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Le ragioni dello scontro di giurisdizione: difesa della sovranità territoriale e interessi privat

territoriale e di sottomissione a Firenze

3. La guerra di Volterra del 1472: l’affermazione dell’egemonia laurenziana

3.2 Le ragioni dello scontro di giurisdizione: difesa della sovranità territoriale e interessi privat

Prima che l’Ivani avesse modo di dimettersi dalla carica di cancelliere del comune, all’inizio del febbraio 1471, il Consiglio generale volterrano deliberava, con soli 21 voti contrari, di nominare una commissione di otto cittadini che avrebbe dovuto definire le ragioni della controversia e giungere infine ad una composizione33. I membri della compagnia del Capacci si decisero allora a presentare al comune di Volterra una nuova proposta di affitto34: il canone della cava del Sasso sarebbe dovuto passare dalle 100 lire del capitolato originario alla somma ben più consistente di 4.000 lire annue, le quali non sarebbero state corrisposte unicamente in caso di grave impedimento al lavoro (guerre, pestilenze, ecc.); il canone sarebbe potuto diminuire proporzionalmente alla diminuzione del valore commerciale del materiale sotto le 120 lire per migliaio di libbre; se il papa avesse cercato di escludere l’allume volterrano dai circuiti economici di Francia e di Ponente (onde promuovere il monopolio dell’allume della Tolfa sul mercato), il canone sarebbe tornato a 100 lire annue35.

La commissione formata dagli otto cittadini volterrani respinse, però, anche la nuova proposta, continuando a ritenerla iniqua36. La difesa ad oltranza della sovranità territoriale e dei privilegi giurisdizionali del comune di Volterra giunse a fondersi con gli interessi particolari delle locali aristocrazie antimedicee mediante l’elezione delle

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ASCV, A nera, 47, II, c. 37r, 8 febbraio 1471. Furono eletti: Piero di Giusto d’Ottaviano (Tani), Niccolò di Tommaso Buonamici, Leonardo di Francesco di ser Luca (Giovannini), Francesco d’Antonio Incontri, Ottaviano di ser Antonio di Nanni, Onofrio d’Antonio di Pasquino (Broccardi), Salvatico di Mercadante (Guidi), Giovanni di ser Giusto Gotti.

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Cfr. E. Fiumi, L’impresa di Lorenzo cit., pp. 75-76. Fiumi ritiene che a questo punto Lorenzo de’ Medici fosse già entrato in gioco quale interlocutore diretto tra i locatari e le autorità volterrane, e probabilmente fu proprio dietro suo consiglio che l’Inghirami e il Riccobaldi decisero di tentare una ulteriore mediazione con le istanze del comune di Volterra.

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Cfr. Documenti relativi alla città e al territorio di Volterra, «Rivista Volterrana», 1876, doc. I, p. 6. Cfr. E. Fiumi, L’impresa di Lorenzo cit., pp. 77-78. Secondo Fiumi, questo tipo di condizioni non potevano che essere state suggerite dal Magnifico, stante la conoscenza da parte di quest’ultimo delle possibili manovre della politica papale in relazione alla gestione e alla organizzazione del commercio degli allumi.

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Cfr. A. Ivani da Sarzana, Historia de Volaterrana calamitate cit., p. 10: «Sed hi, parum prospicientes quieti civitatis, ad infringendam locationem animos converterunt», afferma l’Ivani mettendo in evidenza, di contro alla bontà e all’utilità dell’offerta dei locatari, l’ostinata pervicacia e delle autorità volterrane e di parte del patriziato locale, pregiudizievolmente avverso agli esponenti e agli interessi della compagnia del Capacci (o, più propriamente, alle mire del partito filomediceo cittadino).

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nuove magistrature del bimestre maggio-giugno 147137, le quali deliberarono infine, il 4 giugno 1471, di procedere all’occupazione delle allumiere in nome e per conto del comune di Volterra38. I Contugi, con alla testa il notaio ser Francesco di ser Bonfiglio39, quali leaders della fazione cittadina preminente40 erano riusciti a far collimare gli interessi delle istituzioni e della comunità di Volterra con le proprie strategie private di ascesa ed egemonia politico-sociale: avversi a esponenti della fazione filomedicea locale come lo stesso Inghirami, che avevano cercato di limitare il loro accesso alle cariche cittadine in quanto notai del contado41, i Contugi colsero nella difesa della sovranità e delle istanze del comune di Volterra l’opportunità di indebolire e marginalizzare i loro nemici politici, diventando punto di riferimento del nuovo ceto dirigente cittadino.

Il fronte antimediceo che si stava allora polarizzando attorno alle scelte delle nuove magistrature del maggio-giugno 1471 comprendeva le seguenti famiglie: Broccardi, Buonamici, Guidi, Zacchi, Picchinesi, Serguidi, Guarnacci, Incontri, Cagnazza, Marchi, Barzetti, Comucci, Acconci, Naldini, Mattonari, da Doccia, Tignoselli, Cecchi, Veggiosi, Cardini e Cortenuovi42. Per dare ulteriore peso politico alle decisioni della commissione sull’allumiera, l’ 8 giugno 1471 il Consiglio generale approvò la proposta di Antonio di Michele Tignoselli, che prevedeva che il numero dei membri della commissione medesima fosse portato a venti43. Gli eletti avrebbero dovuto incontrarsi tre volte a settimana presso il collegio dei Priori, alla presenza del cancelliere, per far

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«Successit in priorum magistratu Franciscus Contugius, homo inquieti animi, Paolo infensus, cuius audacie cum nimium fidei credula plebs adhibuisset, contentio crevit, demumque ad florentinos principes deducta est», ivi, pp. 10-11.

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Cfr. ASCV, A nera, 48, I, c. 3r: «[…] quod mittantur homines pro parte comunis Volaterrarum ad capiendum possessionem lumerie pro ipso comuni Volaterrarum, et istud fiat sine scandolo».

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Cfr. ASF, Notarile Antecosimiano, 5592, 18 ottobre 1457 – 10 novembre 1499: registro di imbreviature di ser Francesco Contugi.

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Cfr. R. Fubini, Excursus II cit., pp. 547-548.

41

Cfr. ASCV, A nera, 47, II, c. 111r; cfr. E. Insabato, S. Pieri, Il controllo del territorio cit., p. 192; cfr. E. Fiumi, L’impresa di Lorenzo cit., pp. 84-85.

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Cfr. ivi, p. 85. Secondo Fiumi, però, la fazione antimedicea non disponeva di una vera e propria ‘guida’: «[…] l’opposizione trascinava uomini autorevoli, famiglie di largo censo, popolani, contadini uniti nel comune proposito di difendere la libertà civica dall’invadenza forestiera, sostenuta dagli interessi particolari di alcuni cittadini. Francesco Contugi fu un animatore, ma non personificò l’opposizione all’appalto. Anzi, la fazione antimedicea mancò di un autorevole capo, ed i fiorentini trassero inestimabile vantaggio dal disaccordo e dalla diversità di vedute degli avversari», ibid., p. 85.

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Cfr. ASCV, A nera, 48, II, c. 2r. I nuovi eletti furono: Dino di ser Giusto Naldini, Niccolò di Bartolomeo di Niccolò, Marco di Ricciardo Covazza, Antonio di Giovanni (Serguidi), Battista di Ormanno di Stefano, ser Michele di Giovacchino Incontri, Bastiano di Gentile (Guidi), ser Francesco di Paolo Vinta, ser Francesco di ser Buonfiglio Contugi, ser Bastiano di Cristoforo Borselli, Giovanni d’Antonio Zacchi, Ottaviano di Giannello Picchinesi.

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rispettare gli statuti e le leggi del comune, non consentendo ad alcuno di prendere parte alle attività della miniera del Sasso44.

Come osservato molto perspicuamente da Fiumi, se è vero, da una parte, che nel momento in cui divampa la controversia per il possesso e lo sfruttamento delle allumiere, la sovranità del comune di Volterra appare piuttosto limitata rispetto al reale peso politico dell’autorità centrale fiorentina (come abbiamo visto nel capitolo precedente), dall’altra, è importante notare come i volterrani dispongano allo stesso tempo di molte «prerogative giurisdizionali (monopolio delle saline, regalie minerarie, domini sul contado), di facoltà legislative ed amministrative (promulgazione ed abrogazione di leggi, nomina del potestà forestiero, elezioni dei rettori di castelli del comitato), di tutte quelle libertà, infine, delle quali furono privati dai Medici dopo il sacco»45. Inevitabile, perciò, che sul tema della sovranità territoriale e sui diritti e gli interessi della comunità riguardo la gestione del sottosuolo volterrano, le istituzioni locali cercassero di tutelare e imporre le proprie prerogative, tanto nei confronti dei soci privati della compagnia del Capacci quanto rispetto ad una eventuale ingerenza fiorentina46.

Ma quello della difesa della sovranità territoriale e dei privilegi giurisdizionali volterrani è soltanto uno degli aspetti della questione. Senza considerare la valenza puramente politica (ancorché i motivi economici agissero senz’altro quale propellente dello scontro di interessi) del conflitto tra gli schieramenti in cui risultava diviso e polarizzato il patriziato volterrano, risulterebbe alquanto difficile riuscire a comprendere tutto quello che alla controversia vera e propria fece seguito. Il ruolo e il coinvolgimento del Magnifico, l’intreccio di questioni pubbliche e interessi privati, il riproporsi su scala locale delle tensioni che agitavano la vita politica fiorentina, il tentativo di ribellione e la successiva guerra sarebbero fenomeni di difficile interpretazione se non tenessimo sempre ben presente il background generale. Volterra era una comunità divisa e, di fatto, le fazioni dell’aristocrazia cittadina (venendo a replicare la battaglia combattuta in Firenze da Lorenzo de’ Medici per l’imposizione

44

Cfr. ibid., c. 2r.

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E. Fiumi, L’impresa di Lorenzo cit., p. 39.

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«La loro condizione non poteva essere identificata con quella di sudditi. […] se contrasta con la reale situazione dire che i rapporti tra Volterra e Firenze erano quelli di due stati indipendenti legati da perpetua amicizia o da ‘lega suave’, è altrettanto precipitato considerare Volterra città ribelle quando difenderà il diritto di sovranità sulla miniere del territorio», ivi, pp. 39-40, nota n. 22.

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della propria egemonia) cercarono di servirsi dell’affaire del Sasso onde guadagnare, una sull’altra, una posizione dominante all’interno della vita politica volterrana.

Perciò, laddove il partito filomediceo degli Inghirami, Riccobaldi ecc. cercava di imporsi attraverso il controllo delle nuove attività minerarie, il partito avverso, radicatosi nelle istituzioni, si faceva paladino dei privilegi e delle prerogative comunali per ostacolarne compiutamente i disegni, fidando nel supporto di tutte quelle famiglie fiorentine che, più o meno apertamente e almeno fino alla balìa del luglio 1471, cercavano di opporsi all’ascesa politica del Magnifico.

Consapevoli di aver agito, comunque, in modo piuttosto deciso e di avere sicuramente urtato anche gli interessi più o meno diretti di Lorenzo, gli esponenti del partito antimediceo di Volterra cercarono una qualche forma di mediazione. Il giorno successivo all’occupazione dell’allumiera i Priori di Volterra, «ad respondendum litteris Laurentii de Medicis et etiam pro aliis rebus occorrentibus circha negotium comunis super facto alumerie»47, decisero di inviare ambasciatori presso la Signoria di Firenze, nelle persone di ser Bastiano di Cristoforo Borselli e Onofrio d’Antonio Broccardi. La reazione delle istituzioni fiorentine (reazione che Fiumi ritiene in realtà dipendente dalla volontà del Magnifico) non si fece attendere a lungo: il 28 giugno 1471 un mazziere della Signoria, tale Simoncino, venne inviato alla miniera del Sasso affinché quest’ultima fosse restituita ai legittimi locatari48. All’ulteriore rifiuto opposto dai

volterrani, il capitano di custodia fiorentino, Ristoro Serristori, si vide costretto all’apertura di un procedimento contro ser Francesco Contugi, ser Francesco Buonamici, ser Michele Incontri e Niccolò Broccardi per avere partecipato all’occupazione dell’allumiera del Sasso49

; il 19 settembre successivo i quattro cittadini volterrani furono condannati alla relegazione per un anno in Firenze50.

Diveniva a questo punto manifesto che la questione aveva ampiamente travalicato gli interessi puramente locali, e che dietro le richieste dei partizionieri della compagnia del Capacci si andavano concentrando sia le mire politiche del partito filomediceo volterrano che i maneggi fiorentini del Magnifico il quale, con la balìa del luglio 1471, si disponeva ad imporre la propria egemonia sopra il reggimento fiorentino. Le lettere

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ASCV, A nera, 48, I, c. 4v.

48

Cfr. E. Fiumi, L’impresa di Lorenzo cit., pp. 38-39.

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Cfr. ASCV, T rossa, 165, c. 4r, 29 giugno 1471; cfr. E. Insabato, S. Pieri, Il controllo del territorio cit., p. 192.

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Cfr. ASCV, T rossa, 165, c. 35r; cfr. A. Ivani da Sarzana, Historia de Volaterrana calamitate cit., pp. 11-12.

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scritte in questi ultimi frangenti dal capitano Serristori a Lorenzo e alla Signoria51 rendevano noto come il conflitto politico in atto a Volterra, tra partito antimediceo e partito filomediceo, fosse ormai divenuto una replica esatta di quello che si stava allora combattendo nella città del giglio, e gli attori di entrambi fossero a quel punto legati da logiche di parte e interessi comuni: «Chostoro [i volterrani] usano di dire publichamente che quello che hanno facto è stato cum consiglio et conforti de’ principali cittadini della terra nostra, perché veghono che hanno ragione et che da loro aranno sempre ogni favore. Questo ti scrivo acciò sappi chome tu t’hai a ghovernare. Usano di dire che da te et i pazzi in fuori ogn’altro è a lor favori»52

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3.3 Lo schieramento filomediceo tra Firenze e Volterra: interessi, connivenze,

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