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4. Accessibilità: dall’Universal Design al parco giochi accessibile

4.1 Per un’accessibilità negli ambienti di vita

4.1.2 L’approccio dell’User-Centered-Design e dell’Universal Design

Un ambiente accessibile deve possedere anche altre caratteristiche: è necessario che sia sicuro ma anche confortevole e qualitativamente migliore per tutti coloro che

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vogliono utilizzarlo. Il concetto di accessibilità va dunque inteso nella sua accezione più ampia, come l’insieme di quelle caratteristiche dello spazio, di gestione e di organizzazione in grado di garantire una reale fruizione del luogo e dell’attrezzatura da parte di tutti. Questa visione si è sviluppata in diverse parti del mondo e ha portato a superare il concetto di spazio o di oggetto pensato esclusivamente per persone con disabilità. Studi e ricerche hanno infatti riscontrato che progettare ambienti e attrezzature concepite solamente per un’utenza con disabilità, può portare ad atteggiamenti negativi da parte del resto della popolazione, comportando, di conseguenza, una maggiore esclusione delle persone con disabilità. Per questo motivo diventa sempre più urgente ideare spazi urbani e architettonici accoglienti e inclusivi, che forniscano a tutti la possibilità di muoversi e di interagire gli uni con gli altri in modo semplice e agevole. È in questo senso che va intesa l’accessibilità: come qualcosa che riguardi la vita quotidiana di ciascuno e che garantisca lo sviluppo delle capacità della persona, la tutela dei diritti personali, della dignità e delle pari opportunità per tutti. Una progettazione accessibile deve tenere in considerazione non solo gli aspetti estetici e formali ma anche, e soprattutto, l’essere umano con le sue esigenze e le sue caratteristiche, le quali devono essere poste al centro del progetto. Bisogna considerare l’evolversi dell’individuo -nel passaggio da bambino ad anziano, durante il corso della vita, l’individuo- può subire dei cambiamenti, temporanei o permanenti, che fanno emergere delle caratteristiche diverse da quella che viene definita “normalità” (MiBAC 2008:12). Un progetto deve dunque sempre partire dai reali bisogni, dai desideri, dalle esigenze, ma anche dalle aspettative degli individui, ed è proprio secondo quest’ottica che si è sviluppato l’approccio denominato User-Centered-Design (UCD). Con questo approccio si intende la pratica di progettare di ambienti e prodotti «che possano essere utilizzati dagli utenti per l’uso, le operazioni, i compiti richiesti, con il minimo stress e la massima efficienza» (Sicklinger 2010: 72). Per l’UCD fondamentale è il coinvolgimento sistematico degli utenti, i quali sono parte integrante del progetto in ogni sua fase. La partecipazione attiva degli utenti serve anche come stimolo per la sperimentazione di proposte e soluzioni nuove, verificandone l’adeguatezza e l’accettabilità. In questo modo il percorso di progettazione diventa un processo al cui risultato si arriva attraverso una serie di aggiustamenti, dovuti al continuo monitoraggio delle esigenze e delle necessità dell’utente (Sicklinger 2010: 72-3). È opportuno precisare che l’utente non è solamente l’utilizzatore finale di un determinato prodotto, piuttosto con questo termine si includono anche tutti coloro che entrano in contatto con il prodotto in ogni sua fase, dalla progettazione al prodotto finale

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(Sicklinger 2010: 73). L’UCD è quindi un approccio che tiene in considerazione tutte le persone ed è direttamente collegato al concetto di “progettazione universale”, che si configura come una nuova consapevolezza nel concepire oggetti, ambienti, luoghi, spazi e servizi, ampliando l’utenza il più possibile (Sicklinger 2010: 74).

Strettamente collegato al concetto di User-Centered-Design è l’Universal Design (UD), termine coniato nel 1985 dall’architetto americano Ronald Mace (1941-1998) per indicare la progettazione di spazi, ambienti e oggetti utilizzabili e accessibili da quante più persone possibile, a prescindere dall’età e delle capacità psicofisiche, senza il bisogno di adattamenti, modifiche o ausili speciali (MiBAC 2008:12). L’obiettivo dell’Universal

Design è quello di offrire soluzioni che si adattino sia a persone con disabilità che al resto

della popolazione (MiBAC 2008:13). Per questo l’UD mira a far sì che ogni cosa possa essere utilizzata indifferentemente da chiunque, in una prospettiva di unicità totale, non rivolgendosi all’illusorio utente medio, ma all’utente reale. Nel documento The Principles

of Universal Design, pubblicato nel 1997 dal Center for Universal Design dell’Università

della Carolina del Nord, vengono formalizzate e presentate le linee guida di questa progettazione, esponendo i sette principi fondamentali che devono guidare la progettazione universale dei prodotti, degli ambienti, degli strumenti e delle informazioni (Sicklinger 2010: 76). Secondo quanto stabilito dal documento e riportato da Cottini (2018: 85) le caratteristiche devono essere:

l’“uso equo” (Equitable Use), inteso come la possibilità del prodotto finale di essere impiegabile da chiunque;

la “flessibilità” (Flexibility in Use) ovvero la capacità di un adattamento flessibile del prodotto in base alle diverse abilità delle persone;

la “semplicità” (Simple and Intuitive Use) declinata nell’opportunità di un uso semplice, intuitivo e facile da capire per tutti, indipendentemente dalla conoscenza, dal linguaggio e dalle esigenze dell’utilizzatore;

la “percettibilità dell’informazione” (Perceptible Information) cioè l’attenzione nel trasmettere all’utilizzatore le informazioni necessarie ed effettive che siano percepibili da tutti;

l’“evitamento” o “tolleranza all’errore” (Tolerance for Error) secondo cui l’organizzazione del progetto deve minimizzare i rischi, le conseguenze negative, le azioni accidentali e non volute;

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il “contenimento dello sforzo fisico” (Low Physical Effort), che consiste nell’accedere a un prodotto o a uno spazio nella maniera più efficace possibile con il minimo sforzo e la minima fatica;

le “misure e spazi sufficienti” (Size and Space for Approach and Use) ossia la possibilità di garantire misure e spazi appropriati e idonei per l’utilizzo.

Grazie alla nuova definizione di disabilità contenuta nell’ICF (2001), secondo cui la disabilità è una conseguenza del grado di accessibilità da parte di una persona ai servizi e ai beni di una società, una progettazione di tipo inclusivo può contribuire a migliorare la qualità di vita delle persone, in modo particolare di quelle con disabilità. L’Universal

Design deve dunque riconoscere che l’emarginazione sociale di questa parte della

popolazione è dovuta a un modo sbagliato di concepire e produrre i servizi e gli artefatti, ma ciò non è una conseguenza dei limiti tecnologici e delle possibilità di produzione, quanto piuttosto è la progettazione di molti oggetti di uso quotidiano ad essere inadeguata e a non soddisfare le reali esigenze. Ogni oggetto e servizio deve quindi diventare un “compago di vita” dell’individuo e non un nemico contro cui combattere. È in questa direzione che si può parlare di “friendly design”, ovvero di progettazione amichevole, in cui si instaura un rapporto di fiducia e di complicità tra l’utente e il prodotto, perché quest’ultimo può migliorare la qualità della vita degli individui (Sicklinger 2010: 75). A livello europeo, la Dichiarazione di Stoccolma del 2004, promossa dall’European

Institute for Design and Disability (EIDD), decreta lo scopo del Design for All, ovvero

quello di garantire e facilitare le pari opportunità per una piena partecipazione sociale, in ogni suo aspetto. Questo è possibile se tutto ciò che viene progettato e realizzato, dall’ambiente costruito agli oggetti della vita quotidiana, dalle informazioni ai servizi, è accessibile, comodo da utilizzare da parte di ogni individuo e in grado di far fronte alla continua evoluzione dell’essere umano. Il Design for All, come l’UD, analizza i bisogni e le aspirazioni degli individui attraverso la partecipazione e il coinvolgimento degli utenti finali del prodotto in ogni parte del progetto. Anche in questo approccio è evidente una particolare attenzione verso l’inclusione e la diversità, per cui è possibile parlare di “utenza ampliata”: ogni oggetto o ambiente deve essere accessibile per la maggior parte delle persone, anche per coloro i quali vengono definiti utenza “debole” (Sicklinger 2010: 74). La progettazione per un’utenza ampliata supera quindi la logica di progetto per l’utenza standard, ideale e astratta: un individuo adulto, sano e abile. Secondo questa visione non si tratta più di eliminare o superare determinate barriere, quanto piuttosto di ridefinire le basi della progettazione. In questo modo, le esigenze e i bisogni delle persone

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reali vengono considerati degli elementi da cui partire, sviluppando il progetto in modo da tenere in considerazione le esigenze di tutti, persone con disabilità e “abili” (MiBAC 2008: 14-5). Il progettista deve quindi assicurarsi di andare incontro alle esigenze della fascia di utenza più ampia possibile, evitando da un lato di adottare i criteri delle soluzioni standard e ordinarie, dall’altro quelli di soluzioni e attrezzature “speciali”. Progettare in maniera accessibile prevede un approccio multidisciplinare dove il limite si trasforma in sfida e in stimolo per uno studio più approfondito e richiede di inventare soluzioni attraverso l’uso della fantasia e della creatività, con un atteggiamento di ricerca, sperimentazione e verifica continua delle soluzioni (MiBAC 2008: 15).