una conversazione in presenza, neppure in un formato monolingue; lo stesso vale per la gestione dei pronomi anaforici, del discorso indiretto e dei marcatori conversazionali (Gonzaléz Rodríguez 2017).

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La natura tecnologizzata dell’interazione telefonica rende particolarmente appropriata una sua indagine attraverso il prisma dell’Analisi Conversazionale, anche a livello metaforico. Questo tipo di comunicazione si può difatti accostare a una metafora rappresentativa della conversazione stessa e che definisce l’approccio metodologico dell’Analisi Conversazionale. Uno dei suoi pionieri, Harvey Sacks (1992), parla infatti di una “technology of conversation”. Da un lato la conversazione possiede, dall’altro incarna una tecnologia, con i suoi scopi e le sue modalità di utilizzo, ma anche con il suo più o meno ben oliato funzionamento e i suoi ingranaggi, che consentono all’analista di smontarla, individuandone i più piccoli componenti.

Tali componenti sono le unità di significato, organizzate in turni e prodotte in maniera più o meno regolare secondo alcune procedure tipiche. Tali procedure sono regolarità conversazionali che formano un “substrato di convenzioni” (Sacks, Schegloff, Jefferson 1974, traduzione di chi scrive), di norme nel senso di frequenze d’uso che modellano aspettative conversazionali, e che sono al tempo stesso reattive al contesto e da esso indipendenti (“context-sensitive and context-free”; ivi). Tuttavia, esse non rappresentano dei binari comunicativi già tracciati, su cui il parlante deve innestare i propri interventi in maniera obbligata: una devianza è sempre possibile, ed è anzi manifestazione della creatività umana nell’utilizzo delle risorse a disposizione. Ne consegue, però, che le devianze costituiscono delle rotture rispetto alle forme anticipate dagli altri parlanti, e devono essere introdotte e gestite con particolari mosse comunicative da entrambi54.

È la conoscenza di queste procedure a fornire all’interprete la possibilità di recuperare dei punti di riferimento e di esercitare la propria capacità di anticipazione semantica, il cui ruolo è orientare la resa dell’interprete e consentire una efficace gestione delle sue risorse attentive in uno spazio comunicativo privo di segnali visivi. Proprio per questo, la comunicazione telefonica ha suscitato l’interesse degli analisti della conversazione, che vi hanno visto l’ambiente in cui la conversazione si esplica al suo stato “puro”, prettamente verbale, consentendo così all’osservatore esterno di analizzare le sole risorse linguistiche all’opera, e di farlo da una posizione che riduce le sue asimmetrie conoscitive rispetto ai partecipanti (Hutchby 2001).

Le conversazioni telefoniche, del resto, non sono forme devianti (nel senso di anomale) della conversazione standard: ne rappresentano piuttosto una versione adattata a un habitat differente, a cui vengono date risposte funzionali. Per comunicare all’interno di questo particolare habitat, i parlanti hanno sviluppato apposite strategie comunicative: tra queste, formule più o meno ritualizzate di

54 L’Analisi Conversazionale, soprattutto ai suoi inizi, si è spesso concentrata sulla comunicazione tra due (e non più)

parlanti. Oggi, numerosi studi affrontano la comunicazione mediata dall’interprete (Niemants 2015; Niemants, Castagnoli 2015; Baraldi, Gavioli 2012) anche in ambito sanitario (Niemants 2015; Gavioli 2012; Zorzi 2012).

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apertura e chiusura della telefonata, i due momenti di transizione tra il silenzio e la comunicazione mediata dal telefono. Nel primo caso, possiamo osservare nell’apertura della telefonata monolingue i seguenti passaggi (Thüne, Leonardi 200355; Schegloff 1986):

1. Apertura del canale comunicativo: “Pronto?” “Pronto”. In Schegloff (1986), la prima fase è rappresentata dalla coppia adiacente appello/risposta (“summons/answer”), in cui il solo squillo del telefono rappresenta una forma di sollecitazione di una risposta. Nelle chiamate di servizio, l’esistenza di una richiesta, pur ancora ignota, è un fattore noto a tutti i partecipanti; 2. Sequenza di identificazione, di sé o dell’altro. Se i due partecipanti si conoscono già, questo passaggio può essere eliminato. Nelle chiamate istituzionali o di servizio, l’operatore interviene con un’autoidentificazione: “Pronto, commissariato di…”;

3. Saluti: nelle chiamate di servizio, i saluti possono trovarsi compressi in un solo turno che unisce risposta/autoidentificazione/saluti: “Buongiorno, qui commissariato di…”;

4. Interessamento (Pallotti, Bercelli 2002; Pallotti, Bercelli, Varcasia 2004): espressioni di cortesia più o meno convenzionali. Nelle chiamate di servizio, in questa posizione può trovarsi una forma di invito, da parte dell’operatore istituzionale, che proietta l’introduzione del motivo della chiamata: “Come posso aiutarla?56” (Hutchby 2001);

55 Gli esempi che descrivono i vari passaggi comunicativi relativi all’apertura e alla chiusura delle telefonate sono stati

tradotti e adattati dall’inglese da chi scrive. A questo proposito si può brevemente menzionare il dibattito attorno alla specificità culturale dei passaggi individuati, che alcuni studi hanno contestato (Houtkoop-Steenstra 1991 in Hutchby 2001 per l’olandese), proponendo delle varianti peculiari a una data lingua e cultura. Ci sembra in questo senso interessante uno studio di Pallotti e Varcasia (2008; cfr. nota 56), che prende in esame una sola tipologia di chiamate, quelle di servizio o transazionali, per cinque lingue europee (francese, inglese, italiano, spagnolo, tedesco). Nel selezionare solo le chiamate di servizio, gli autori operano un primo discrimine. La variabile scopo della chiamata o la presenza di un interlocutore istituzionale potrebbe a nostro giudizio determinare una particolare gestione della conversazione telefonica, che risulta più strutturata, e aiutare così un paragone tra lingue diverse. Nello studio citato, Pallotti e Varcasia cercano di individuare regolarità interlinguistiche, pur sottolineando l’importanza di studiare le varianti intralinguistiche che, nel caso dell’italiano, possono presentare differenze regionali significative.

56 Ci sembra che questa espressione in particolare e questa fase conversazionale in generale siano più tipiche di un contesto

anglofono. Tale impressione è suffragata da Pallotti e Varcasia (2008), che mostrano la percentuale più alta per questo tipo di intervento (41%) in lingua inglese. Secondo gli autori, non si tratterebbe di una formula routinaria, ma di un modo in cui chi riceve la telefonata esprime il proprio orientamento verso l’interlocutore. La presenza di formule simili in altre lingue (come lo spagnolo) resta minoritaria, e gli autori suggeriscono come motivo per il suo utilizzo l’origine anglofona dei materiali utilizzati per la formazione degli operatori telefonici.

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5. Strategie di avvicinamento: la persona che chiama si serve di questi turni per introdurre l’argomento principale della conversazione, o altri argomenti affini57.

Il recente cambiamento nella telefonia, con la diffusione su larga scala del telefono cellulare, ha in parte ristrutturato l’interazione telefonica58 (Arminen 2005; Hutchby, Barnett 2005; Arminen, Leinonen 2006), rendendo non necessaria la sequenza identificativa (chi riceve la telefonata visualizza il numero di chi chiama sullo schermo del telefonino); questo non è tuttavia valido per le telefonate oggetto del nostro studio, ossia le chiamate transazionali (Cheepen 200059) o telefonate di servizio (Rath 1995), in cui l’interazione avviene tra due sconosciuti, di cui A, che richiede un servizio o una informazione, e B, che rappresenta una istituzione o una società privata. L’identificazione è quindi necessaria, ma B la condenserà all’interno del primo turno di apertura, che corrisponde alla coppia adiacente “appello/risposta”. Anche le altre mosse conversazionali possono essere condensate dall’operatore nel primo turno60 (Pallotti, Varcasia 2008), il che rappresenta uno dei possibili orientamenti dell’operatore istituzionale nei confronti della procedura routinaria che governa questo tipo di chiamata.

L’esistenza di un appello-richiesta e, quindi, di un “richiedente” rimanda alla cosiddetta “caller hegemony”: chi chiama vuole introdurre un argomento ben preciso (il motivo della chiamata) a lui o lei noto, e che lo rende depositario di un “topical power” (Hutchby 2001), poiché chi risponde si deve

57 Simile alle strategie di avvicinamento è una quinta fase individuata da Pallotti e Bercelli (2002) e da Bowles e Pallotti

(2004), indicata dall’espressione inglese “getting down to business” (Pallotti, Varcasia 2008).

58 A questo proposito, González Rodríguez (2017: 146) afferma: “… no debemos olvidar que las propias tecnologías nos

están conduciendo rápidamente a una serie de nuevos contextos, situaciones, formas, medios y motivos en las interacciones telefónicas que nos obligan a reexaminar los modelos, hoy más que nunca – telefonía móvil, video-llamadas, llamadas múltiples, chats con mensajería audio, la modalidad manos libres, etc.”.

59 Pollitt e Haddon (2005) ricordano tuttavia che raramente una telefonata presenta tratti esclusivamente transazionali o

conversazionali.

60 Il corpus di Pallotti e Varcasia (2008), che mette a confronto le aperture delle chiamate di servizio per cinque lingue

europee, mostra che l’apertura preferita dagli operatori francesi è l’eliminazione del segnale di apertura del canale (“Allô?”, utilizzato nel 27,2% delle cinquantanove chiamate in esame) a favore della condensazione dell’autoidentificazione e dei saluti in un unico turno (62,7%). Le percentuali rivelano l’esistenza di pattern di grande diffusione per la lingua francese, che presenterebbe una variabilità interna ridotta in fase di apertura della telefonata. In italiano, entrambe le sequenze sono maggioritarie: rispettivamente il 30% per “Pronto?” come segnale di apertura del canale, e il 28% per autoidentificazione e saluti, ma con una maggior variabilità interna.

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più o meno passivamente adeguare61 all’argomento introdotto da chi chiama. Nelle chiamate di servizio, tuttavia, questa asimmetria conoscitiva e conversazionale non è conflittuale, perché l’obiettivo della chiamata è, per tutti gli interlocutori coinvolti, individuare l’esigenza di chi chiama e fornirvi una risposta efficace; l’asimmetria è poi bilanciata dall’accesso alle risorse (materiali e conoscitive) dell’operatore istituzionale a fronte dello stato di dipendenza situazionale di chi chiama. La telefonata di servizio prosegue poi con una intervista condotta da B per individuare la ragione della chiamata e la tipologia di servizio richiesta, per concludersi con le sequenze di chiusura. Pur ritualizzati, questi passaggi presentano di solito una maggiore variabilità rispetto all’apertura (pur se ridotta nelle chiamate di servizio rispetto alle chiamate conversazionali), anche per via dell’influsso di fattori culturali (González Rodríguez 2018) nella fase del commiato. La struttura della chiusura della telefonata monolingue è la seguente (Rath 1995):

1. Pre-chiusura/conferma: uno dei parlanti (l’operatore) si avvicina alla conclusione, che segnala attraverso dei segnali semantici (“Ok”; “Grazie”; “La richiameremo il prima possibile”) o paralinguistici, come l’allungamento delle vocali (“Va beeeene”). Se l’interlocutore vuole porre fine alla comunicazione, risponde con segnali simili e con l’opzione preferita della coppia adiacente (“La richiameremo il prima possibile”/“Allora aspetto la vostra chiamata”); 2. Sintesi/accordo;

3. Ringraziamenti: particolarmente comuni nelle chiamate di servizio, compaiono di solito in coppie adiacenti.

4. Saluti: possono occupare uno o più turni, ma nelle chiamate di servizio monolingui la conclusione è più rapida.

Nella chiamata di servizio mediata dall’interprete, la struttura rimane sostanzialmente simile, ma si aggiunge un ulteriore passaggio, che consiste nella presa di contatto con l’interprete da parte dell’operatore, che diviene in questo caso il fornitore di un servizio. Si riproduce così, in breve, la situazione della chiamata tra “cliente” e “fornitore”. In questo caso, l’interprete si autoidentifica e

61 Anche quando la chiamata è indesiderata, come nel caso delle telefonate commerciali o dei sondaggi, chi risponde

tende a utilizzare delle risposte formulaiche per preservare la faccia (Goffman 1967) di chi chiama invece di mettere in atto la forma più efficace di resistenza, la conclusione improvvisa della telefonata a scapito di chi chiama. Al contrario, il ricevente si orienta verso la caller hegemony quando, rispondendo negativamente alle offerte, invoca la mancanza di tempo o l’impossibilità di realizzarle (Hutchby 2001). La caller hegemony si riduce se la telefonata è una all’interno di una successione ordinata di telefonate in cui l’argomento di conversazione viene mantenuto, perché questo diventa argomento condiviso, scelto e coltivato da entrambi i partecipanti, che sviluppano conoscenze su di esso.

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avviene anche la richiesta/conferma della lingua di lavoro, che deve essere quella corrispondente alle necessità dell’utente dell’istituzione.

Amato (2018) riporta uno schema di chiamata di servizio interpretata attingendo a diversi studi (Schegloff 1979 e 2002; ten Have 2002; Monzoni, Zorzi 2003; Varcasia 2013).

Questa presenta i seguenti passaggi:

1. Pre-apertura: l’operatore apre il canale comunicativo;

2. Apertura/identificazione/riconoscimento: l’operatore istituzionale si autoidentifica, la persona che chiama riconosce l’istituzione o il servizio desiderato;

3. Richiesta;

4. Intervista: nella chiamata monolingue è a cura dell’operatore, ma non è sempre così nel caso della telefonata interpretata. L’interprete può essere infatti legittimato da un protocollo condiviso da istituzione e azienda, o dall’accordo con lo stesso operatore istituzionale, a condurre l’intervista;

5. Risposta alla richiesta di chi chiama;

6. Chiusura: ringraziamenti e saluti. Si tratta di un passaggio caratterizzato da una maggior fluidità rispetto all’apertura che, soprattutto nelle chiamate di emergenza, può essere frenetica e carica di tensione (Amato 2018). In questa fase, che è sostanzialmente identica a quella della chiamata monolingue, gli interpreti possono controllare se sussistono ancora dubbi o domande da parte di entrambi gli interlocutori prima di segnalare all’operatore che la telefonata può essere conclusa.

Per quel che riguarda più specificamente le chiamate di servizio in ambito medico, la letteratura porta alla luce un’apparente contraddizione: da un lato, queste appaiono come un luogo in cui parlato spontaneo e programmato si confondono (Angelelli 2004a), consentendo così maggior spazio di negoziazione e maggior oralità dell’interazione (Drew, Heritage 1992) rispetto a un discorso istituzionale fortemente verticalizzato; dall’altro, i dati sperimentali (Iglesias Fernández 2017) mostrano che le chiamate di servizio sono fortemente strutturate secondo una procedura ben precisa che riduce la natura conversazionale dell’interazione.

Da un lato, quindi, abbiamo una impostazione dialogica della comunicazione tra fornitore del servizio e utente, che consente al cliente non istituzionale almeno una parziale libertà nell’elaborazione dei propri contributi; dall’altro, questo dialogo necessita di una forma strutturata per poter pervenire alla sua risoluzione, come è tipico del discorso medico istituzionale anche presenziale, e com’è tipico delle chiamate di servizio il cui scopo è ben definito: rispondere a una richiesta. Tale struttura dipende

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in parte dalla procedura che guida l’interazione, in parte dal mezzo telefonico, che impone una rigida allocazione dei turni (Iglesias Fernández 2017; Rutter 1989).

La contraddizione resta però solo apparente: oralità e spontaneità derivano dalla natura dialogica della conversazione62, che ruota attorno a un incontro tra richiesta, di cui si deve individuare la natura, e risposta; la forte strutturazione della comunicazione è a sua volta generata, oltre che dall’adattamento alle caratteristiche del mezzo, dallo scopo dell’evento comunicativo (dare risposta alla richiesta). Si tratta quindi di un equilibrio, non sempre facile, tra la dimensione pragmatico-informativa e quella interazionale e affettiva63.

La struttura della chiamata di servizio può essere paragonata alla struttura tipica dell’interazione diagnostica, che individua fasi simili (Robinson 1998; Stivers 2002; Robinson 2003; Robinson, Heritage 2005):

1. Apertura;

2. Presentazione del problema; 3. Raccolta delle informazioni; 4. Diagnosi;

5. Terapia; 6. Chiusura.

Va sottolineato che questa struttura interazionale caratterizza in particolare la visita diagnostica: è quindi solamente in parte sovrapponibile alle molteplici interazioni in ambito medico che richiedono l’intervento di un interprete. Tuttavia, una conoscenza generale della struttura del discorso medico può essere utile per mettere a confronto la pratica presenziale e quella telefonica, che differiscono non tanto per le attività compiute dai partecipanti primari, ma per la gestione dell’interazione da parte dell’interprete. Tale gestione cambia qui diametralmente, anche in netto contrasto con le buone pratiche che sono oggetto della formazione in interpretazione dialogica presenziale, che in un

62La natura più o meno verticale della conversazione dipende anche dallo scopo dell’interazione, che in interpretazione

telefonica può variare notevolmente: non considerando le chiamate di emergenza, la casistica va dalla prenotazione di visite specialistiche o esami, alla visita diagnostica con prescrizione di terapie, alle visite di follow-up.

63 I dati di Shift in Orality (Amato 2018; Iglesias Fernández, Muñoz López 2018) mostrano una generale tendenza, da

parte degli interpreti, a privilegiare la dimensione informativa a scapito di quella affettiva, anche nelle telefonate in cui gli utenti (sia istituzionali che non) manifestano esplicitamente delle componenti affettive e interazionali nei loro turni di parola.

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ambiente telefonico risultano inadeguate: in questo caso, la tecnologia che rende possibile l’interazione non cambia solamente l’interazione stessa (Hutchby 2001), ma anche le identità dei partecipanti (in particolare per quel che riguarda il ruolo dell’interprete) e la modalità in cui gli scopi dell’interazione vengono raggiunti (Iglesias Fernández, Russo 2017). A questo proposito, osserveremo prima le modalità interpretative e le configurazioni che costituiscono ulteriori tratti distintivi della modalità telefonica, per poi analizzare le strategie interpretative messe in campo per risolvere le sue peculiari criticità.