territoriale e di sottomissione a Firenze
3. La guerra di Volterra del 1472: l’affermazione dell’egemonia laurenziana
3.1 L’allume volterrano e la miniera del Sasso: dalla stipula del contratto d’appalto alla controversia tra la società del Capacci e il comune di Volterra
All’origine delle vicende che condussero alla presa di posizione delle autorità volterrane, in difesa della propria sovranità sul territorio e dei privilegi giurisdizionali spettanti alla comunità, stava la scoperta di una cava di allume nella zona cosidetta del Sasso. In epoca medievale l’allume (solfato doppio di metallo trivalente, solitamente alluminio, con un metallo monovalente1) risultava essere una materia prima assai importante nei processi produttivi dell’attività manifatturiera, venendo impiegato quale mordente delle sostanze coloranti nella concia del cuoio e nella tintura della lana e della seta2. Esso era ricavato dalla torrefazione del minerale (allumite o pietra alluminosa), cui seguiva una lunga macerazione e la successiva cottura e cristallizzazione delle acque.
Come ampiamente documentato dagli studi di Fiumi sull’estrazione e la lavorazione delle materie prime del sottosuolo toscano utilizzate nella produzione manifatturiera3, il territorio volterrano si presentava estremamente ricco di prodotti quali zolfo, vetriolo, salgemma e allume4. I giacimenti e le miniere di allume presenti in Italia (tanto nel Volterrano quanto nel Tolfetano5) divennero fondamentali dopo la caduta di Costantinopoli (1453), dal momento che il commercio del prezioso allume ‘di rocca di
1
Cfr. E. Fiumi, L’impresa di Lorenzo cit., p. 15.
2
«Il fissaggio sulla fibra delle sostanze coloranti più in uso e maggiormente apprezzate, quali la robbia, la grana, il guado, il verzino, non era possibile senza un preventivo e conveniente bagno nell’acqua alluminosa», ivi, p. 16.
3
Cfr., oltre all’opera appena citata, E. Fiumi, L’utilizzazione dei lagoni boraciferi della Toscana
nell’industria medievale, Firenze, 1943. 4
Cfr. E. Fiumi, L’impresa di Lorenzo cit., pp. 66-68. Nella prima metà del XV secolo fiorente era stata nel volterrano l’attività di estrazione e lavorazione dello zolfo e del vetriolo dei lagoni; dalle ‘moie’ – pozzi di acqua salsa formati dal deposito di acque piovane filtrate in profondità attraverso strati di salgemma – si otteneva, d’altra parte, una ingente quantità di sale, estratto mediante ebollizione delle acque.
5
Le cave della Tolfa (zona dell’antiappennino laziale tra la costa tirrenica e i Monti Sabatini), poste nel territorio dello Stato della Chiesa, appartenevano ovviamente alla giurisdizione della Santa Sede.
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colonna’, la migliore qualità del prodotto del Levante6
, fu consentito ai paesi della Cristianità soltanto in cambio di pesanti contributi7.
Nel contesto, perciò, di una intensa attività di sfruttamento delle risorse minerarie del sottosuolo volterrano, all’inizio del 1470 il senese Benuccio di Cristofano Capacci chiedeva al comune di Volterra il permesso di poter scavare allumi e altri minerali nel territorio soggetto alla sua giurisdizione8. Il comune affidò ad un comitato composto da quattro cittadini volterrani il compito di occuparsi della questione e di trattare col Capacci, ed essi infine reputarono vantaggiosa per la comunità la conclusione dell’affare, previa l’aggiunta di ulteriori condizioni nell’accordo9
. La quasi totalità dei membri dei Consigli considerò valida la petizione, la quale fu accolta e approvata dai Consigli medesimi il 22 agosto 147010. Il capitolato d’appalto, ratificato nello stesso agosto senza particolari opposizioni (soltanto 19 voti contrari), consentiva al Capacci la facoltà di scavare per cinquanta anni allume, oro, argento, piombo, ferro e qualunque altro minerale, eccetto zolfo e vetriolo, in due o tre luoghi del territorio volterrano a sua scelta11.
Il 3 dicembre 147012 il Capacci rendeva noti alle autorità volterrane i luoghi che erano stati scelti per gli scavi13 e la composizione della compagnia da lui presieduta: ne
6
Ivi, pp. 20-21.
7
Ivi, pp. 24-25. Papa Paolo II perciò, secondo quanto ricostruito da Fiumi, avrebbe a quel punto mirato all’ottenimento del monopolio della produzione e del commercio dell’allume tolfetano nei confronti di tutti gli altri paesi europei, cosa per la quale egli era giunto a siglare, nel giugno 1470, un accordo con Ferdinando d’Aragona teso alla spartizione dei proventi di tale commercio tra papato e corona d’Aragona, cfr. ivi, p. 76.
8
«Labentibus annis, post longa pacis ocia et vexatam pestis contagione civitatem, Benucius Capacius senensis a Volaterrano magistratu effodendi metalla et allumina facultatem rogans (nam eiusmodi fodinis, salinaribus puteis, vitreolo et sulphure habundat ager volaterranus) praecium et condictiones obtulit», A. Ivani da Sarzana, Historia de Volaterrana calamitate cit., pp. 6-7.
9
«Magistratus vero citatis collegis quatuor civibus eiusdem ordinis mandat ut rem cum Benucio discutiant referantque quid eis vel addendum vel detrahendum videatur. Hi haud longe post reversi, additis novis condictionibus, eiusmodi negocium utile et honorificum fore civitati affirmavere», ivi, p. 7. Soltanto un tale ‘Silvaticus’ (insieme ad un altro il cui nominativo non viene specificato) cercò di opporsi alla decisione degli organi comunali, facendo notare la presenza di alcuni vizi di forma nella presentazione della petizione del Capacci.
10
Cfr. ASCV, A nera, 47, II, cc. 128r-130r, Liber deliberationum del comune di Volterra.
11
Cfr. le condizioni del capitolato d’appalto riportate da F.L. Mannucci in A. Ivani da Sarzana, Historia
de Volaterrana calamitate cit., p. 8, nota n. 1. Cfr. E. Insabato, S. Pieri, Il controllo del territorio cit., pp.
197-198.
12
Cfr. ASCV, A nera, 47, III, c. 141v.
13
Cfr. A. Ivani da Sarzana, Historia de Volaterrana calamitate cit., p. 8, nota n. 2: «La denunzia (Nominatio et electio factae per Benucium) reca la data del 3 dicembre 1470 (A. 47, II, c. 41). Quivi s’indicavano i seguenti luoghi: 1° il territorio compreso fra la strada che pel poggio di Brusiano conduce alla Pieve di Comessimo e da questa sino al fiume Cornia, il corso del fiume stesso sino al castello di Monterotondo e il confine tra Volterra e questo castello sino alla strada predetta; 2° ciò che ha per
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avrebbero fatto parte i suoi fratelli Andrea, Conte e Salimbene; i fiorentini Gino di Neri Capponi, Antonio di Bernardo Giugni e Bernardo di Cristoforo Buonagiusti; i volterrani Benedetto di Bartolomeo Riccobaldi e Paolo di Antonio Inghirami. Questi ultimi erano già figurati, nell’accordo dell’agosto precedente, come fideiussori e testimoni del capitolato d’appalto stipulato con il comune di Volterra14. L’inclusione, perciò,
all’interno della compagnia di questi due eminenti cittadini volterrani, appartenenti a quella cerchia di famiglie che di fatto controllavano e gestivano le attività dell’industria mineraria locale (comprendente, oltre ai Riccobaldi e agli Inghirami, i Guidi, i Fei, i Tani, i Gherarducci e gli Incontri15), servì prima di tutto al Capacci per rafforzare la sua posizione nei confronti delle autorità volterrane16 e, contemporaneamente, per dare corpo e sostanza agli interessi e alle mire politico-economiche del partito filomediceo cittadino17.
Come è ovvio supporre, però, e per gli stessi motivi, la composizione della compagnia del Capacci veniva senz’altro a scontentare buona parte del patriziato volterrano, quella parte almeno che, animata da un opposto e confliggente tornaconto e lontana dalle influenze e dal patronato di casa Medici, più direttamente cominciò ad identificare i propri interessi con quelli della comunità, e questi ultimi con le prerogative e i privilegi giurisdizionali delle magistrature cittadine, di contro a quanto concesso in modo troppo favorevole ai partizionieri della nuova allumiera del Sasso. In breve tempo sorsero i primi dissapori e le prime controversie in seno alla comunità18.
La conflittualità latente per l’egemonia politico-economica sulla vita cittadina traeva nuova linfa dalla presenza dell’Inghirami19
tra i membri della compagnia del Capacci, e
dominio la comunità di Volterra nel luogo di Castelnuovo; 3° ciò che le appartiene nella giurisdizione di Lustignano».
14
Cfr. ASCV, A nera, 47, II, c. 131v. Cfr. E. Insabato, S. Pieri, Il controllo del territorio cit., p. 198.
15
Cfr. E. Fiumi, L’impresa di Lorenzo cit., p. 68.
16
«Attraverso la partecipazione di Paolo e di Benedetto, il partito degli ottimati fu solidale con Benuccio Capacci, sostenendo la validità del contratto. Ma l’essersi accostato al partito più forte, se aprì la strada alla protezione fiorentina, cagionò una turbolenta schiera di delusi, di invidiosi, di scontenti», ivi, p. 72.
17
Cfr. ivi, pp. 70-71.
18
«Si dubitò della legittimità dell’affitto, richiamandosi a vecchie norme statutarie, che prescrivevano non potersi locare beni della comunità se non a unanimità di suffragi», ivi, p. 37. Secondo quanto specificato da Fiumi, la cava del Sasso «era ritenuta una vera e propria ricchezza mineraria, e come tale costituiva per il comune una regalìa, ereditata dalla giurisdizione del vescovo-conte e dai rapporti di questi con l’imperatore. Che il comune cedesse ad altri, mediante compenso, l’esercizio dell’industria mineraria, non modificava il suo privilegio sui beni del sottosuolo, ben distinti dalla proprietà della superficie. Il comune autorizzava non solamente i concessionari dell’escavazione ad espropriare i terreni identificati quali luoghi di sfruttamento, ma estendeva questa facoltà ai mezzi necessari al funzionamento dell’industria, come mulini, gore, boscaglie», ibid., p. 37.
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veniva nuovamente a polarizzare gli interessi contrapposti del ceto dirigente volterrano, tanto che un vero e proprio «partito d’opposizione»20 cominciò a fronteggiare tenacemente le mire del partito filomediceo cittadino, ponendo in discussione la legittimità del capitolato d’appalto della miniera del Sasso e l’accordo stipulato con il comune di Volterra. La ricerca di una eccezione formale che invalidasse i patti del negozio (eccezione che, secondo l’interpretazione di Fiumi, doveva servire precipuamente a tutelare gli interessi della comunità volterrana di contro alla esiguità del canone di affitto stabilito per la cava21) fu il primo passo della parte politica avversa al fronte filomediceo cittadino, cui in breve tempo seguì l’accusa rivolta al cancelliere del comune di Volterra, Antonio Ivani da Sarzana, di avere alterato il registro delle deliberazioni comunali in favore della compagnia del Capacci22.
Divenuto cancelliere di Volterra nel 1466 grazie ad una raccomandazione di Piero de’ Medici23, l’Ivani decise di dimettersi dalla carica, nel marzo 1471, proprio a causa
delle gravi accuse ricevute da parte dei volterrani. Per il «garante formale della legalità»24 degli atti del comune non doveva, infatti, essere cosa da poco il venire apertamente accusato di averne falsificato le scritture ufficiali, in seguito ad un più o meno compiuto tentativo di corruzione ad opera del senese Capacci (che avrebbe corrisposto al cancelliere una somma di 50 fiorini)25. Oltre ai tentativi di difesa della correttezza del proprio operato presenti in alcune lettere, come in quelle scritte da Siena al Magnifico il 12 giugno 147126 e ai Priori di Volterra il 12 luglio 147127, l’Ivani cercò di emendare la sua posizione affidando le sue giustificazioni alla forbita prosa latina della cronaca da lui dedicata alla guerra di Volterra, giungendo ad affermare come tutti i
20
Cfr. E. Insabato, S. Pieri, Il controllo del territorio cit., p. 198.
21
Cfr. E. Fiumi, L’impresa di Lorenzo cit., p. 38. Secondo quanto previsto dal capitolato d’appalto del 22 agosto 1470 il Capacci avrebbe dovuto corrispondere al comune di Volterra un canone annuo di lire 100 (eccetto i primi due anni, 1470-71, per i quali il canone doveva ammontare a 50 lire per anno), e pagare al camerlengo della città una gabella dell’1% sul valore della quantità di metallo estratto. Cfr. ASCV, A nera, 47, II, cc. 128r-130r; cfr. A. Ivani da Sarzana, Historia de Volaterrana calamitate cit., p. 8, nota n. 1.
22
Cfr. l’introduzione di F.L. Mannucci, ivi, pp. X-XIII.
23
Cfr. E. Insabato, S. Pieri, Il controllo del territorio cit., p. 196.
24
Ibid., p. 196.
25
Cfr. A. Ivani da Sarzana, Historia de Volaterrana calamitate cit., Introduzione, p. X e p. 10, nota n. 2.
26
ASF, MAP, XXVII, 321. L’Ivani veniva qui, inoltre, a stigmatizzare l’atteggiamento contraddittorio dei volterrani e «le molestie cui era stato sottoposto specialmente da alcuni esponenti del partito antimediceo che ben conoscevano la sua dedizione allo stesso Lorenzo», E. Insabato, S. Pieri, Il controllo del
territorio cit., p. 197. 27
ASF, MAP, XXVII, 399. Colpo su colpo l’Ivani cercava di rispondere a tutte le accuse che gli erano state mosse: da quella di scarsa conoscenza delle leggi volterrane a quella di aver falsificato le clausole della concessione dell’allumiera del Sasso e i risultati della votazione, fino all’accusa del sequestro delle scritture pubbliche contenenti la prova della sua frode.
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volterrani savi e prudenti lo avessero sempre considerato uomo dotto, onesto e dedito al perseguimento dell’utilità della cosa pubblica28
. Per la verità, secondo quanto affermato dal Muratori nella prefazione alla Historia29, l’Ivani – di provata e rigorosa fede medicea – avrebbe composto interamente il suo opuscolo «cura Florentinorum», cercando cioè in ogni modo di fornire, oltre alla difesa del suo cancellierato, valide argomentazioni atte a scagionare completamente l’operato dei fiorentini e a far ricadere unicamente sui volterrani la responsabilità e le colpe della sciagurata sorte della loro città30. Prova di ciò, come rilevato dal Mannucci31, sarebbe altresì il fatto che l’opera fu cominciata dopo un lungo soggiorno fiorentino dell’Ivani, durante il quale egli ebbe modo di ossequiare il Magnifico e trascorrere molto tempo in compagnia dei volterrani Riccobaldi, Inghirami e Lisci, «favorevolissimi alla potestà fiorentina».
Nonostante l’ex-cancelliere fosse capace di dimostrare in seguito che i suoi libri concordavano pienamente con gli originali e che egli aveva percepito, come onorario per la rogazione del capitolato tra il comune di Volterra e la compagnia del Capacci, unicamente una somma di cinque fiorini (consona al tipo di prestazione effettuata)32, a partire dalla primavera del 1471 la controversia non poté che acuirsi ulteriormente, assumendo i contorni di una vera e propria disputa giuridica sulla sovranità territoriale e sui privilegi giurisdizionali spettanti alle autorità volterrane.
28
«Adversus vero scribam publicum, qui admiserat suffragia et publicas consultationes adnotaverat, afferebantur quaedam paucis nequiter incitantibus, quae ad evertendam locationem pertinerent, quamquam a bonis et prudentibus viris erat perspectum scribam virum doctum et honestum ad ea prospexisse, quae rei publice manifestam utilitatem afferebant, parum ab insipientibus cognitam. Varius igitur erat rumor in civitate. Popularum studia iam seditionibus implicabantur», A. Ivani da Sarzana,
Historia de Volaterrana calamitate cit., p. 10. 29
Cfr. ivi, Antonij Hyvani Commentariolum, De bello Volaterrano, Prefatio Ludovici Antonii Muratorii, p. XXVII.
30
«[…] quanta potuit arte, in Cives Volaterranos culpam conijcit calamitatis et acta quaeque Florentinorum emollit», ibid., p. XXVII.
31
Cfr. ivi, Introduzione, pp. XIII-XIV.
32
Cfr. ivi, p. 10, nota n. 2. I volterrani riconobbero più tardi l’innocenza del cancelliere e nel febbraio 1476 gli offrirono nuovamente la possibilità di ricoprire tale carica, promettendogli anche la restituzione degli stipendi non ancora liquidati. L’Ivani, però, respinse l’offerta e, fidando in una ricompensa del Magnifico per il valore apologetico della sua Historia, preferì attendere l’intercessione di quest’ultimo, grazie alla quale poté così ottenere la carica di cancelliere del comune di Pistoia nello stesso 1476, carica che ricoprì ininterrottamente fino al 1482, anno della sua morte: cfr. E. Insabato, S. Pieri, Il controllo del
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3.2 Le ragioni dello scontro di giurisdizione: difesa della sovranità territoriale e