2. Storia della disabilità
2.3 Dal Novecento alla contemporaneità
2.3.1 Le classificazioni internazionali e i modelli della disabilità
Al fine di comprendere meglio la rivoluzione ideologica che ha portato a una diversa visione della disabilità che gradualmente ha messo al centro la persona, non si può prescindere dal riflettere sull’utilizzo dei termini utilizzati nel definire le persone con disabilità, poiché è anche dalle parole e dal modo di chiamare le cose che è possibile operare una rivoluzione culturale.
Fin dal passato, sono stati utilizzati svariati termini per riferirsi alle persone con disabilità: infermi, invalidi, minorati, inabili, handicappati. Questi termini sono stati utilizzati in diversi contesti, da quello giuridico al parlato comune, rimanendo però per molto tempo privi di una codifica a livello concettuale. Solo a partire dagli anni Ottanta si pone una maggiore attenzione ai termini utilizzati, il che porta a definire una terminologia più
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precisa grazie alla formulazione delle prime classificazioni internazionali volute dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS). Le classificazioni internazionali sono state prodotte con l’obiettivo di offrire dei modelli standardizzati di portata internazionale per la progettazione e l’organizzazione non solo di politiche sociali e sanitarie ma anche inerenti alla disabilità. Con le classificazioni internazionali si sono sviluppate diverse concezioni sulla disabilità (Schianchi 2018: “Scenari della contemporaneità”, par. 61). La prima classificazione delle disabilità a opera dall’OMS risale al 1970 e si colloca all’interno della International Classification of Deseases (ICD). È frutto di un lungo percorso di portata internazionale volto a individuare le categorie principali, la frequenza e l’impatto delle cause che producono morte o malattia. Al suo interno vengono presentate alcune patologie, formulate le principali caratteristiche cliniche e le cause, e a ciascuna patologia è assegnato un codice numerico. È un documento in cui sono classificati morbi e malattie ed è il frutto di una concezione medica della malattia. Questa formulazione presentò subito dei limiti per cui l’OMS preparò l’elaborazione di una nuova classificazione non incentrata sulla patologia e sul soggetto in quanto essere portatore di una patologia, ma sull’individuo nel suo complesso, per cui una maggiore attenzione è rivolta alla dimensione definita “ambientale”. Nel 1980 venne pubblicata la
Classificazione internazionale delle menomazioni, delle disabilità e degli handicap
(ICIDH) (Schianchi 2018: “Scenari della contemporaneità”, par. 62). In questo documento, la causa della patologia cessa di essere considerata il fattore più importante, difatti è il contesto ambientale che diventa il criterio principale per individuare lo stato di salute di un individuo. Rispetto al passato viene introdotta un’innovazione: lo stato di salute dipende dal benessere fisico, mentale, sociale e relazionale del soggetto. La patologia, a partire da questo momento, viene analizzata in relazione all’impatto che produce sull’esistenza dell’individuo nel suo contesto di vita. È importante sottolineare che l’ICIDH, in Italia, è alla base della legge quadro 104/92 per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate (Schianchi 2018: “Scenari della contemporaneità”, par. 63). Nell’ ICIDH vengono espressi tre concetti sul quale si fonda l’intero impianto teorico di questa classificazione: menomazione (impairment), disabilità (disability) e handicap. Con menomazione si intende qualsiasi mancanza, perdita o anomalia delle strutture e delle funzioni anatomiche, fisiologiche e psicologiche e riflette uno stato patologico. Con disabilità viene intesa la perdita o la limitazione, a seguito di una menomazione, della capacità di svolgere un’attività secondo modalità definite normali. Infine, con handicap ci si riferisce alle difficoltà incontrate dalla persona
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nell’ambiente e alla condizione di svantaggio che una persona vive in seguito a una menomazione o a una disabilità. Lo svantaggio dunque deriva dalla diminuzione o dalla perdita della capacità di una persona di conformarsi alle aspettative nonché alle norme del contesto in cui è immersa. In questa classificazione emerge una relazione causa- effetto, poiché la menomazione determina la disabilità che a sua volta è causa dell’handicap (Cottini 2018: 53). Inoltre si sottolinea che la menomazione ha un carattere permanente mentre la disabilità dipende dall’attività che l’individuo deve svolgere e con handicap viene espresso lo svantaggio che egli ha nei confronti delle altre persone normodotate con cui deve confrontarsi (Cottini 2018: 54). Come sottolineato da Schianchi, le tre distinzioni individuate e il modo di concepirle secondo una logica di relazione causa-effetto, porta alla luce le limitazioni di questo modello che sfoceranno negli anni successivi all’eliminazione e al superamento di questa rigida classificazione. Difatti la disabilità intesa in questo modo presuppone l’esistenza di un modello normale e ideale di funzioni che fa da metro di misura e in questo modo la disabilità è intesa come una deviazione rispetto al comportamento e alle attività che ci si attende da una persona “normale”. Inoltre, come sostiene Schianchi, nonostante il concetto di handicap venga definito come un fenomeno sociale, resta tuttavia il prodotto dell’incapacità o impossibilità dell’individuo di svolgere determinate attività come un individuo considerato “normale” a causa della sua menomazione (Schianchi 2018: “Scenari della contemporaneità”, par. 64).
A questo proposito, Lucio Cottini afferma che l’ICIDH rientra nel modello individuale, definito anche “medico”. Secondo questo modello la disabilità è vista come un problema del singolo, o di un ristretto gruppo di persone, causata da uno stato patologico per cui è necessario l’intervento da parte di professionisti. Si richiede dunque un’azione di tipo clinico, riabilitativo o educativo, al fine di sopperire alle carenze e alle mancanze del soggetto per facilitare l’inserimento e l’adattamento nel contesto sociale da cui proviene. Secondo questo modello l’identità della persona con disabilità viene confusa con la sua condizione patologica (Cottini 2018: 53-4).
A causa dei limiti riscontrati dall’ICIDH, l’OMS formula nel 1997 la classificazione denominata ICIDH-2 in cui vengono ulteriormente specificati i concetti di disabilità e di handicap. Con il primo, la relazione tra funzioni e attività non si basa più su uno standard di “normalità” ma sulle reali ed effettive possibilità psico-fisiche dell’individuo di svolgere attività personali. L’handicap invece si basa adesso sulla partecipazione sociale della persona con disabilità e dal grado personale di disabilità. Si tenta quindi di trovare i
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legami che intercorrono tra la condizione di salute fisica e psichica dell’individuo e gli ostacoli a una sua partecipazione, distinti in fattori ambientali e personali. Questa classificazione non viene applicata solo nel caso di persone con disabilità ma a tutti, sottolineando l’aspetto della continua evoluzione e cambiamento a cui sono soggetti tutti gli individui (Schianchi 2018: “Scenari della contemporaneità”, par. 65).
Contrapposto al modello individuale è il modello sociale della disabilità. Occorre precisare che con questo modello non viene negata l’importanza degli interventi individuali con persone con disabilità, piuttosto vengono messi in evidenza i limiti di questi interventi poiché si ritiene necessario favorire l’inclusione sociale. Sono gli ambienti e il contesto scoiale a essere disabilizzanti, a formare barriere e creare l’esclusione di alcuni individui. Il modello sociale ha avuto grande influenza nell’orientare disposizioni e normative, come la Convenzione sui diritti delle persone
disabili del 2006 (Cottini 2018: 56).
Queste modifiche sostanziali portano alle nuove concezioni contenute nella successiva
Classificazione internazionale del funzionamento, disabilità e salute (ICF), introdotta nel
2001 (Schianchi 2018: “Scenari della contemporaneità”, par. 66). Secondo Cottini, questa classificazione fonde insieme i due modelli precedenti, facendo diventare il concetto di salute centrale e fondamentale. Qui la salute rappresenta un ideale che nessuno potrà mai raggiungere in maniera completa poiché tutti gli individui, in un momento o nell’altro, possono sperimentare e manifestare situazioni di difficoltà in certe dimensioni del loro funzionamento (Cottini 2018: 58). Viene utilizzato un approccio di tipo bio-psico-sociale poiché in questo modello l’obiettivo è quello di fornire una sintesi delle diverse dimensioni e condizioni della salute da un punto di vista biologico, individuale e sociale. Vengono inoltre individuati e considerati due fattori che sono alla base del funzionamento di ogni individuo: i fattori personali e quelli ambientali. I primi riguardano le caratteristiche di una persona, identificate in funzioni e strutture corporee, mentre i secondi riguardano il contesto fisico e sociale, che non può rappresentare una barriera o un ostacolo ma deve svolgere un ruolo di facilitatore e portare a un miglioramento (Cottini 2018: 59). Con l’ICF si parla dunque di stato di salute del singolo individuo in relazione alla sua attività e partecipazione e ai fattori personali e ambientali (Schianchi 2018: “Scenari della contemporaneità”, par. 67). L’importanza di questo documento sta anche nel fatto che si è configurato come alternativa alla dimensione medica e a partire da esso si sono verificati dei cambiamenti nei termini utilizzati per riferisti alla disabilità, come l’eliminazione della parola “handicap”, implicando anche l’abbandono del modello
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dell’ICIDH, e l’utilizzo dell’espressione “persone con disabilità” (Schianchi 2018: “Scenari della contemporaneità”, par. 68).
In aggiunta, a partire dagli anni Ottanta si sviluppa il modello delle capacità (Capability
Approach) dove centrale è il concetto di well-being, ovvero di “star bene” che non deriva
tanto dai mezzi che ognuno ha a disposizione ma dalla capacità di trasformare quello che uno ha a disposizione in realizzazioni. Questa filosofia applicata alla disabilità pone l’accento sul benessere dell’individuo e sulla sua partecipazione sociale (Cottini 2018: 59). Questo modello tenta di superare la disabilità, che non significa adeguarla alla normalità, ma aumentare il ventaglio di possibilità di scelta dell’individuo, al fine di promuoverne l’autodeterminazione. Sono le persone con disabilità stesse ad avere il diritto di scegliere cosa ritengono importante e significativo nella loro vita (Cottini 2018: 60). In base a ciò che afferma Cottini, è importante riconoscere gli effetti di una disabilità o una menomazione, sia essa fisica, intellettiva o sensoriale, per essere in grado di dare ai soggetti interessati un trattamento corretto e il sostegno di cui hanno bisogno affinché possano raggiungere la condizione di well-being (Cottini 2018: 61)