territoriale e di sottomissione a Firenze
3. La guerra di Volterra del 1472: l’affermazione dell’egemonia laurenziana
3.3 Lo schieramento filomediceo tra Firenze e Volterra: interessi, connivenze, connessioni fino all’ascesa laurenziana del luglio
Il coinvolgimento personale del Magnifico negli interessi economici legati alle allumiere del Volterrano costituisce la tesi guida dell’interpretazione proposta da Fiumi53. Come abbiamo avuto modo di osservare nel primo capitolo54, la critica di Fubini ha avuto il merito di ‘aggiornare’ l’opera dello storico volterrano, mostrando come, in realtà, il coinvolgimento di Lorenzo de’ Medici nella questione volterrana rispondesse maggiormente a interessi di ordine politico55. Le stesse fonti utilizzate da Fiumi per avvalorare la sua ipotesi interpretativa sarebbero altresì poco attendibili: la voce più autorevole tra gli storici e cronisti citati, quella delle Storie fiorentine del Guicciardini56 (ripresa tra l’altro anche dal Machiavelli57), avrebbe, per sua stessa
51
Cfr. E. Fiumi, L’impresa di Lorenzo cit., pp. 89-90. Fiumi sottolinea come le stesse lettere alla Signoria fossero dal Serristori indirizzate in realtà prima al Magnifico, di modo che lui fosse informato per primo degli eventi in questione e potesse poi decidere se renderne partecipi anche gli organi della repubblica fiorentina.
52
ASF, MAP, XXIII, 324, lettera del capitano Serristori a Lorenzo del 15 giugno 1471; cfr. E. Insabato, S. Pieri, Il controllo del territorio cit., pp. 200-201.
53
Cfr. E. Fiumi, L’impresa di Lorenzo cit., pp. 63-66. «[…] la compagnia de’ Medici mirava ad assicurarsi il monopolio di tutto l’allume negoziato nei paesi della cristianità», ivi, p. 63.
54
Cfr. supra, cap. 1, par. 1.2, pp. 18-20.
55
Cfr. R. Fubini, Lorenzo de’ Medici e Volterra cit., pp. 124-125.
56
«E questo è che sendo in quello di Volterra le allumiere che erano del comune di Volterra, e desiderando Lorenzo di ottenerle per sé, e rinculando e’ volterrani, Lorenzo, parendogli che se la impresa non riusciva, intaccare la sua reputazione, e però deliberato di averne onore, cominciò a strignerli in tal modo che, benché io non sappia bene a punto el particulare loro, si sdegnorono; e nato ombra e sospetto, e loro non essendo ubbidienti in tutto alla signoria, finalmente lo effetto fu che nel 1472 e’ volterrani, prese le arme e cominciato a non ubbidire a’ rettori nostri, si ribellorono», F. Guicciardini, Storie
fiorentine cit., cap. III, p. 111. 57
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ammissione, raccolto una ‘tradizione’ anteriore, mancando dei riferimenti diretti e della conoscenza dei dettagli della vicenda; le testimonianze di ambito volterrano non sarebbero ugualmente attendibili, dal momento che solo una fonte riporterebbe esplicitamente la partecipazione del Magnifico alla compagnia del Capacci58.
Se dunque Fiumi, pur avanzando dubbi sul fatto che Lorenzo figurasse direttamente tra i partizionieri della miniera del Sasso, dimostra di ritenerlo coinvolto negli affari economici legati alle ricchezze del sottosuolo volterrano, Fubini sostiene invece che l’interesse del Magnifico era puramente politico, così come politici dovevano essere i legami con gli esponenti filomedicei del patriziato volterrano presenti nella compagnia del Capacci, l’Inghirami e il Riccobaldi59
. Allo stesso modo, la presenza tra i soci di quest’ultima dei fiorentini Antonio Giugni, Gino Capponi e Bernardo Buonagiusti, che Fiumi considera voluta da Lorenzo per tutelare gli interessi economici di casa Medici60, secondo l’analisi di Fubini sarebbe stata in realtà ricercata dal senese Capacci per dare lustro e solidità alla compagnia, dal momento che sia il Capponi che il Giugni erano imprenditori di successo e avevano già investito capitali nel settore minerario61.
Riguardo, poi, ai possibili rapporti, «presunti o reali», tra gli interessi medicei per i nuovi giacimenti di allume in territorio volterrano e il privilegio, ottenuto dalla potente famiglia fiorentina, di poter smerciare l’allume papale in regime di monopolio in tutti i paesi della Cristianità, Fubini ritiene che non vi sia una connessione diretta (come ipotizzato da Fiumi62), dal momento che l’accordo commerciale era stato siglato non per volere del Magnifico ma per l’interesse esplicito del papa e della compagnia dei Medici di Bruges63. Lo stesso regime di monopolio, inoltre, doveva funzionare più come
58
Cfr. E. Fiumi, L’impresa di Lorenzo cit., pp. 45-48. La citazione si trova nei Ricordi attribuiti a Zaccaria Zacchi, ms. in BNCF, mss., Magliabechiana, cl. XXIII, 79, c. 131v. Tale versione venne ripresa anche dall’umanista volterrano Raffaele Maffei nei suoi Commentaria urbana, in E. Fiumi, L’impresa di
Lorenzo cit., pp. 54-55. 59
Cfr. R. Fubini, Lorenzo de’ Medici e Volterra cit., p. 124.
60
Cfr. E. Fiumi, L’impresa di Lorenzo cit., pp. 72-73. «[…] clienti assai devoti» del Magnifico definisce Fiumi i soci fiorentini, ivi, p. 73.
61
Cfr. R. Fubini, Lorenzo de’ Medici e Volterra cit., pp. 125-126. «Ben lungi dal rappresentare il potere e gli interessi medicei, egli [Antonio Giugni] era parte, con il Capponi, di quell’imprenditoria fiorentina che era stata chiamata, verosimilmente da parte del Capacci, a dare maggior consistenza all’impresa», ivi, p. 126. Il Giugni, inoltre, non poteva essere considerato un agente commerciale dei Medici (come sostenuto da Fiumi), in quanto il suo nominativo non risulta nella documentazione raccolta a tale riguardo dal De Roover, cfr. R. De Roover, Il banco Medici dalle origini al declino (1397-1494), Firenze, 1971.
62
Cfr. E. Fiumi, L’impresa di Lorenzo cit., pp. 63 e 76-78.
63
Cfr. R. Fubini, Lorenzo de’ Medici e Volterra cit., p. 127. Allo stesso modo Lorenzo non doveva nutrire particolari interessi riguardo al contratto sottoscritto l’11 giugno 1470 dal papa e dal re di Napoli per spartirsi i proventi del commercio dell’allume: «[…] parendomi troppo gran fascio alle nostre spalle, et
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affermazione di principio che come regola effettiva, e papa Paolo II si dimostrava maggiormente interessato al blocco dell’importazione dell’allume di Focea, per evitare che i turchi potessero lucrare sul suo commercio64. Il coinvolgimento del Magnifico nelle questioni volterrane doveva, perciò, avere ragioni più propriamente politiche.
I solidi legami clientelari, stabiliti già al tempo di Cosimo e di Piero con una parte dell’aristocrazia volterrana65
, dovevano trovare pieno consolidamento nel momento in cui più problematica e difficoltosa si faceva l’ascesa politica laurenziana, nel biennio 1470-71, a causa di una forte opposizione interna al reggimento fiorentino. L’imporsi del fronte filomediceo, tanto in Firenze quanto nelle comunità del dominio territoriale come Volterra, avrebbe dovuto legittimare la nascente egemonia del Magnifico: la controversia per il possesso e lo sfruttamento della miniera del Sasso si configurava come un evento propizio per offrire una risposta decisa (poi divenuta una vera e propria prova di forza) nei confronti di tutti gli oppositori del regime mediceo, fiorentini o distrettuali che fossero. Al di là degli interessi economici, che sicuramente ebbero un certo peso in tutta la vicenda66, è nei moventi politici e nei legami clientelari tra i Medici e gli esponenti di una parte del patriziato locale che può essere rintracciata la ragione determinante che sarà alla base del feroce conflitto politico e causerà la rivolta e la guerra di Volerra67.
L’opposizione di parte dell’oligarchia fiorentina al consolidamento del potere laurenziano veniva di fatto a polarizzare il ceto dirigente fiorentino sulla scorta di una ulteriore divisione tra le fazioni dei filosforzeschi e dei filoaragonesi68. Dal 1467, infatti, Firenze era sì alleata della Milano sforzesca e del re di Napoli Ferdinando d’Aragona, ma tale alleanza, tutt’altro che solida, celava in realtà i timori di quest’ultimo nei confronti della condotta filofrancese del duca di Milano. Allo schieramento filomediceo fiorentino, perciò, collegato stabilmente dai tempi di Cosimo con gli Sforza, si
che non abbiamo huomini né stormenti da conducerla», lettera di Lorenzo a Tommaso Portinari del 31 luglio 1470, in Lorenzo de’ Medici, Lettere cit., I, p. 195.
64
«Il monopolio del commercio degli allumi poco ha dunque a che fare con la controversia per l’allumiera di Volterra», R. Fubini, Lorenzo de’ Medici e Volterra cit., p. 127.
65
Cfr. supra, cap. 2, par. 2.5, pp. 99-102.
66
Cfr. R. Fubini, Lorenzo de’ Medici e Volterra cit., p. 128.
67
«I fatti di Volterra – ed è questo un aspetto fin qui sfuggito all’osservazione degli storici – procedettero di pari passo con le vicende della politica fiorentina, nel momento dell’affermarsi del potere di Lorenzo (che era succeduto al padre Piero sul principio di dicembre 1469), ma soprattutto alla reazione della cittadinanza, che, fin dalle più alte sfere del reggimento, riluttava a vedere ribadita la propria condizione di subordine a un potere personale e arbitrario, e cercava per questo le occasioni più opportune per indebolirlo», ivi, p. 129.
68
116
contrapponeva naturalmente quella parte dell’aristocrazia cittadina contraria all’egemonia medicea, la quale aveva trovato nell’oratore del re di Napoli residente in Firenze un valido interlocutore politico69. Tommaso Soderini, che Machiavelli ci testimonia particolarmente critico nei confronti dell’impresa di Lorenzo anche in seguito al triste epilogo della guerra di Volterra70, era stato il leader di tale opposizione al regime mediceo, ma l’‘incentivo’ costituito dalla corruzione milanese lo aveva poi riportato dalla parte di Lorenzo e degli Sforza71.
In seguito, comunque, Jacopo Pazzi, subentrato al Soderini dal principio del 1471 quale principale esponente dell’opposizione antimedicea, riuscì per mezzo delle sue conoscenze a far eleggere Bardo di Bartolo Corsi, uomo di sua fiducia, al gonfalonierato di giustizia per il bimestre maggio-giugno 147172. In occasione dell’entrata in carica il Corsi tenne un discorso in cui veniva celebrata l’amicizia con il re di Napoli Ferdinando d’Aragona73. La volontà politica dell’oligarchia antimedicea palesava così un duplice
intento: sul fronte esterno, privare il regime mediceo del suo principale alleato su scala nazionale promuovendo il sodalizio politico con il re di Napoli; su quello interno, apportare sostanziali riforme al reggimento fiorentino in modo da circoscrivere e limitare l’autorità e il potere di casa Medici e, soprattutto, arrestare l’ascesa del Magnifico. In questo clima generale di forte ostruzionismo politico al regime laurenziano il sequestro dell’allumiera del Sasso (4 giugno 1471), disposto dal comune di Volterra, non poteva non trovare ampia rispondenza nei disegni politici dei membri
69
Cfr. ivi, p. 130.
70
«Fu la novella di questa vittoria con grandissima allegrezza dai Fiorentini ricevuta, e perché la era stata tutta impresa di Lorenzo, né salì quello in reputazione grandissima. Onde che uno dei più suoi intimi amici rimproverò a messer Tommaso Soderini il consiglio suo dicendogli: ‘Che dite voi, ora che Volterra si è acquistata?’ A cui messer Tommaso rispose: ‘A me pare ella perduta; perché se voi la ricevevi d’accordo, voi ne traevi utile e securtà; ma avendola a tenere per forza, ne’ tempi avversi vi porterà debilezza e noia e ne’ pacifici danno e spesa’», N. Machiavelli, Istorie fiorentine cit., libro VII, cap. XXX, p. 686.
71
Cfr. R. Fubini, Lorenzo de’ Medici e Volterra cit., p. 130. Il Machiavelli, per la verità, ce lo mostra ancora contrario all’intervento voluto dal Magnifico contro la ‘ribelle’ Volterra: «Seguito questo primo insulto, deliberorono prima che ogni cosa, mandare oratori a Firenze, i quali feciono intendere a quegli Signori che, se volevono conservare loro i capitoli antichi, che ancora eglino la città nella antica sua servitù conserverebbono. Fu assai disputata la risposta. Messer Tommaso Soderini consigliava che fusse da ricevere i Volterrani in qualunque modo e’ volessero ritornare, non gli parendo tempi da suscitare una fiamma sì propinqua che potesse ardere la casa nostra […]. Dall’altra parte Lorenzo de’ Medici, parendogli avere occasione di dimostrare quanto con il consiglio e con la prudenza valessi, sendo massime di così fare confortato da quelli che alla autorità di messer Tommaso avevono invidia, deliberò fare la impresa e con l’arme punire l’arroganza de’ Volterrani», N. Machiavelli, Istorie fiorentine cit., libro VII, cap. XXX, pp. 684-685.
72
Cfr. R. Fubini, Lorenzo de’ Medici e Volterra cit., pp. 130-131.
73
«In pratica ciò denota l’intento di uscire dall’infida alleanza sforzesca, abbandonando cioè il principale punto di appoggio politico e militare del regime», ivi, p. 131.
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della Signoria fiorentina summenzionata74: indebolire il partito filomediceo volterrano avrebbe senz’altro contribuito ad assestare un duro colpo al prestigio personale e all’influenza di Lorenzo sulle istituzioni fiorentine75.
La Signoria, perciò, avallò di fatto l’iniziativa delle autorità volterrane e, per mezzo di questa presa di posizione, l’oligarchia ottimatizia, cuore del reggimento fiorentino, dimostrò di potersi opporre in modo compatto al potere personale del Magnifico76. La risposta di Lorenzo, com’era ovvio attendersi, non tardò ad arrivare: già in data 29 giugno 1471, come abbiamo visto77, il capitano Serristori aveva aperto un procedimento legale contro i promotori del sequestro della miniera del Sasso, ma fu con l’istituzione della Balìa del luglio successivo che il Magnifico cominciò a riguadagnare terreno nell’agone politico fiorentino, infliggendo una dura lezione agli esponenti più in vista dell’oligarchia a lui contraria78
. E se ancora il 13 luglio 1471 Lorenzo, fidando nell’autorità degli Otto di guardia, si dimostrava propenso ad appoggiare l’iniziativa del capitano Serristori79, fu a partire dal mese di settembre che l’azione medicea si fece più risoluta: il 19 settembre furono infatti condannati alla relegazione per un anno in Firenze i principali esponenti della fazione antimedicea volterrana80, inquisiti dal capitano di custodia per il sequestro e l’occupazione della miniera del Sasso81
. Nonostante i Priori di Volterra inviassero a Firenze, nel novembre successivo, una delegazione per mediare ancora una soluzione pacifica82, le autorità fiorentine decisero
74
Ibid., p. 131. Cfr. supra, p. 113, la citazione della lettera del capitano Serristori a Lorenzo del 15 giugno 1471.
75
«Il sostegno alla Balìa volterrana, vale ripetere, non era iniziativa di questo o quel gruppo, ma proveniva dall’interno stesso del ‘reggimento’ fiorentino, e cioè dal sistema di governo su cui Lorenzo stesso fondava il proprio potere», R. Fubini, Lorenzo de’ Medici e Volterra cit., p. 131.
76
«Se in Volterra aveva suscitato allarme la partecipazione inopinata di Pecorino, a Firenze la controversia in atto a Volterra – che aveva come tema principale il prepotere ricercato dalla fazione filomedicea cittadina – parve occasione opportuna per colpire il prestigio mediceo, e non certo a Volterra soltanto», ivi, p. 132.
77
Cfr. supra, p. 112.
78
Cfr. R. Fubini, Lorenzo de’ Medici e Volterra cit., p. 131. La marginalizzazione del dissenso politico colpì prima di tutti lo stesso Jacopo Pazzi: la grande inimicizia con il Magnifico, che negli anni successivi sarebbe sfociata nella celebre congiura (1478), ebbe origine proprio dalla ‘punizione’ elettorale che gli venne inflitta con lo scrutinio del novembre 1471.
79
Cfr. E. Fiumi, L’impresa di Lorenzo cit., pp. 92-94.
80
Cfr. supra, p. 112.
81
Cfr. R. Fubini, Excursus II cit., p. 549. Cfr. E. Fiumi, L’impresa di Lorenzo cit., p. 96.
82
Cfr. ivi, p. 102. Furono inviati a Firenze: Onofrio Broccardi, Niccolò Buonamici, Bastiano Borselli, Ottaviano Mattonari, Giovanni di Francesco di Gherardo, ai quali si aggiunsero venti o venticinque cittadini volterrani «[…] ad ostendendum fidem et devotionem amplissimam nostri comunis erga civitatem Florentie», ASCV, A nera, 48, II, c. 88r-v.
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di istruire un processo contro dieci cittadini volterrani, i quali furono poi condannati il 18 novembre alla relegazione in Firenze83.
Dovrebbe quindi apparire piuttosto evidente che, per comprendere appieno la decisa reazione del Magnifico e la scelta di un intervento diretto nei fatti di Volterra, sia necessario tenere ben presente quanto fossero importanti per i Medici i legami clientelari stretti nei decenni precedenti con parte del patriziato volterrano. Quegli esponenti dell’aristocrazia cittadina che, già al tempo di Cosimo, avevano potuto godere dei benefici del patronato mediceo84 – in special modo Inghirami, Lisci, Minucci, Sighieri, Barlettani e Riccobaldi – , furono di fatto i principali protagonisti del conflitto politico seguito alla controversia per il possesso della miniera del Sasso. Se Paolo di Antonio Inghirami (Pecorino) e Benedetto di Bartolomeo Riccobaldi figuravano direttamente quali soci della compagnia appaltatrice, anche i membri delle citate famiglie volterrane ebbero un ruolo importante nello scontro con la fazione antimedicea cittadina che condusse poi alla rivolta e alla guerra.
Bartolomeo di Roberto Minucci (famiglia anch’essa legata all’estrazione e al commercio dello zolfo dei lagoni85 e molto vicina ai Medici86), scampato a stento al tumulto in cui persero la vita Paolo Inghirami e Romeo Barlettani87, fu costretto, dopo lo scoppio della rivolta, a riparare a Borgo San Sepolcro mentre la sua casa veniva messa a sacco88. Soltanto verso la fine del giugno 1472, dopo la rovina del fronte antimediceo e il tragico destino della città, il Minucci poté rientrare in Volterra. L’esponente del partito filomediceo volterrano più vicino al Magnifico fu comunque, senza dubbio, proprio il celebre ‘Pecorino’. Già in seguito ai primi malumori sorti nell’aristocrazia antimedicea dopo la dichiarazione pubblica che rendeva noti i soci
83
Cfr. ASCV, T rossa, 164, c. XIII. I condannati alla relegazione furono i seguenti: Onofrio d’Antonio Broccardi, Giuliano di Francesco Contugi, Niccolò di Bartolomeo, Giovanni d’Antonio Zacchi, Ottaviano di Giannello (Picchinesi), Bastiano di Gentile (Guidi), ser Piero di ser Buonfiglio Contugi, ser Marchione di Simone Cagnazza, Giovan Vittore di ser Girolamo, Niccolò di Tommaso (Buonamici).
84
Cfr. supra, cap. 2, par. 2.5, pp. 99-102.
85
Cfr. E. Fiumi, L’impresa di Lorenzo cit., pp. 67 e 71.
86
Il padre Roberto, morente, avrebbe lasciato «quasi per sua ultima volontà […] mi sapessi mantenere la casa vostra», ASF, MAP, VI, 401, lettera di Bartolomeo Minucci a Giovanni di Cosimo del 2 novembre 1459.
87
Cfr. infra, paragrafo successivo.
88
ASF, MAP, XXVIII, 12, lettera di Bartolomeo Minucci a Lorenzo de’ Medici del 27 aprile 1472. Cfr. A. Ivani da Sarzana, Historia de Volaterrana calamitate cit., p. 15: la magistratura dei Dieci di Volterra che, in seguito ai tumulti del febbraio 1472, aveva di fatto preso il potere, condannò alla relegazione in diversi luoghi della Toscana i principali esponenti del partito filomediceo cittadino. Tra questi: Bartolomeo Minucci e il fratello Lodovico, Benedetto Riccobaldi e figli, Giovanni Inghirami (fratello di Pecorino), Ottaviano di Romeo Barlettani, Giovanni Sighieri.
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della compagnia del Capacci (3 dicembre 1470), l’Inghirami aveva cercato di farsi raccomandare a Lorenzo, «nella faccenda dello allume», dal suo antico precettore, Gentile Becchi89. Il ruolo centrale svolto da Pecorino nelle vicende che condussero alla controversia con il comune di Volterra e al conflitto di fazione, e che sfociarono nel tumulto e nella ribellione, diventa più chiaro ed esplicito quando si tenga in debita considerazione la «[…] lunga consuetudine e fedeltà della famiglia Inghirami con almeno due generazioni di casa Medici»90.
Doveroso, inoltre, sottolineare come Lorenzo potesse servirsi, per dare inizio alla sua personale controffensiva al dissenso politico tanto in Volterra quanto in Firenze, di un membro di una delle più fedeli famiglie di casa Medici: Ristoro Serristori, capitano di custodia di Volterra nel semestre marzo-settembre 147191. Dopo aver ricoperto più volte la carica di Priore e Gonfaloniere di giustizia, proprio in quell’anno cominciò una carriera da ufficiale estrinseco che lo portò ad occupare alcune tra le principali e più lucrose cariche territoriali92. Proiettato già alla sua prima esperienza in uno dei contesti più problematici del momento, il Serristori mostrò sempre una condotta improntata al fedele servizio del Magnifico prima ancora che al rispetto delle autorità fiorentine93, e la sua decisione di perseguire legalmente quegli esponenti delle istituzioni volterrane che avevano deciso, in seguito al sequestro dell’allumiera, di osteggiare in modo esplicito gli interessi del partito filomediceo cittadino94, costituì senz’altro una delle più efficaci conseguenze della reazione laurenziana sancita dalla Balìa del luglio 1471.
89
ASF, MAP, LXI, 32, lettera di Gentile Becchi a Lorenzo del 29 dicembre 1470. Cfr. R. Fubini,
Excursus II cit., p. 548. 90
E. Insabato, S. Pieri, Il controllo del territorio cit., p. 193.
91
«Gli stretti rapporti di amicizia tra le due famiglie trovano riscontro nelle numerose cariche politiche, amministrative e militari rivestite dai Serristori in quel periodo (si veda ASF, Carte Sebregondi 4904)», ivi, p. 200.
92
Cfr. ibid., p. 200. Il Serristori, dopo il difficile incarico volterrano, fu capitano della Cittadella Nuova di Pisa (1475-76), podestà di Prato (1479), capitano di Cortona (1482-83), vicario di Scarperia (1486-87), capitano di Pistoia (1487-88) e capitano di Pisa (1494-1495).
93
Cfr. supra, p. 113. Come già osservato da Fiumi, le lettere del Serristori che dovevano essere inviate alla Signoria furono spesso, in realtà, inviate direttamente a Lorenzo, cfr. E. Insabato, S. Pieri, Il controllo
del territorio cit., p. 200. 94
120
3.4 L’intervento del Magnifico e lo scontro di fazione: dalla richiesta di arbitrato