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La tradizione storiografica aretina ha sempre guardato al 1384 (data in cui Arezzo entrò a far parte del nascente stato territoriale fiorentino) come ad una cesura epocale nella storia della città: da quel momento sarebbe cominciato un periodo di lento ed inesorabile declino protrattosi almeno fino al 1530116. Entro questi due termini cronologici la storiografia cittadina si è per lo più occupata degli eventi in cui gli aretini avevano cercato di recuperare la propria indipendenza dalla dominante117.

Retaggio, in certa misura, della storiografia romantico-risorgimentale che ha spesso inseguito il ‘mito’ delle libertà comunali, nel suo fare storia eminentemente ‘municipale’118

, questo «paradigma della decadenza»119 è stato messo in discussione a partire dagli ultimi vent’anni120

. Nel caso di Arezzo, grazie alle nuove linee interpretative emerse nella storiografia degli ultimi decenni, si è cominciato a mettere in evidenza la ‘decadenza interna’ della città nel periodo precedente la conquista fiorentina (una città sempre più divisa da lotte di fazione), e il fatto che in seguito al 1384, nonostante l’autorità cittadina in materia fiscale, giudiziaria e amministrativa fosse piuttosto limitata dall’intervento delle istituzioni e degli ufficiali fiorentini, le élites aretine potessero essere attivamente coinvolte dalla dominante nella gestione della vita politica cittadina, dimostra che l’inclusione nello stato territoriale fiorentino ebbe innegabilmente anche aspetti positivi121. Inoltre, il consenso del partito filofiorentino alla sottomissione della città, trascurato a lungo e forse intenzionalmente dalla

116

Cfr. F. Franceschi, L’inserimento nello stato regionale, in Storia di Arezzo: stato degli studi e

prospettive, a cura di L. Berti e P. Licciardello, Atti del convegno (Arezzo, 21-23 febbraio 2006), Firenze,

2010, p. 407.

117

Cfr. L. Berti, Lettura, riconsiderazione e falsificazione del passato nella cultura e nella storiografia

aretina dell’età moderna e contemporanea, «Atti e Memorie dell’Accademia Petrarca di Lettere, Arti e

Scienze», LIV (1992), pp. 301-318.

118

Cfr. F. Franceschi, L’inserimento nello stato regionale cit., pp. 407-408.

119

Cfr. L. Mannori, Effetto domino. Il profilo istituzionale dello Stato territoriale toscano nella

storiografia degli ultimi trent’anni, in La Toscana in età moderna (Secoli XVI-XVIII). Politica, istituzioni, società: studi recenti e prospettive di ricerca, a cura di M. Ascheri e A. Contini, Atti del convegno

(Arezzo, 12-13 ottobre 2000), Firenze, 2005, pp. 60-63.

120

Cfr. F. Franceschi, L’inserimento nello stato regionale cit., p. 408. Cfr. M. Luzzati, Firenze e la

Toscana nel Medioevo. Seicento anni per la costruzione di uno Stato, Torino, 1986, p. 128; cfr. L. Berti, Il ruolo delle classi dirigenti locali nella vicenda politica dello stato regionale toscano: riflessioni sul caso aretino, in Istituzioni e società in Toscana nell’età moderna cit., II, p. 613; cfr. A. Antoniella, Affermazione e forme istituzionali della dominazione fiorentina sul territorio di Arezzo (secc. XIV-XVI),

«Annali Aretini», I (1993), pp. 173-205; cfr. Lo Stato territoriale fiorentino cit.

121

37

storiografia aretina, è divenuto probabilmente l’elemento fondamentale per comprendere il successivo sviluppo della storia cittadina122.

Il rapporto privilegiato tra i ceti eminenti fiorentini e le élites aretine trova conferma nella nomina di patrizi aretini alla carica di Cancelliere della repubblica fiorentina: a partire da Leonardo Bruni, essi ricoprirono tale ufficio per i successivi quarant’anni123

. Questo rapporto venne ulteriormente rafforzato attraverso le reti clientelari e di patronato che nei decenni successivi coinvolsero famiglie quali Guicciardini, Del Nero, Canigiani, Gherardi, Pazzi, Pitti, Niccolini e Medici124. Afferma, perciò, Franceschi: «Insomma, nell’attività di governo svolta nel Dominio canali istituzionali e canali clientelari sembrerebbero avere marciato di pari passo e perseguito gli stessi obiettivi di mantenimento del potere e del consenso»125.

In questa ottica la questione delle ribellioni al governo fiorentino, cara a tanta parte della storiografia aretina di matrice municipalistica, sembra difficile da conciliare con una realtà politica fatta di mediazione, integrazione e solidi legami clientelari, come sottolineato dalla più recente critica storiografica. Eppure, tra il 1390 e il 1530 vi furono almeno sei episodi di aperta insurrezione, senza contare la cospirazione forse solo progettata del 1437126. I principali studi sulle ribellioni aretine risalgono per lo più alla fine dell’Ottocento e alla prima metà del secolo scorso127

, e, secondo Franceschi, anche quando dispongono di:

«una base documentaria accettabile, denunciano paradigmi interpretativi datati, pur con diverse sfumature convergenti nella semplicistica spiegazione che vede le rivolte come tentativi del popolo

122

Ivi, p. 412.

123

Ivi, pp. 415-416. Cfr. I cancellieri aretini della Repubblica di Firenze, a cura di R. Cardini e P. Viti, catalogo della mostra (Arezzo, 11dicembre 2003 – 20 gennaio 2004), Firenze, 2003.

124

Cfr. i saggi di R. Black citati infra.

125

F. Franceschi, L’inserimento nello stato regionale cit., p. 418.

126

Ivi, p. 423. Cfr. L. Berti, Lettura, riconsiderazione, e falsificazione cit., pp. 315-316 e nota n. 54. Per la presunta cospirazione del 1437 e per il coinvolgimento in essa di Leonardo Bruni e di altri aretini eminenti residenti a Firenze, si veda la lettera pubblicata in A. Field, Leonardo Bruni, Florentine Traitor?

Bruni, the Medici, and an Aretine Conspiracy of 1437, «Renaissance Quarterly», LI (1998), pp. 1109-

1150, citata a p. 1144.

127

Cfr. U. Pasqui, Una congiura per liberare Arezzo dalla dipendenza dei fiorentini (1431), «Archivio storico italiano», S. V, V (1890), pp. 3-19; E. Solmi, Partecipazione di Leonardo da Vinci alla

sollevazione di Arezzo e della Val di Chiana nel giugno 1502, «Archivio storico italiano», S. V, XLIX

(1912), pp. 122-129; A. Bini, La ribellione di Arezzo del 1529, «Atti e Memorie dell’Accademia Petrarca di Lettere, Arti e Scienze», I (1920), pp. 149-179; M. Falciai, Storia di Arezzo dalle origini alla fine del

Granducato lorenese, Arezzo, 1928, pp. 73-79; E. Pieraccini, La ribellione di Arezzo del 1502, «Atti e

Memorie dell’Accademia Petrarca di Lettere, Arti e Scienze», XXVI-XXVII (1939), pp. 17-50, XXVIII- XXIX (1940), pp. 146-220; D. Bini, Il conflitto secolare fra Arezzo e Firenze, «Atti e Memorie dell’Accademia Petrarca di Lettere, Arti e Scienze», XXX-XXXI (1941), pp. 53-73.

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aretino di sottrarsi al giogo fiorentino e di riconquistare le libertà comunali. Al contrario la presenza costante in questi avvenimenti di importanti esponenti del ceto eminente cittadino, il coinvolgimento di alcune aree del distretto aretino dove più forte si era mantenuta l’opposizione al nuovo ordine imposto dai fiorentini, la stessa cronologia della rivolta, sempre legata a momenti di vera o potenziale crisi poltico- militare dello Stato territoriale, induce a credere che si tratti di fenomeni assai più complessi di quanto non si sia ritenuto in passato»128.

Per fare luce sulla complessità di questi fenomeni, anche in questo caso (come lo era stato del resto per Volterra e per Pistoia) risulta necessario indagare più a fondo le dinamiche di potere che avevano contraddistinto la dialettica politica in atto tra Arezzo e Firenze nel corso del XV secolo, tenendo presenti i due livelli di riferimento e i due canali di comunicazione su cui abbiamo sempre veduto innestarsi tali pratiche: quello pubblico ed istituzionale e quello privato ed informale.

Secondo Luca Berti129 vi è una grande differenza tra le ribellioni aretine di fine Trecento e primo Quattrocento, tese a riconquistare l’indipendenza cittadina, e quelle del primo Cinquecento, sostenute dai Medici negli anni del loro esilio da Firenze (1494- 1512). È altresì interessante notare come tutte le rivolte ebbero luogo quando Arezzo si trovava soggetta al governo repubblicano di Firenze, cioè quando, secondo Franceschi, la dipendenza politica e fiscale dalla dominante si faceva più dura130. Al di là degli stretti rapporti con le formazioni filofiorentine tra Tre e Quattrocento (la sottomissione a Firenze avvenne grazie anche alla complicità della fazione degli Arciguelfi, facente capo alla famiglia Albergotti131), è indubbio che fu l’avvento al potere dei Medici a segnare un passaggio epocale nelle modalità e nel tipo di relazioni tra la comunità soggetta e la dominante132. In questa nuova ‘pacifica’ dimensione della vita politica aretina i legami tra i ceti eminenti cittadini e gli esponenti della famiglia Medici poterono intensificarsi a tal punto che i successivi due tentativi di recuperare l’indipendenza da Firenze, nel 1502 e nel 1529-30, costituirono al tempo stesso la prova

128

F. Franceschi, L’inserimento nello stato regionale cit., p. 424.

129

Cfr. L. Berti, Arezzo nel tardo Medioevo (1222-1440). Storia politico-istituzionale, «Quaderni di Notizie di Storia», 1 (2005), Arezzo, Società Storica Aretina, p. 17

130

Cfr. F. Franceschi, L’inserimento nello stato regionale cit., p. 425, nota n. 73.

131

Cfr. L. Berti, Il ruolo delle classi dirigenti locali cit., p. 614.

132

«È un fatto che appare finalmente garantito quel ‘tranquillo e pacifico stato’ che è da sempre l’ideale della dominante ed è un fatto che la situazione nuovamente creatasi farà cessare per quasi settant’anni quei tentativi di recuperare l’indipendenza che avevano in precedenza avvelenato le relazioni fra le due città», ivi, p. 616.

39

tangibile della fedeltà alla casa medicea, con la cui connivenza gli aretini si sollevarono contro la repubblica fiorentina133.

* * *

Gli studi dedicati negli anni novanta del secolo scorso da Robert Black ai rapporti tra i Medici e Arezzo134 hanno contribuito ad approfondire in modo ulteriore il complesso intreccio costituito dalle pratiche clientelari e di patronato e dalle dinamiche politiche appartenenti alla sfera pubblica, nello svolgimento delle relazioni tra la dominante e la comunità soggetta. Nel corso del secolo XV, come abbiamo già accennato, alcune famiglie fiorentine avevano istituito in Arezzo «basi di potere politico ed economico»135: fra tutte, secondo Black, i Canigiani e i Pazzi (Guglielmo de’ Pazzi fu uno strenuo difensore degli interessi aretini negli anni novanta del Quattrocento136 e suo figlio Cosimo fu il vescovo della città durante la rivolta del 1502). Tra le famiglie aretine più influenti, ben inserite all’interno dei circuiti clientelari fiorentini, una menzione particolare spetta agli Albergotti, che avrebbero ottenuto anche la cittadinanza fiorentina137.

Al tempo della rivolta del 1502 i più insigini esponenti del patriziato aretino, in precedenza filofiorentini, erano gli Accolti. Un ramo della famiglia aveva ottenuto la cittadinanza fiorentina nel 1459, ma durante i fatti dell’estate 1502 dovette pesare maggiormente sulle scelte e sugli schieramenti politici dei membri di questo ramo la fedeltà da sempre dimostrata verso i Medici. Jacopo di Michele Accolti ebbe, infatti, un ruolo importante al fianco dei ribelli aretini nelle campagne militari che si svolsero

133

Ivi, p. 617. Da qui, in riferimento agli eventi che porteranno all’instaurazione del Principato mediceo dopo il 1530-31, Berti conclude: «Il potere mediceo persegue con lucidità e coerenza, nei confronti delle

élites al potere nelle città soggette a Firenze, un disegno che potremmo definire consociativistico e la

nuova situazione è pienamente accettata dall’aristocrazia aretina», ibid., p. 617.

134

Cfr. R. Black, Cosimo de’ Medici and Arezzo, in Cosimo ‘il Vecchio’ de’ Medici 1389-1464. Essays in

Commemoration of the 600th Anniversary of Cosimo de’ Medici’s Birth, ed. by F. Ames-Lewis, Oxford,

1992, pp. 33-47; Id., Piero de’ Medici and Arezzo, in Piero de’ Medici ‘il Gottoso’ (1416-1469). Kunst im

Dienste der Mediceer. Art in the Service of the Medici, hrsg. von A. Beyer, B. Boucher, Berlin, 1993, pp.

21-38; Id., Lorenzo and Arezzo, in Lorenzo the Magnificent cit., pp. 217-234; Id., Arezzo, the Medici and

the Florentine Regime, in Florentine Tuscany. Structures and Practices of Power, ed. by W.J. Connell

and A. Zorzi, Cambridge, 2000, pp. 293-311; Id., Arezzo, i Medici e il ceto dominante fiorentino, trad. it. di Lorenzo Fabbri, in Lo Stato territoriale fiorentino cit., pp. 329-357.

135

R. Black, Arezzo, i Medici e il ceto dominante fiorentino cit., p. 329.

136

Cfr. R. Black, Studio e scuola in Arezzo durante il medioevo e il Rinascimento. I documenti d’archivio

fino al 1530, Arezzo, 1996, pp. 286 e 289. 137

Cfr. A. Visdomini, Racconto della ribellione aretina del 1502, a cura di G. Grazzini, in Annales

Arretinorum maiores et minores, Rerum Italicarum Scriptores, tomo XXIV, parte I, Città di Castello,

40

durante l’insurrezione138. In questo contesto la presenza dell’elemento mediceo

rappresenta per Black il fattore determinante, quello cioè che dimostrerebbe come alla fine del secolo XV la relazione tra Firenze e Arezzo fosse in realtà triadica (e lo fosse probabilmente stata a partire dalla metà del Quattrocento) e comprendesse «il signore (Firenze), il suddito (Arezzo) e i Medici. Questa struttura triangolare era fondata su una potente rete di patronato e di clientele che i Medici, particolarmente sotto Lorenzo di Piero, avevano intessuto ad Arezzo nel corso del secolo»139.

Per mettere in evidenza uno degli assi portanti del sistema clientelare che aveva creato solidi legami tra le famiglie fiorentine e il ceto eminente aretino, vale a dire il complicato ‘gioco’ dello scambio di favori (tra ruoli politici, cariche istituzionali e lucrosi uffici), Black si occupa in questo saggio del notariato dei danni dati140. Esso, infatti, fu uno degli uffici comunali maggiormente richiesti dai patroni fiorentini per i propri amici e clienti, in quanto particolarmente lucroso e redditizio. Il notaio dei danni dati era incaricato di intervenire contro i danneggiamenti operati nei confronti delle proprietà rurali, appartenenti in special modo agli abitanti della città141. Dopo il 1434, afferma Black, sempre più gli aretini si servirono di questo ufficio per ripagare debiti di gratitudine nei confronti di eminenti fiorentini142.

L’analisi delle citazioni e delle occorrenze dei nominativi dei patroni fiorentini contenuti nelle provvisioni del comune di Arezzo143, con particolare riferimento proprio al notariato dei danni dati, consente a Black di approntare una statitistica sulla maggiore o minore influenza da essi esercitata nelle decisioni delle istituzioni aretine. Non sembrerà strano, così, notare come dopo il 1434 Cosimo de’ Medici fosse il più influente patrono fiorentino, anche se accanto a lui figuravano altri esponenti del ceto dirigente fiorentino quali Piero di messer Luigi Guicciardini e Nero di Filippo Del Nero (negli anni trenta e quaranta del Quattrocento), o Bernardo di Bartolomeo Gherardi e

138

Cfr. R. Black, Arezzo, i Medici e il ceto dominante fiorentino cit., p. 330.

139

Ivi, pp. 330-331.

140

Sul ‘danno dato’ come categoria giuridica cfr. A. Pertile, Storia del diritto italiano dalla caduta

dell’Impero romano alla codificazione, 6 voll., Torino, 1892-19032

(ristampa, Bologna, 1966), V, pp. 632-637.

141

«A causa del suo ruolo di risolutore delle controversie sulle proprietà tra città e campagna, il notaio dei danni doveva essere un non aretino, al pari del capitano e del podestà, ed era stabilito per statuto che egli doveva provenire da Firenze o dal suo ‘contado vecchio’», R. Black, Arezzo, i Medici e il ceto dominante

fiorentino cit., pp. 331-332. 142

Ivi, p. 332.

143

ASA, Priori, collegi e consiglio generale, Deliberazioni dei priori, poi della magistratura civica e del

41

Neri di Gino Capponi (negli anni cinquanta del XV secolo)144. In realtà, stando alle citazioni contenute nel registro delle provvisioni aretine esaminato da Black, il patrono fiorentino più influente, durante la vita di Cosimo de’ Medici, fu senza dubbio Luca Pitti (le insegne della famiglia Pitti furono esposte sul palazzo dei Priori di Arezzo due anni prima di quelle dei Medici e con una spesa maggiore da parte del comune)145, e Otto Niccolini ricevette addirittura un numero maggiore di menzioni rispetto allo stesso Cosimo.

Con Piero de’ Medici il patronato mediceo fu ulteriormente rafforzato: da quando egli ebbe modo di ricoprire la carica di Gonfaloniere di giustizia per il bimestre gennaio-febbraio 1461, gli aretini si rivolsero a lui, anche in modo piuttosto insistente, per potersi assicurare una fiera annuale permanente ed esente da gabelle146. Durante i primi anni della personale supremazia di Piero di Cosimo continuarono, comunque, ad essere molto attivi come patroni Luca Pitti, Otto Niccolini (avvocato del comune di Arezzo), Filippo de’ Medici, il nuovo vescovo Lorenzo Acciaiuoli, Antonio Pucci, Agnolo Acciaiuoli e Buonaccorso Pitti147. Dopo il fallimento del ‘golpe’ antimediceo del 1466, quei patroni fiorentini collegati all’opposizione contro Piero di Cosimo scomparvero quasi interamente dalla scena aretina. Egli poté così emergere quale principale patrono fiorentino in Arezzo, e fregiarsi della presenza di nuovi esponenti fedeli al suo schieramento quali Giovanni di Antonio Serristori, Piero di Niccolò Malegonnelle, Tommaso Soderini, Carlo de’ Medici148.

Anche nel caso di Arezzo le novità più rilevanti nella gestione delle reti clientelari si ebbero con l’ascesa politica di Lorenzo di Piero149

. Dalla metà degli anni ottanta del XV secolo i nomi degli altri patrizi fiorentini scompaiono quasi interamente dalle provvisioni del comune aretino: «Dopo questo periodo dovette esservi qualcosa di più del ricorso a un’iperbole retorica nella descrizione che gli aretini facevano di Lorenzo come ‘unicum nostrum benefactorem’»150

.

144

Cfr. R. Black, Arezzo, i Medici e il ceto dominante fiorentino cit., p. 332, note n. 19-20-21-22.

145 Cfr. ivi, pp. 333-334. 146 Ivi, p. 335. 147 Cfr. ivi, pp. 336-337. 148 Ivi, pp. 337-338. 149

«Una significativa differenza tra Piero e suo figlio Lorenzo nel modo di esercitare la propria influenza su Arezzo fu lo sviluppo, da parte di quest’ultimo, di un monopolio quasi completo del patronato aretino», ivi, p. 338.

150

Ibid., p. 338. Aggiunge Black: «Verso la metà degli anni ottanta Arezzo era diventata una riserva esclusiva del patronato mediceo, e fu sottratta dalle mani di chiunque altro», ivi, p. 339. Cfr. ASA, Priori,

42

L’interesse mediceo per Arezzo, perciò, piuttosto flebile al tempo di Cosimo, anche a causa delle forti relazioni clientelari che l’oligarchia albizzesca aveva saputo intrattenere con il patriziato aretino (grande influenza avevano avuto fino alla metà degli anni venti del Quattrocento Maso degli Albizzi, Bindaccio Ricasoli, Giovanni Bucelli e Filippo Corsini, senza contare che negli anni del conflitto tra Medici e Albizzi gli aretini si appellarono spesso anche ai principali esponenti antimedicei quali Rinaldo di Maso degli Albizzi, Tinoro Guasconi, Palla Strozzi, Matteo Solosmei, Duccio di Paolo Mancini151), si riaccese con Piero de’ Medici, e durante la crisi del 1465-66 i Medici si resero conto dell’importanza, anche militare, del sostegno degli aretini152

. Il Magnifico non fece altro che portare a compimento il sistema di patronato inaugurato dal padre, diventando quindi il ‘benefattore’ unico della comunità aretina.

Uno dei fattori principali che consentirono a Lorenzo di concentrare nelle proprie mani il monopolio del patronato aretino (per la verità, come abbiamo visto nei precedenti paragrafi, il monopolio di gran parte delle reti clientelari delle maggiori città soggette dello stato territoriale fiorentino) fu, secondo Black, l’ascesa del ‘governo di famiglia’: la creazione e la preminenza, cioè, di una vera e propria cancelleria medicea composta da segretari, professionisti della politica e delle istituzioni, di grande esperienza e di provata fedeltà153. Questo funzionariato professionale ebbe anche modo di diffondersi ed installarsi in modo capillare nelle comunità soggette dello stato territoriale fiorentino, portando avanti gli interessi dei principali esponenti di casa Medici. L’esempio più eclatante citato da Black è quello di ser Giovannantonio di maestro Guglielmo, segretario del Magnifico, che fu da lui nominato al notariato dei danni dati in Arezzo, come magistrato non residente, per un periodo di sei anni dal 1484 al 1490154.

L’influenza medicea in Arezzo, negli ultimi anni del periodo laurenziano, doveva d’altra parte garantire alla comunità aretina che quest’ultima fosse maggiormente

151

Cfr. R. Black, Arezzo, i Medici e il ceto dominante fiorentino cit., pp. 340-341.

152

«Quando lo scontro giunse al culmine nell’agosto-settembre 1466, Piero si rivolse alla sua rete di amici aretini, capeggiata da ser Giovanbattista Lamberti e Morello da Pantaneto, che non soltanto garantirono l’appoggio ufficiale del comune in suo favore, ma si posero anche a capo di un contingente privato di oltre sessanta uomini, per non parlare di una forza comunale di duecento armati, inviata a Firenze in soccorso ai Medici», ivi, p. 342. Cfr. R. Black, Piero de’ Medici and Arezzo cit., pp. 26-32.

153

R. Black, Arezzo, i Medici e il ceto dominante fiorentino cit., p. 344.

154

«Verso la fine della sua vita, inoltre, l’atteggiamento di Lorenzo verso Arezzo passò dal clientelismo all’esercizio di un aperto nepotismo con la nomina del suo parente, Giuliano di Mariotto di Averardo de’ Medici a successore di ser Giovannantonio ai danni dati per dieci anni», ibid., p. 344. Cfr. ASA, Priori,

collegi e consiglio generale cit., 13, c. 148r (12 novembre 1482) e cc. 366r-370v (18 novembre – 3

43

tutelata nei suoi interessi rispetto alle pesanti imposizioni della dominante in materia di tassazione diretta e indiretta. «La politica di Lorenzo in questo campo tendeva, da un lato, a riequilibrare la pesante pressione del governo fiorentino nel tentativo di risparmiare al tesoro fiorentino una insolvenza completa, e, dall’altro, a potenziare la base del suo potere ad Arezzo, concedendo aiuti finanziari al popolo aretino, notoriamente impoverito»155.

In conclusione del suo saggio Black nota come tra il tardo XIV e il primo XV secolo vi fossero stati soltanto due elementi attivi nella dialettica politica tra la dominante e la città soggetta: Firenze «il signore» e Arezzo il «suddito», dato che il regime oligarchico albizzesco aveva cercato di imporre una rigida «centralizzazione», almeno fino al trionfo di Rinaldo degli Albizzi nel settembre 1433, quando ampie concessioni furono fatte agli aretini (furono temporaneamente accorpati gli uffici di capitano e podestà, fu restituito agli aretini il notariato dei danni dati, furono inviati ad Arezzo due cittadini fiorentini affinché si informassero sul pesante stato di indigenza che flagellava la

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