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territoriale e di sottomissione a Firenze

2.1 La formazione dello stato fiorentino: Firenze e le città soggette

A partire dagli anni trenta del Trecento e, in modo compiuto, dopo la metà del secolo XIV, la città di Firenze diede avvio, similmente a molte altre realtà politiche della Penisola, ad un processo di espansione territoriale che nel volgere di un secolo portò di fatto alla costituzione di uno stato territoriale su scala subregionale1. Secondo le più recenti acquisizioni della storiografia, tale processo si innestò direttamente sulle dinamiche politiche che avevano condotto, in età comunale, ad una prima fase di organizzazione del territorio extraurbano e di ‘gerarchizzazione’ delle comunità urbane2.

La formazione del dominio territoriale fiorentino venne, perciò, a configurarsi come un progressivo assoggettamento di terre e comunità, volto essenzialmente all’estensione del dominio della città in ambito politico, militare ed economico; un processo che, in sostanza, giunse a compimento come:

«l’esito di un mix di condizioni favorevoli e di fattori dettati dalle caratteristiche dell’organizzazione del territorio, dall’evoluzione delle strutture demografiche regionali, dalla capacità politica di gestire e di

1

Cfr. Lo Stato territoriale fiorentino cit.

2

«L’analisi muove dalla convinzione che la definizione delle pratiche e degli strumenti di governo dello stato territoriale fiorentino – come degli altri stati regionali italiani – non si espresse in termini innovativi sul crinale tra secolo XIV e XV, ma affondò le proprie radici nelle esperienze di organizzazione del territorio e nella fase di prima gerarchizzazione fra le città in età comunale. È infatti tuttora attuale, a mio avviso, anche per il caso fiorentino l’invito – formulato, ormai tre lustri fa, da Gian Maria Varanini – a concentrare lo studio dello stato territoriale non solo sulla fase di ‘conseguito stabile assetto’, ma anche sulle caratteristiche e sui modi di funzionamento alla sua ‘preistoria’», A. Zorzi, La formazione e il

governo del dominio territoriale fiorentino cit., p. 189. Cfr. G.M. Varanini, Dal comune allo stato regionale, in La storia. I grandi problemi dal medioevo all’età contemporanea, a cura di N. Tranfaglia e

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controllare risorse economiche eccezionali, e dall’esito fausto della competizione che semplificò la geografia politica della penisola»3.

Nonostante si trovasse a fronteggiare, in misura più marcata rispetto alle altre grand i città-stato italiane di epoca comunale, un numero maggiore di città, terre e borghi che in Toscana si erano caratterizzati quali poli egemonici dell’organizzazione territoriale, Firenze riuscì nel volgere di un secolo ad avere ragione di tutte le resistenze locali grazie alle sue migliori condizioni di partenza in ambito demografico, economico e politico-militare4.

Sulla base di queste considerazioni e seguendo questa linea interpretativa gli storici hanno potuto cominciare a parlare di ‘stato-contado’5, tenendo ben presente che in tale definizione non è implicato alcun giudizio di valore e che l’efficienza o la funzionalità di un tale apparato politico non deve essere misurata sul modello lineare di progresso burocratico-amministrativo, caro al paradigma statalista6, ma deve riconoscere nella

3

A. Zorzi, La formazione e il governo del dominio territoriale fiorentino cit., p. 191.

4

Come afferma molto efficacemente Zorzi: «[…] per Firenze lo scopo non fu quello di amministrare uno stato ma quello di governare un dominio. In altri termini, linea politica di fondo del gruppo dirigente fiorentino appare essere stata non tanto quella di perseguire l’amministrazione di un ente unitario […], bensì quella di ‘reggere’ politicamente un dominio territoriale variegato in cui l’apparato giuridico- istituzionale e le pratiche di governo servissero anzitutto come strumento di conservazione», ivi, p. 208.

5

«La più volte rilevata assenza di un ‘progetto statuale coerente’ non va dunque posta in relazione con la presunta incompiutezza del processo di costruzione di ordinamenti pubblici integrati ed unitari. Firenze non puntò a creare uno stato di uffici e di funzioni pubbliche, ma un insieme di istituzioni e pratiche di governo che fornisse gli strumenti politici per mantenere il dominio territoriale […]. La scelta fiorentina si poneva concretamente nel solco di una secolare tradizione di governo politico degli enti soggetti che originava in età comunale – alla ‘preistoria’, appunto, della formazione dello stato territoriale – , nell’idea di un dominio territoriale quale grande contado direttamente dipendente da Firenze. Uno ‘stato-contado’, potremmo cominciare a dire», ivi, p. 221.

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La discussione critica riguardo i caratteri fondamentali della statualità moderna, dal punto di vista storico-politico e giuridico-istituzionale, affonda le proprie radici nel costituzionalismo tedesco di stampo ottocentesco e nella tradizione giuspublicistica che vide protagonisti gli storici del diritto italiani all’inizio del secolo scorso. Gli studi di Anzilotti, Ercole, nonché la profonda riflessione chabodiana sulle peculiarità storiche della ‘via italiana’ allo stato, contribuirono, entro i primi tre decenni del Novecento, alla formalizzazione di un paradigma forte di stato, secondo cui i caratteri determinanti di ogni stato moderno avrebbero dovuto essere rappresentati dalla centralizzazione burocratico-amministrativa, dalla razionalizzazione delle strutture e delle metodologie istituzionali, dall’imposizione di una sovranità totale del publicum sopra i corpi e le comunità territoriali. Questo modello di stato (successivamente connotato dagli studiosi come ‘paradigma statalista’ per via del suo accentuato centralismo) avrebbe dovuto costituire una sorta di ‘idealtipo’ sul cui metro poter misurare la modernità e l’efficienza degli antichi stati italiani preunitari, secondo una prospettiva essenzialmente teleologica di progresso politico ed istituzionale. Cfr.: A. Anzilotti, La costituzione interna dello Stato fiorentino sotto il duca Cosimo I de’

Medici, Firenze, 1910; Id., La crisi costituzionale della Repubblica fiorentina, Firenze, 1912; F. Chabod, Alle origini dello stato moderno ed Esiste uno Stato del Rinascimento?, in Scritti sul Rinascimento,

Torino, 1967; F. Ercole, Dal comune al principato. Saggi sulla storia del diritto pubblico del

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, e nelle pratiche in cui essa maggiormente viene ad esplicitarsi – legittimazione reciproca tra dominante e corpi territoriali; riconoscimento di strutture e pratiche politiche di natura idiomatica come bipartitismo, faida o conflitto di fazione;

7

Che il paradigma forte dello stato moderno ponesse non pochi problemi ad una interpretazione critica della complessa e multiforme realtà politica degli stati territoriali italiani preunitari, deve essere considerata come una condizione che ha contribuito a stimolare ulteriormente la discussione storiografica in proposito. Gettiamo un rapido sguardo alle fasi e ai protagonisti fondamentali del dibattito storico- politico, che ha portato dalla granitica e monumentale ideologia dello stato centrale alla teorizzazione di modelli territoriali e sistemici, con una particolare attenzione alla così detta ‘costituzione materiale’. Già a partire dagli anni sessanta del secolo scorso i contributi di Marino Berengo e di Angelo Ventura cominciavano a scardinare le rigide categorie di centralità e sovranità del modello forte dello stato moderno, mettendo in evidenza la presenza di strutture composite di potere, quali corpi politici, feudi, città, che rappresentavano su scala locale una forte resistenza ad ogni progetto di centralismo governativo (cfr. M. Berengo, Il Cinquecento, in La storiografia italiana negli ultimi vent’anni, Milano, 1970, I, pp. 485-518), e individuando nella lunga ‘decadenza’ delle società urbane delle città della Terraferma veneta la storia di un vero e proprio ‘dominio territoriale’, esercitato da Venezia secondo una sovranità sancita dal diritto di conquista (cfr. A. Ventura, Nobiltà e popolo nella società veneta del ‘400 e ‘500, Bari, 1964). Nei primi anni settanta Ettore Rotelli e Pierangelo Schiera dedicarono una corposa antologia in tre volumi (cfr. Lo Stato moderno, a cura di E. Rotelli, P. Schiera, 3 voll., Bologna, 1971-1974) alla traduzione di alcuni contributi della storiografia europea in materia di stato moderno, concentrandosi principalmente sulla Verfassungsgeschichte tedesca (Otto Hintze, Otto Brunner, Gerhard Oestreich), con il precipuo intendimento di cominciare a ripensare le vicende degli stati italiani protomoderni sulla scorta di una costante dialettica tra potere e sovranità, da una parte, e ceti e corpi territoriali dall’altra. Seguendo questa linea interpretativa, gli studi fondamentali di Giorgio Chittolini (cfr. i saggi raccolti nei due volumi: G. Chittolini, Città, comunità e feudi negli stati dell’Italia centro-settentrionale (secoli XIV-XVI), Milano, 2003; Id., La formazione dello Stato regionale e le istituzioni del contado. Secoli XIV e XV, Milano, 2005) e di Elena Fasano Guarini (cfr. E. Fasano Guarini, Lo Stato di Cosimo I, Firenze, 1973) approfondivano ulteriormente tale dialettica politica, prima, in un senso prettamente dicotomico, considerando i rapporti di forza tra il potere centrale e le resistenze periferiche come l’essenza stessa di quelli che Fasano Guarini definiva ‘stati regionali’ e Chittolini ‘stati territoriali’ (o stati del Rinascimento); successivamente, ponendo maggiormente l’accento sulla componente ‘sistemica’ di una realtà politica non più riducibile ad una mera opposizione tra categorie dicotomiche quali ‘centro e periferia’ o ‘pubblico e privato’. In questo senso, il vero punto di svolta per la definizione dei nuovi indirizzi interpretativi della discussione storiografica sullo stato del medioevo e del Rinascimento è stato rappresentato dal convegno di Chicago del 1993, nella cui occasione i saggi di Chittolini (cfr. G. Chittolini, Il ‘privato’, il ‘pubblico’, lo Stato, in Origini dello Stato. Processi di formazione statale in

Italia fra medioevo ed età moderna, a cura di Giorgio Chittolini, Anthony Mohlo, Pierangelo Schiera,

Bologna, 1994, pp. 553-589) e di Fasano Guarini (cfr. E. Fasano Guarini, Centro e periferia,

accentramento e particolarismi: dicotomia o sostanza degli Stati in età moderna?, in Origini dello Stato

cit., pp. 147-176) hanno definitivamente segnato l’abbandono sia del ‘mito’ dello stato moderno che delle rigide categorie dicotomiche sopra ricordate, per focalizzare l’indagine sulla dialettica politica di tipo sistemico degli organismi territoriali italici. La ‘costituzione materiale’, il complesso viluppo cioè di poteri pubblici e pratiche privatistiche ed informali di gestione ed esercizio del potere (clientelismo, parentele, fazioni, faide), nonché delle dinamiche politiche di riconoscimento, legittimazione reciproca e negoziazione continua, ha potuto così assurgere al ruolo di categoria fondamentale della dialettica politica in atto nella composita, complessa e sistemica realtà degli stati territoriali italiani. Cfr. anche, per una visione d’insieme della questione, I. Lazzarini, L’Italia degli Stati territoriali. Secoli XIII-XV, Roma-Bari, 2003; E.I. Mineo, Alle origini dell’Italia di antico regime, in E. Artifoni et al., Storia medievale, Roma, 1998, pp. 617-652; G.M. Varanini, Aristocrazie e poteri nell’Italia centro-settentrionale dalla crisi

comunale alle guerre d’Italia, in Le aristocrazie dai signori rurali al patriziato, a cura di Renato

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negoziazione continua e pluralismo giuridico-istituzionale – , le sue caratteristiche determinanti8.

L’elemento fondamentale di questo processo di espansione territoriale che consentì a Firenze di passare dalla condizione di ‘città-stato’ a quella di ‘stato-contado’ deve, così, essere riscontrato nella nuova e sempre più massiccia ingerenza nei confronti della vita politica delle città e dei borghi di Toscana, in una dialettica politica che la vide in breve tempo assurgere al ruolo di ‘centro’ e di dominante. Se è vero che tale ingerenza assunse caratteristiche peculiari sia rispetto agli ambiti territoriali coinvolti (centri urbani di maggiore o minore importanza, contadi, zone periferiche o di confine), che in occasione di particolari contingenze esterne (guerre con potenze straniere, come i ricorrenti ed estenuanti conflitti con la Milano viscontea a partire dalla seconda metà del XIV secolo), è altrettanto innegabile che Firenze seppe inserirsi nelle dinamiche di potere delle comunità locali nei momenti di maggiore instabilità politica, quando cioè queste ultime apparivano scosse da scontri di fazione, conflitti di parte, tumulti e discordie civili. In certa misura erano le stesse comunità territoriali, riconoscendo la superiorità della potenza fiorentina, a cercare nel suo intervento una sorta di autorità

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Dopo Chicago, e seguendo il filo rosso della nuova direzione interpretativa ribadita anche in occasione del seminario internazionale di San Miniato del 1996 (determinante per l’acquisizione di un ulteriore orizzonte interpretativo, quello cioè di ‘dominio territoriale’, che meglio si presta a definire e rappresentare la realtà dello stato territoriale fiorentino), gli storici sono tornati a concentrare la propria attenzione su questioni determinate, approfondendo di volta in volta alcuni degli elementi fondamentali della così detta ‘costituzione materiale’: Andrea Zorzi si è concentrato sugli aspetti dell’amministrazione della giustizia e sulle pratiche infragiudiziali di risoluzione dei conflitti di potere (cfr. A. Zorzi,

L’amministrazione della giustizia penale nella repubblica fiorentina. Aspetti e problemi, Firenze, 1988;

Id., Giusdicenti e operatori di giustizia nello stato territoriale fiorentino del XV secolo, «Ricerche storiche», XIX (1989), pp. 517-552; Id., «Ius erat in armis». Faide e conflitti tra pratiche sociali e

pratiche di governo, in Origini dello Stato cit., pp. 609-629), nonché sugli aspetti più propriamente

politico-istituzionali dell’organizzazione del dominio fiorentino (cfr. A. Zorzi, Lo stato territoriale

fiorentino (secc. XIV-XV): aspetti giurisdizionali, «Società e storia», 50 (1990), pp. 799-825; Id., L’organizzazione del territorio in area fiorentina tra XIII e XIV secolo, in L’organizzazione del territorio in Italia e Germania: secoli XIII-XIV, a cura di G. Chittolini e D. Willoweit, Bologna, 1994, pp. 279-349;

Id., La trasformazione di un quadro politico. Ricerche su politica e giustizia a Firenze dal comune allo

Stato territoriale, Firenze, 2008); sugli statuti delle comunità soggette a Firenze hanno portato avanti una

importante ricerca Elena Fasano Guarini (cfr. E. Fasano Guarini, Gli statuti delle città soggette a Firenze

tra ‘400 e ‘500: riforme locali e interventi centrali, in Statuti, città, territori in Italia e in Germania tra medioevo ed età moderna, a cura di G. Chittolini e D. Willoweit, Bologna, 1991, pp. 69-124) e Lorenzo

Tanzini (cfr. L. Tanzini, Alle origini della Toscana moderna. Firenze e gli statuti delle comunità soggette

tra XIV e XVI secolo, Firenze, 2007); infine Luca Mannori (cfr. L. Mannori, L’amministrazione del territorio nella Toscana granducale. Teoria e prassi fra antico regime e riforme, Firenze, 1988; Id., Il sovrano tutore. Pluralismo istituzionale e accentramento amministrativo nel Principato dei Medici (Secc. XVI-XVIII), Milano, 1994) affrontava nel 1994 il tema del ‘federalismo’ istituzionale attraverso l’analisi

delle pratiche amministrative dei funzionari granducali medicei, proponendo un nuovo metodo che andasse al di là della storia del pensiero giuridico e del lineare sviluppo delle istituzioni e concentrasse la propria attenzione sui linguaggi e le rappresentazioni giuridiche, così come erano viste e vissute dai protagonisti stessi delle dinamiche sociali e dei processi di formazione statale della Toscana di antico regime.

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capace di ristabilire l’ordine e riportare la pace (o, per lo meno, di questo senz’altro i fiorentini si sarebbero sempre peritati di convincere gli abitanti di tutti quei luoghi che si apprestavano a sottomettere).

Con questo tipo di legittimazione (o autolegittimazione) – un potere superiore (già ‘centrale’?) che interviene e disciplina i conflitti delle comunità locali (periferiche?) – Firenze riuscì a proporre e sviluppare una ‘ideologia’ dell’intervento (e anche una sua efficace prassi) che le consentì di inserirsi sempre più prepotentemente nella gestione della vita politica delle altre città toscane, dando inizio a quel lento e pervasivo processo di svuotamento di significato delle istituzioni locali che porterà, nel corso del Quattrocento, alla concentrazione del potere esecutivo e giurisdizionale nelle mani degli ufficiali fiorentini.

Per la verità, il fatto che i prodromi dell’intervento fiorentino sul territorio risalissero addirittura alla fine del XIII secolo, nel caso di una delle città da noi studiate (Pistoia), farebbe addirittura pensare che l’essenza del nascente stato territoriale fiorentino (come, del resto, l’essenza stessa di ogni ‘potere politico’) fosse da riscontrare nelle istanze di disciplinamento del territorio e gestione del conflitto: quando la città di Pistoia si dimostrò incapace di risolvere le lotte di fazione tra guelfi bianchi e guelfi neri, Firenze ottenne una balìa straordinaria secondo la quale avrebbe dovuto governare Pistoia dal 1296 al 13019. Considerando che anche in precedenza vi erano stati altri interventi nel 1239, 1254 e 1258, per evitare che la città di Pistoia aderisse a schieramenti e fronti antifiorentini10, non si può non supporre che se, da una parte, il conflitto e l’antagonismo politico rappresentavano quasi una sorta di ‘grado zero’ delle dinamiche di potere delle comunità territoriali toscane11, dall’altra, sulla loro gestione e sul loro disciplinamento Firenze fu capace di edificare tanto la legittimazione del proprio intervento e della propria ingerenza, quanto la solidità stessa del proprio potere politico e del ruolo di dominante.

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Cfr. G. Cherubini, Apogeo e declino del comune libero, in Storia di Pistoia, II. L’età del libero Comune.

Dall’inizio del XII alla metà del XIV secolo, a cura di G. Cherubini, Firenze, 1998, pp. 41-88. 10

Ivi, pp. 54-60 e p. 70. Cfr. D. Herlihy, Pistoia nel Medioevo cit., pp. 250-252.

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Nostra convinzione è, più in generale, che il conflitto e l’antagonismo politico rappresentino l’essenza stessa di ogni e qualunque dinamica di potere, così come il disciplinamento e la gestione di essi costituiscano la funzione precipua di qualsiasi potere particolare e l’essenza stessa di ciò che intendiamo col termine ‘politica’. Per approfondimenti e delucidazioni riguardo la natura del ‘politico’ cfr. C. Schmitt, Le categorie del ‘politico’, a cura di G. Miglio e P. Schiera, Bologna, 1972; G. Miglio, Lezioni

di politica, 2 voll., I a cura di D.G. Bianchi, II a cura di A. Vitale, Bologna, 2011; P. Schiera, Profili di storia costituzionale, 2 voll., Brescia, 2011-2012.

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2.2 Conflittualità locale e istanze disciplinatrici centrali: la legittimazione

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