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4. Accessibilità: dall’Universal Design al parco giochi accessibile

4.2 Caratteristiche del parco giochi

4.2.3 Il bambino come parametro per la costruzione di aree dedicate al gioco

Con una progettazione sempre più incentrata sull’utente, grazie all’affermarsi dell’approccio dello User-Centered Design, si è cercato di rispondere in maniera efficiente ai reali bisogni, desideri ed esigenze degli individui. Secondo questo approccio è possibile dunque cominciare a progettare le città non tenendo conto dell’utente medio, ovvero l’adulto, sano e lavoratore, ma includendo i soggetti che da questa media sono esclusi: bambini e anziani (Tonucci 1996: 19). Come afferma Tonucci (1996: 19), solamente imparando ad accettare tutte le diversità, tra cui quelle dei bambini e delle persone con disabilità, sarà possibile costruire una città a misura di tutti.

Questo approccio, applicato alla costruzione delle aree gioco per i bambini, ha portato a tenere in considerazione i bisogni dei bambini, sviluppando progetti e servizi a loro dedicati. In questo senso il bambino deve diventare il parametro attorno a cui costruire il progetto. A questo proposito, nel 1945, sulla rivista italiana Urbanistica, l’urbanista e sociologo Lewis Mumford (1895-1990) scrive della necessità di costruire dei luoghi destinati al gioco per i bambini che non siano convenzionali e stereotipati, quanto invece ricchi di elementi e di posti in cui nascondersi (Tonucci 1996: 24-5). Al fine di realizzare tale opera e affinché i bambini si riapproprino della città, è necessario coinvolgerli, dare a loro il diritto di parola, cosicché possano esprimersi (Tonucci 1996: 41). I bambini devono quindi diventare progettisti di spazi e arredi urbani insieme a esperti e tecnici, come è accaduto a Fano, nel 1991, con il progetto della “Città dei Bambini”. Qui a diversi

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gruppi di bambini è stato chiesto di esprimere come avrebbero voluto che la loro area giochi fosse attrezzata (Tonucci 1996: 129). Negli Stati Uniti già a partire dagli anni Sessanta vengono realizzate le prime esperienze di progettazione partecipata con i bambini grazie alla volontà dei movimenti dei cittadini e con il supporto di docenti universitari delle facoltà di architettura. Queste esperienze nascono in particolar modo in aree e zone degradate delle città (Tonucci 1996: 176-7).

Come sostenuto da Jansson (2015:1) dare voce ai bambini, tenere conto della loro visione durante il processo di progettazione di un parco giochi potrebbe essere la chiave per implementare le possibilità di gioco negli spazi pubblici, dal momento che il diritto di formarsi un’idea e di esprimersi su questioni che li riguardano, è stato sancito nella Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia (1989). Solitamente gli spazi all’aperto, come i parchi giochi pubblici, vengono progettati senza ricorrere alla partecipazione dei bambini, che tuttavia è fondamentale per lo sviluppo di spazi e ambienti sempre più child-

friendly (Jonsson 2015: 2-3). Una critica che molto spesso viene rivolta alle aree gioco

per i bambini è quella di essere statiche, noiose, ripetitive e di non corrispondere ai desideri e alle aspettative dei bambini (Jonsson 2015: 4). Per scoprire quali sono le caratteristiche che rendono un’area giochi un luogo che i bambini sentono come proprio, in Svezia è stata condotta una ricerca su un campione di bambini dai sei agli undici anni, a cui è stato chiesto di esaminare l’area giochi che solitamente utilizzavano (Jonsson 2015: 6-7). Ai bambini è stato chiesto di descrivere le attività fisiche, sociali e relazionali che svolgevano nel loro parco giochi. Per le attività fisiche hanno riportato un coinvolgimento con le strutture e le attrezzature del parco ma anche con la natura, gli alberi e degli elementi sfusi presenti nell’area. Per quanto riguarda invece l’aspetto sociale, hanno riportato la possibilità di utilizzare il parco giochi insieme agli amici, alla famiglia, alla classe, sia durante l’orario scolastico che al di fuori. Le attività, sia fisiche che sociali, che più ricorrevano sono state divise in tre categorie: sfide, manipolazione e

place-making (Jonsson 2015: 11).

Le sfide sono principalmente fisiche, come arrampicarsi sulle attrezzature o sugli alberi, correre o saltare. Concernevano inoltre l’utilizzo delle strutture presenti in modo improprio, inventandosi nuove attività, non limitandosi ad utilizzarle solamente per l’uso che ne è stato progettato (Jonsson 2015: 12). La manipolazione invece riguarda l’utilizzo dei materiali e delle strutture in modalità diverse rispetto a quelle che erano previste dalle strutture stesse. Questo tipo di attività è stato riscontrato solo nella fascia di età più alta, ovvero tra i bambini dai nove agli undici anni. Le manipolazioni che i bambini hanno

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descritto riguardano soprattutto cambiamenti piccoli e reversibili, come riempire delle ruote con della ghiaia o rastrellare la sabbia; tuttavia è stata riscontrata anche una manipolazione che può portare a danni irreversibili, come l’utilizzo di altri materiali sulle strutture di legno oppure scavare sotto le strutture di gioco. Da questo studio emerge che la manipolazione, non solo viene intesa come un modo per non sentirsi annoiati nel parco giochi, ma viene anche percepita come la modalità più normale e naturale di utilizzare il parco giochi (Jansson 2015: 13). Jansson (2015: 16) sostiene che questo è dovuto anche a causa della scarsa attrattività del parco poiché manca di sfide, ritenute un elemento fondamentale per il divertimento dei bambini. Non solo, il fatto che siano solamente i bambini più grandi a ricorrere alla manipolazione, può significare che il parco giochi incontra le esigenze e i bisogni di sfida solo dei bambini più piccoli ma non dei più grandi (Jansson 2015: 17). Il place-making riguarda invece il cercarsi o il crearsi uno spazio per sé, anche questa attività viene considerata un modo per utilizzare il parco. Questi spazi, o nascondigli, che i bambini ricavano solitamente si trovano in aree verdi tra gli alberi, ma anche tra una struttura e l’altra. Questa attività viene considerata dai bambini molto importante poiché permette una maggiore libertà di gioco e può essere svolta sia da soli che in gruppo (Jansson 2015: 14). Alla luce di questi risultati, Jansson (2015: 21) afferma che la partecipazione dei bambini alla progettazione del parco giochi può essere un ottimo punto di partenza per incrementarne l’utilità, tenendo veramente conto dei desideri e dei bisogni dei bambini durante il gioco.