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2. Storia della disabilità

2.2 La disabilità nell’antichità

2.2.3 La disabilità in epoca medievale e moderna

In epoca medievale le persone con disabilità erano prive dei mezzi per sopravvivere e della possibilità di lavorare per cui venivano identificate come figure povere in cerca di aiuto (Schianchi 2018: “L’epoca medievale e moderna”, par. 1). Appartenevano alla schiera dei marginali, termine in cui viene racchiusa l’idea di povertà e debolezza dell’essere umano. La marginalità non identifica una categoria o una classe di individui quanto piuttosto una condizione sociale. All’interno di questa categoria si collocano persone con caratteristiche diverse accomunate dal fatto di essere state messe ai margini della società, restandone tuttavia all’interno; sono persone considerate inutili in quanto non contribuiscono né a una produzione materiale né a una intellettuale nella società (Schianchi 2018: “L’epoca medievale e moderna”, par. 3).

Durante tutto il Medioevo il tema della povertà non solo è una problematica socio- culturale ma anche ecclesiastica e teologica, ed è proprio a partire dal XII secolo che all’interno della Chiesa cattolica sorgono ordini di mendicanti, i quali praticano la povertà in un regime di rinuncia delle proprietà, il cui unico sostentamento deriva dalla questua

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(Schianchi 2018: “L’epoca medievale e moderna”, par. 7). La povertà diventa dunque anche una dimensione religiosa basata sulla carità e sul sostegno ai poveri, agli umili e ai più deboli (Schianchi 2018: “L’epoca medievale e moderna”, par. 8). Alcune pratiche come l’elemosina, la carità, la pietà e la misericordia diventano fondamentali sia nel cristianesimo che del modo di approcciarsi e occuparsi dei poveri e dei marginali, categoria in cui rientrano anche le persone con disabilità. Si sviluppa verso queste persone un atteggiamento controverso: da un lato vengono aiutate e sostenute in virtù di un obbligo religioso, morale e sociale, dall’altro la povertà e la miseria, sia materiale che spirituale, in cui sono costrette diventano elementi di disprezzo e privano queste persone di dignità sociale (Schianchi 2018: “L’epoca medievale e moderna”, par. 9).

Con Luigi IX di Francia (1214-1270) detto il Santo viene aperta, nel 1260, la “Casa dei Trecento”: un’istituzione destinata a ospitare i poveri ciechi di Parigi. In quest’epoca solitamente erano gli ospitali ad occuparsi della cura di persone con disabilità, malati, indigenti, infermi nonché dell’ospitalità dei pellegrini (Schianchi 2018: “L’epoca medievale e moderna”, par. 10). All’interno della Casa venivano ospitate persone cieche e, a volte, anche i loro familiari vedenti, secondo determinate condizioni: che fossero autonome e avessero compiuto i sedici anni di età. Chi volesse essere ospitato doveva cedere gli eventuali beni e aveva l’obbligo di contribuire attivamente alla gestione della Casa giurando di mantenere il segreto sulla sua gestione (Schianchi 2018: “L’epoca medievale e moderna”, par. 11). Alcune delle mansioni che gli ospiti dovevano svolgere riguardavano la preghiera, la veglia funebre e l’assistenza ai condannati a morte, tuttavia l’occupazione principale era l’elemosina. Per svolgere questa attività le persone cieche venivano accompagnate da persone vedenti e avevano l’obbligo di indossare un’uniforme al fine di renderle riconoscibili. In questo modo i mendicanti della Casa non solo erano autorizzati ufficialmente a chiedere l’elemosina, ma venivano anche rispettati dalla gente. Tutti i proventi ricavati da questa attività dovevano essere versati alla comunità della Casa. È proprio in questo periodo che in molte città d’Europa si diffondono numerosi ordini di mendicanti ognuno dei quali possedeva una propria uniforme che consisteva in particolari abiti o contrassegni da applicare sui vestiti. Queste uniformi da mendicante nascono con il preciso scopo di rendere immediatamente riconoscibili i mendicanti che hanno il diritto di chiedere l’elemosina rispetto a quelli che non ne hanno diritto. Tuttavia queste uniformi si caricano di molti significati simbolici e sociali finendo per diventare uno stigma nonché un segno di “infamia”, proprio come è accaduto anche per ebrei e lebbrosi: i primi sono stati obbligati a indossare nel 1215 un abito distintivo, mentre i

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secondi cappucci, bisacce e sonagli (Schianchi 2018: “L’epoca medievale e moderna”, par. 12).

Nel Medioevo il legame che esiste tra disabilità, elemosina e il fatto di essere un mendicante diventa parte integrante della mentalità dell’epoca. In questo periodo sorgono molti istituti e opere di carità e di elemosina principalmente nelle città (Schianchi 2018: “L’epoca medievale e moderna”, par. 13). Le piazze, le strade e le chiese diventano i luoghi deputati al mendicare. Alcuni mendicanti erano persone in condizione di inabilità a lavorare a causa di menomazioni fisiche, sensoriali o malattie, e avevano il compito di attirare l’attenzione su di sé attraverso grida, canti, pianti, campanelli o mostrando le proprie menomazioni. Questa tipologia di mendicanti veniva socialmente accettata poiché non aveva altro modo per guadagnarsi da vivere se non quello di mendicare e venivano chiamati “poveri stipendiati”, per cui si parla di “mendicità professionale” laddove il corpo menomato dell’individuo diventa un mezzo “professionale”. Questo però ha portato poi a identificare il mendicante con lo storpio o persona inferma ed è da questa identificazione che nasce il sentimento di pietà e di misericordia ma anche di ripugnanza. (Schianchi 2018: “L’epoca medievale e moderna”, par. 14). L’inabilità dei mendicanti sembra dunque essere la loro qualifica professionale e sono considerati una categoria tollerata all’interno della società poiché l’elemosina offre ai fedeli un modo di espiare i peccati e sperare di avere una ricompensa da parte di Dio. I mendicanti diventano sempre più consapevoli del loro posto nella società tanto che iniziano a formarsi le prime corporazioni, tuttavia rimangono in condizioni di degrado sociale e morale (Schianchi 2018: “L’epoca medievale e moderna”, par. 16).

A partire dal XII secolo, in molte città europee, gli ospedali e le opere di carità religiose e pubbliche, hanno visto aumentare le richieste di cibo e denaro da parte non solo di inabili ma anche di vittime di carestie, guerre, calamità naturali, cattivi raccolti ed epidemie come la peste nera verificatasi tra il 1247 e il 1352 in tutta Europa. Queste situazioni creano una schiera di nuovi poveri, per cui attraverso alcuni provvedimenti vengono introdotte nuove distinzioni tra poveri inabili e abili (Schianchi 2018: “L’epoca medievale e moderna”, par. 18). Attorno ai poveri considerati meritevoli, a cui va assistenza e carità, si forma in epoca medievale un immaginario negativo, ricco di credenze e pratiche religiose come guarigioni, miracoli e il culto delle figure guaritrici nonché forme di espressione letteraria e artistica attorno al tema delle guarigioni miracolose (Schianchi 2018: “L’epoca medievale e moderna”, par. 20). Sempre in questa epoca si accentua la

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relazione tra disabilità o infermità e peccato, poiché si ritiene che queste persone fossero possedute dal demonio (Schianchi 2018: “L’epoca medievale e moderna”, par. 21). Nel 1500 si assiste a un periodo di riforma degli ospedali che porta un maggiore coinvolgimento dei laici nella gestione di tali istituzioni assieme agli ordini religiosi (Schianchi 2018: “L’epoca medievale e moderna”, par. 26).

Tra la metà del Cinquecento e il Seicento si sviluppa lo Stato moderno mentre in ambito religioso avviene la Riforma protestante con la seguente Controriforma cattolica. In tutta Europa, la figura del mendicante inabile viene inserita all’interno di un’assistenza più regolamentata che nel passato: l’assistenza viene gestita da istituzioni sempre più specializzate destinate a sostenere chi si trova davvero in condizioni di non provvedere al proprio sostentamento (Schianchi 2018: “L’epoca medievale e moderna”, par. 31). In questo periodo le istituzioni che si occupano dei poveri sono le opere di assistenza gestite da religiosi, da filantropi privati e dal potere pubblico. Rispetto a quanto avveniva nel Medioevo, dove il mendicante aveva un ruolo sociale preciso, in questi secoli coloro che non possiedono un lavoro devono essere ricollocati all’interno della società. Per questo motivo i mendicanti iniziano a essere inseriti all’interno di appositi istituti al fine di operare un controllo più stretto, come le case di correzione in Inghilterra dove venivano riuniti diversi individui tra cui i mendicanti, i vagabondi, i malati di mente e i socialmente pericolosi. Assistenza e repressione si legano al concetto di assistenza di persone considerate inabili al lavoro (Schianchi 2018: “L’epoca medievale e moderna”, par. 32). Schianchi sottolinea che si sa ancora poco di cosa avvenisse all’interno di questi istituti. Inoltre, come affermato dal filosofo Michel Faucault (1926-1984), l’età moderna diviene l’epoca della segregazione, in quanto i mendicanti non vengono più espulsi fuori dalla città ma rinchiusi all’interno di ospedali, che tuttavia non si configurano come luoghi di cura ma di sorveglianza repressiva e di costrizione. Chi non lavora viene curato e nutrito ma perde la sua libertà e la persona che soggiorna nei suddetti luoghi di cura viene identificata come socialmente inutile (Schianchi 2018: “L’epoca medievale e moderna”, par. 34). Si sviluppano dunque forme più moderne e pubbliche di assistenza ai poveri e alle persone con disabilità, tuttavia il potere religioso non scompare dalla gestione degli istituti e l’assistenza tramite la beneficenza privata si fa sempre più forte (Schianchi 2018: “L’epoca medievale e moderna”, par. 38).

Più tardi, verso il 1700 le forme di accattonaggio iniziano a diventare un reato e vengono creati sistemi di pubblica assistenza specializzati come i manicomi e gli istituti educativi per alcune tipologie di disabilità (Schianchi 2018: “L’epoca medievale e moderna”, par.

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45). La rivoluzione industriale non solo cambia l’assetto economico e sociale degli Stati ma sconvolge anche il concetto di disabilità: è del 1700 la formulazione del concetto di infortunio sul lavoro nel contesto del lavoro industriale (Schianchi 2018: “L’epoca medievale e moderna”, par. 46, 47). La sua definizione compare in un testo dell’italiano Bernardino Ramazzini (1633- 1714), considerato il fondatore della medicina del lavoro. La maggiore presenza di infortuni e, di conseguenza, di persone con disabilità conduce a una riformulazione di questo concetto, il quale viene ora visto come un prodotto della società (Schianchi 2018: “L’epoca medievale e moderna”, par. 48). Per la prima volta le menomazioni sul corpo di una persona non sono più percepite come il risultato di una colpa, di una devianza e di un destino malevolo e nemico, ma come un corpo che è stato danneggiato a seguito di meccanismi sociali (Schianchi 2018: “L’epoca medievale e moderna”, par. 49). Sorgono le prime forme di assicurazione sugli infortuni sul lavoro tra cui forme di mutualismo e di previdenza sociale (Schianchi 2018: “L’epoca medievale e moderna”, par. 50). È interessante notare come la rivoluzione industriale da una parte produce nuove forme di disabilità, dall’altra accentua lo sfruttamento nelle fabbriche di alcune categorie di persone con disabilità ma, al contempo, ne causa l’esclusione poiché sorgono lavori standardizzati che escludono proprio le persone con disabilità. Questo fatto diventa ancora più grave dal momento che, all’interno del nuovo sistema economico del capitalismo, il lavoro diventa il valore dominante e l’individuo viene definito in base al lavoro. Di conseguenza, chi non è in grado di lavorare, non potendosi conformare a questo nuovo modello sociale, viene percepito come facente parte di un mondo a sé stante e viene escluso dalla società: il lavoro, soprattutto nella persona con disabilità, diventa indice di un valore morale e umano. (Schianchi 2018: “L’epoca medievale e moderna”, par. 51). Occorre precisare che alcune tipologie di disabilità, come la disabilità intellettiva, nel passato non era ancora stata codificata e veniva chiamata in termini generici “demenza”, “frenesia” e le persone “idioti”. Inoltre, non essendoci conoscenze in ambito medico e scientifico le malattie intellettive si mescolavano con le malattie psichiatriche e non esistevano istituzioni specifiche in grado di potersi occupare delle persone con questo tipo di disabilità (Schianchi 2018: “L’epoca medievale e moderna”, par. 56). Bisogna aspettare il 1700 per avere una prima riflessione sul tema delle disabilità intellettive, grazie al medico francese François-Emmanuel Fodéré (1764-1835) e al suo Essai sur le

goître et le crétinage, considerato il primo testo teorico sulla disabilità intellettiva, in cui

vengono trovate le cause di alcune malattie intellettive e spiegate le modalità per prevenirle (Schianchi 2018: “L’epoca medievale e moderna”, par. 58). Schianchi ipotizza

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che questi individui vivessero in città o villaggi all’interno di ambiti familiari o di vagabondaggio e accattonaggio, oppure internati presso gli ospedali dove ricevevano cure (Schianchi 2018: “L’epoca medievale e moderna”, par. 59). A partire dall’Ottocento questo tipo di disabilità inizia ad essere trattata da un punto di vista pedagogico e medico- sociale, con la formazione di istituti specializzati e con le prime diagnosi di ritardo mentale, anche se si basavano sulle teorie di degenerazione della specie. Nel 1818 Jean- Étienne-Dominique Esquirol (1772-1840) psichiatra francese, formula la nozione di ritardo mentale, chiamata all’epoca “idiozia”, definendola un ritardo nello sviluppo intellettivo molto evidente in un individuo, nonché un ritardo impossibile da curare tanto che le capacità intellettive del soggetto sono compromesse per sempre. Per tutto l’Ottocento, sulla base di questa definizione, si sviluppa un pensiero pedagogico volto alla riabilitazione di questi soggetti in istituti educativi specializzati (Schianchi 2018: “L’epoca medievale e moderna”, par. 62). Un esempio è costituito dalla clinica per i bambini affetti da cretinismo e da altre disabilità fisiche e intellettive, aperta nel 1839 a Abendberg, dal medico svizzero Johann Jacob Guggenbül. Qui l’intento era quello di risvegliare l’anima dei pazienti attraverso la cura del corpo, un’alimentazione sana e una terapia di farmaci. In quell’epoca erano presenti molte teorie secondo cui il cretinismo era in parte dovuto anche al luogo in cui l’individuo era vissuto, per questo nella clinica si tentava di instaurare nel paziente un rapporto con la natura, attuando una pedagogia volta a sviluppare le facoltà intellettive e la motricità del soggetto (Schianchi 2018: “L’epoca medievale e moderna”, par. 63). In questo secolo si va formando, nel pensiero comune, un rapporto conflittuale nei confronti della disabilità sulla base di ciò che rappresentavano gli istituti specializzati: se da una parte ne nascono molti destinati alla cura in chiave pedagogica di persone con disabilità, in cui si cerca di valorizzare le capacità di questi soggetti, dall’altra parte queste istituzioni sono dominate da un pessimismo di fondo circa il recupero di queste persone e si configurano come strutture in cui si provvede solo al sostentamento materiale dei pazienti, diventando strumenti di segregazione e separazione dalla società (Schianchi 2018: “L’epoca medievale e moderna”, par. 64). Nel 1890, in Italia, venne emessa una legge che istituiva opere pie e istituti di beneficenza in cui si doveva provvedere non solo all’assistenza di persone in stato di povertà e con disabilità ma anche, laddove fosse possibile, a una loro reintegrazione nel mondo del lavoro. Anche in questo secolo la mendicità rimane un punto critico e si assiste a un incremento dei cosiddetti “infermi dell’ozio”, ovvero mendicanti abili per il lavoro ma che simulano infermità. Per questo motivo una legge di

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pubblica sicurezza nel 1889 vieta la pratica del mendicare e sancisce l’obbligo di internare le persone inabili al lavoro all’interno di appositi ricoveri. Al mantenimento di queste figure concorreranno non solo i gli istituti ma anche le congregazioni di carità, le opere pie e le confraternite (Schianchi 2018: “Il primo Novecento”, par. 8).

Nel XX secolo venne definito il ritardo mentale in base al livello intellettuale dell’individuo, misurato attraverso il quoziente di intelligenza. Questa unità di misura è stata creata nel 1905 da due psicologi francesi Alfred Binet (1857-1911) e dal suo collaboratore Théodore Simon (1873- 1961), i quali realizzano dei test per misurare l’età mentale dei bambini in base alle funzioni “normali” previste per soggetti di pari età anagrafica. Successivamente, lo psicologo tedesco William Stern (1871- 1938) nel 1912 coniò il termine “quoziente di intelligenza” abbreviandolo con la sigla QI (Schianchi 2018: “L’epoca medievale e moderna”, par. 67).