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La seconda fase del processo di sottomissione: la ‘compera’ di Arezzo e il congelamento del conflitto politico come strumento di dominio

territoriale e di sottomissione a Firenze

2.3 La seconda fase del processo di sottomissione: la ‘compera’ di Arezzo e il congelamento del conflitto politico come strumento di dominio

L’assoggettamento della città di Arezzo si svolse secondo dinamiche alquanto differenti rispetto a quanto osservato nei casi di Pistoia e di Volterra. Se è vero che, una volta portati a compimento l’acquisto e l’occupazione della città, Firenze fu incline ad imporre un equilibrio basato sulla cristallizzazione del conflitto politico e di parte – come in Volterra e in Pistoia – , è altrettanto manifesto che le modalità con cui i fiorentini entrarono in possesso di Arezzo presentano maggiori analogie con quella che sarà la conquista e la ‘compera’ di Pisa nel 140650

.

Sullo sfondo, comunque, era sempre presente un conflitto politico che vedeva polarizzate le fazioni aretine sulla scorta delle dinamiche geopolitiche che interessavano in quel momento la penisola italica51. Le lotte interne che vedevano, da una parte, gli Arciguelfi (capeggiati dalla famiglia Albergotti e dall’esponente più in vista della stessa, Giovanni, vescovo della città) e, dall’altra, i ghibellini (guidati dai Tarlati di Pietramala), si inscrivevano di fatto nella più ampia cornice dei conflitti dinastici per il possesso del Regno di Napoli quando, nel 1380, il vicario del re Carlo di Durazzo, Jacopo Caracciolo, aveva occupato la città di Arezzo assecondando la richiesta degli stessi guelfi aretini52. Sul fronte contrario, il duca Luigi d’Angiò – per puntare alla riconquista francese di Napoli – poteva contare sull’appoggio del re di Francia, il quale aveva per questo inviato nella penisola italica milizie armate al seguito del capitano Enguerrand de Coucy. Proprio a quest’ultimo si erano rivolti i Tarlati di Pietramala e tutti i ghibellini d’Arezzo, i quali avevano poi occupato la città con l’aiuto del capitano francese, di modo che, nel 1384, il Caracciolo disponeva ormai soltanto del cassero cittadino53.

L’intervento fiorentino, sollecitato principalmente da ragioni di ordine strategico e geopolitico (come Pistoia serviva a Firenze per il controllo dei valichi appenninici e

50

Cfr. ASF, Capitoli, registri, 58, passim. Secondo quanto deciso nei Capitoli di resa della città, stipulati con Giovanni Gambacorti – «capitano e difensore del popolo pisano» – , l’acquisto di Pisa fu ottenuto in cambio dell’esborso di 50.000 fiorini che il comune di Firenze avrebbe dovuto versare nelle casse dello stesso Gambacorti, ivi, cc. 67r-71v, 7 ottobre 1406.

51

Cfr. L. Berti, Il ruolo delle classi dirigenti locali cit., pp. 613-616; cfr. A. Antoniella, Affermazione e

forme istituzionali della dominazione fiorentina cit., pp. 173-205; cfr. E. Pieraccini, La ribellione di Arezzo cit., p. 37.

52

Ibid., p. 37.

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delle vie di comunicazione con la Lombardia, e come Pisa doveva garantire uno sbocco diretto sul mare, allo stesso modo Arezzo avrebbe garantito il controllo di una importante via verso Roma e Napoli, alternativa a quella, poco praticabile per i fiorentini, che passava per Siena)54, ebbe modo però, anche in questa circostanza, di legittimarsi e imporsi come dispensatore di pace e latore di ordine e stabilità55. Firenze intervenne, ovviamente, al fianco della parte guelfa e il 27 ottobre 138456 ottenne dal Caracciolo la concessione del cassero cittadino, in seguito ad una serie di scontri che avevano visto i ‘ribelli’ di Pietramala penetrare in città e compiere violenze contro i guelfi aretini. Il vicario del re Carlo III di Durazzo, consapevole di non disporre delle forze necessarie ad opporsi efficacemente ai ghibellini e alle milizie del capitano francese de Coucy, decise di affidare la custodia della fortezza cittadina al comune di Firenze, «ab antiquo guelfum», per fare in modo che il fronte filoghibellino e filofrancese potesse essere sconfitto57.

I fiorentini, da sempre molto più abili nelle trattative diplomatiche che nell’uso delle armi, furono capaci in pochi giorni di trattare con il capitano Enguerrand de Coucy la consegna della città di Arezzo, avvenuta a seguito dell’esborso della somma di 40.000 fiorini58, secondo la volontà manifestata dal capitano francese di dover lasciare la città evitando che essa cadesse nelle mani del nemico Carlo di Durazzo, e tenendo in debita considerazione il fatto che Firenze era stata sempre devota alla casa di Francia59. Nei Capitoli della cessione della città i fiorentini si impegnavano, peraltro, a restare neutrali (indifferentes) nel conflitto tra Luigi d’Angiò e Carlo di Durazzo, a fare in modo che Arezzo non dovesse più prestare aiuto a quest’ultimo o ai suoi eredi, a rispettare e non arrecare danno o comminare pene ai ‘nobili’ di Pietramala e a tutti i ghibellini aretini che si erano schierati con il capitano francese de Coucy60. Il 20 novembre 1384, così, gli

54

Ivi, pp. 39-40.

55

«Divisi come erano, gli Aretini, in fazioni ferocemente armate l’una contro l’altra, da soli avrebbero contato anche meno nella politica di Firenze: ne divenivano un elemento trascurabile. Ma per l’appunto il fatto che eran divisi da odi inestinguibili faceva sì che l’una e l’altra fazione cercassero appoggio al di fuori, nel primo venuto che avesse a sua disposizione un nerbo di soldati: anche l’ultima avventura, che doveva dare il tracollo all’indipendenza aretina, aveva avuto origine, come abbiamo visto, dalle ambiziose mire del partito dei Pietramala. E allora la situazione si faceva più pericolosa per Firenze», ivi, p. 39.

56

Cfr. I Capitoli del Comune di Firenze cit., vol. I, registro 7, doc. n. 1, 27 ottobre 1384 (cc. 8r-10r), pp. 371-373.

57

Ivi, p. 372.

58

Ivi, doc. n. 4, 5 novembre 1384 (cc. 1v-2v), pp. 373-375.

59

Ivi, p. 373.

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ambasciatori del comune di Firenze poterono ufficializzare la presa e la ‘tenuta’ della città di Arezzo e della sua fortezza61.

In quella stessa occasione furono anche siglati i Capitoli relativi all’ordinamento del governo e della custodia di Arezzo62. La città, il contado e il distretto di Arezzo, con tutti i castelli, terre, ville, luoghi, diritti e giurisdizioni, sarebbero in perpetuo appartenuti al comune di Firenze «come signore, superiore, governatore e amministratore, cosicché gli uomini, le persone e gli abitanti di quella città, contado, territorio e distretto, vengano governati sotto il dominio del C. di Firenze: con che peraltro non s’intenda loro conferito verun benefizio di civiltà della città di Firenze»63

. Tutti gli aretini, d’età maggiore di quindici anni, cittadini o comitatini che fossero, avrebbero dovuto comparire personalmente dinanzi al capitano della custodia fiorentino, qualora avessero avuto intenzione di abitare in Arezzo:

«per riconoscere spontaneamente ed espressamente confessare, che il C. di Firenze soltanto è suo vero signore e superiore, e che egli coi suoi discendenti in perpetuo sarà suddito e soggetto di quel C. […]. E chi non farà o ricuserà di far questo, sia condannato e costretto a pagare lire 100 al camarlingo del C. d’Arezzo; e i suoi beni tutti vengano confiscati per il C. di Firenze, e a lui sia vietato d’abitare in Arezzo»64.

Il riconoscimento della superiore autorità fiorentina non lasciava, in questo caso, molto spazio alla scelta personale né concedeva margini possibili di negoziazione politica: la comunità aretina era, formalmente e materialmente, sottomessa al potere di Firenze65.

61

«I tre Ambasciatori del C. di Firenze, andando e stando per la città d’Arezzo, case e tenimenti, aprendo e chiudendo le porte della città, e specialmente del Palagio dei già Pr. d’Arezzo, pacificamente e quietamente, e senz’alcuna contradizione e molestia, prendono la tenuta e il corporale possesso della città, dei beni, delle cose e dei diritti ad essa spettanti, dicendo di volerli possedere non solo col corpo ma anche coll’animo, in nome del C. di Firenze», ivi, doc. n. 18, 20 novembre 1384 (c. 5v), p. 379. Cfr. ivi, doc. n. 20, 20 novembre 1384 (c. 5v), p. 380.

62

Cfr. ivi, doc. n. 22, 20 novembre 1384 (cc. 24r-30v), pp. 380-384.

63

Ivi, p. 380.

64

Ibid., p. 380.

65

«La dedizione di Arezzo a Firenze e la definizione degli ulteriori rapporti giuridici fra l’una e l’altra dovevano avere una consacrazione di legittimità in una grande adunata popolare (nel parlamentum totius

populi civitatis Aretii), che ebbe luogo il 29 e il 30 marzo 1385. Naturalmente, data la situazione di

enorme superiorità dei Fiorentini, data la sottile opera di addomesticamento ch’essi non avranno certamente mancato di fare, dato che il dominio fiorentino pareva veramente porre fine all’anarchia, data la volubilità delle assemblee, il responso non poteva essere dubbio: e fu realmente unanime nell’accettare il fatto compiuto, la sottomissione ai Fiorentini», E. Pieraccini, La ribellione di Arezzo cit., pp. 40-41.

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Per riportare la pace, l’ordine e la sicurezza nella città di Arezzo (motivi portanti della legittimazione dell’intervento fiorentino anche in questa circostanza)66

venne istituita la magistratura del Capitano di custodia («Capitaneus populi et custodie, ac conservator pro Communi Florentie civitatis Arretii et eius comitatus»)67, ufficiale fiorentino che avrebbe avuto la giurisdizione sopra tutte le cause criminali nella città e contado di Arezzo, ad eccezione dei castelli di Castiglione Aretino (poi Castiglion Fiorentino), Foiano e Vallis Capresis, «con che peraltro possa condannare e punire ad arbitrio e senza veruna solennità chi turbasse o tentasse di turbare il pacifico stato della città e contado d’Arezzo, e sovvertire il dominio, la giurisdizione ec. del C. di Firenze in quella città e contado»68. Il podestà, a sua volta, avrebbe mantenuto la propria autorità in materia di giustizia civile e penale ‘ordinaria’69

; sempre un cittadino fiorentino, «popolare e vero guelfo», avrebbe dovuto ricoprire la carica di capitano del cassero d’Arezzo70

.

Per quanto concerne la gestione delle finanze aretine, fu stabilito che tutte le rendite, i proventi e le gabelle della città dovessero essere riscosse dagli ufficiali fiorentini e che il comune di Firenze potesse disporne a proprio piacimento71. La sanzione formalmente definitiva della sottomissione di Arezzo fu consacrata dal consenso popolare in occasione della grande assemblea pubblica del 29-30 marzo 138572. Nella sede del Palazzo dei Priori di Arezzo, i medesimi Priori si impegnavano a convocare a ‘parlamento’ tutto il popolo aretino per informarlo della sottomissione al comune di Firenze, avvenuta secondo il rispetto di tutti i Capitoli precedentemente sottoscritti73, e,

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«Riuscì perfino, ai Fiorentini, con grande tatto politico, di mettere pace fra i Signori di Pietramala e il Comune di Arezzo, in difesa del quale, contro i primi, erano pure apparentemente intervenuti nei primi tempi. Ma non perciò erano sedate le animosità, gli odi secolari fra le famiglie aretine. Bisogna dire subito che queste ebbero, nei vari tentativi di ribellione a Firenze, un’importanza e un peso maggiore che il cosidetto spirito d’indipendenza», ivi, p. 43.

67

Cfr. I Capitoli del Comune di Firenze cit., vol. I, registro 7, doc. n. 22 cit., pp. 380-381.

68 Ivi, p. 381. 69 Ivi, p. 383. 70 Ibid., p. 383. 71

Ivi, doc. n. 25, 23 novembre 1384 (cc. 30v-32r), p. 385.

72

Ivi, doc. n. 38, 29-30 marzo 1385 (cc. 56r-60v), pp. 397-399.

73

I Priori di Arezzo deliberarano con solennità di sottomettere la città, il contado e il distretto aretino (con tutte le persone, i diritti e le giurisdizioni) alle autorità fiorentine, «ripensando fra loro e con molti altri ec. d’Arezzo i benifizi ricevuti dal C. di Firenze, e volendo mostrarsegli grati col dargli il dominio della città, del contado, territorio e distretto, con piena giurisdizione e col mero e misto impero, e col costituire uno o più sindaci, quando occorra, per fare le dette cose in nome della città d’Arezzo; sebbene non sia necessario, possedendo il C. di Firenze giustamente e pacificamente quello che ha acquistato con grandi pericoli e dispendi, ma pure considerando che meglio si dimostrerebbe, e più accetta verrebbe al C. di Firenze la devozione, la buona volontà e la debita gratitudine degli Aretini, se ciò facessero nel Parlamento generale del P.», ivi, pp. 397-398.

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prestando giuramento sui Vangeli (e sotto pena di 100.000 fiorini d’oro!) promettevano l’osservanza e il rispetto di tale sottomissione74

. Alla popolazione di Arezzo, radunata nella piazza della cittadella presso il cassero, non restava che fornire il definitivo suggello di legittimità all’azione fiorentina: richiesti di pronunciarsi, per il «bene e utile» della città, sopra quanto era stato deciso dai Priori, gli aretini risposero « ‘nemine contrarium vel aliud dicente et per unam vocem et expressionem vulgari sermone et vocibus pluribus iteratis, sì, sì et sì, quod litteraliter sonat et importat ita, ita, ita’»75

. Questa apparente omogeneità di consenso celava, in realtà, una situazione ben più complessa e articolata. In seguito alla sottomissione a Firenze le fazioni aretine si polarizzarono, come era naturale attendersi, intorno a due schieramenti principali: filofiorentini e antifiorentini (frazionandosi poi ulteriormente, a partire dalla metà del Quattrocento, in filomedicei e antimedicei)76.

* * *

La seconda fase del processo di inclusione delle comunità territoriali da noi studiate all’interno del dominio fiorentino aveva, comunque, preso avvio intorno alla metà degli anni settanta del XIV secolo. L’evento che meglio esemplifica il tenore della nuova strategia politica, attuata dai fiorentini per corroborare ulteriormente la loro posizione dominante, è rappresentato dalla riforma generale degli uffici della città di Pistoia portata a compimento dagli ambasciatori fiorentini il 24 aprile 137677. Questi ultimi, insieme al capitano di custodia, annullarono la riforma degli uffici proposta da un comitato di ventiquattro cittadini pistoiesi e ne approvarono un’altra che, di fatto, portava esplicitamente all’istituzionalizzazione del bipartitismo cittadino78

. Furono, infatti, raddoppiate le borse per gli eleggibili agli uffici, in modo che ogni porta della città di Pistoia potesse averne due: una, che contenesse i nominativi degli aderenti alla parte panciatica (compagnia di San Paolo) e, l’altra, quelli degli uomini fedeli alla parte 74 Ivi, p. 398. 75 Ivi, p. 399. 76

«Così, già pochi anni dopo il 1384, l’aristocrazia aretina è divisa in due campi (oltre quello assai più numeroso, ma poco importante, degli ondeggianti): il campo dei partigiani e quello degli avversari dei Fioretini»; questi ultimi cercheranno sempre di sfruttare a loro vantaggio le difficili situazioni congiunturali vissute da Firenze a partire dai primi anni del XV secolo, fidando nel supporto delle potenze nemiche dei fiorentini: «Come vedremo, tutte le ribellioni degli Aretini contro Firenze hanno questa origine», E. Pieraccini, La ribellione di Arezzo cit., pp. 46-47.

77

Cfr. I Capitoli del Comune di Firenze cit., vol. I, registro 1, doc. n. 21, 24 aprile 1376 (cc. 39v-45v), pp. 19-21.

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cancelliera (compagnia di S. Giovanni), per un totale di otto borse per le quattro porte cittadine79.

Attraverso l’istituzionalizzazione delle fazioni Firenze mirava all’imposizione di un equilibrio politico che si traducesse nei fatti in una situazione di reciproca deterrenza tra le parti (il già citato ‘congelamento’ del conflitto politico), che avrebbe dovuto consentire un controllo più agevole e una maggiore influenza dell’autorità fiorentina. La riforma degli uffici avrebbe dovuto avere la durata di sei anni. Una volta istituzionalizzate e rese legittime, le ‘sette’ in quanto tali poterono essere denunciate e vietate, come si legge nell’ultima rubrica dei Capitoli del 137680

. L’istituzionalizzazione del bipartitismo cittadino, strumento di cui Firenze si servirà per governare Pistoia fino al 1457, veniva portata a compimento «in un periodo in cui le principali famiglie pistoiesi si stavano collegando sempre più strettamente alle famiglie del ceto dirigente fiorentino»81. Emblematico a questo proposito il caso di Giovanni Novello Panciatichi, che nel 1375 sposò Piera di Pepo degli Albizzi e nel 1388 riuscì a farsi eleggere cavaliere della repubblica fiorentina82. Nello stesso tempo, mentre venivano rafforzati legami clientelari e il patronato fiorentino assumeva un ruolo egemone sul controllo delle famiglie e fazioni pistoiesi, Firenze, che dal 1373 aveva stabilito che anche il capitano della montagna pistoiese dovesse essere un cittadino fiorentino e dovesse risiedere a Cutigliano83, estendeva la propria autorità sulla gestione e sul governo del contado e della montagna di Pistoia, luoghi strategici per il controllo dei valichi appenninici e delle vie di comunicazione con la Lombardia.

Crebbero in questo periodo le ingenti somme di denaro che Firenze si vide costretta a richiedere alle comunità soggette, compresa Pistoia, per far fronte alle continue guerre contro la Milano viscontea, specie alla fine del XIV secolo quando lo scontro con Gian

79

«2. Si facciano otto borse per la elezione del G. di g., due per porta; imborsando in una quelli, per esempio, di porta Lucchese, che sono dalla parte di S. Giovanni; e nell’altra, quelli della stessa porta, che sono dalla parte di S. Paolo. […] Duri questa riforma sei anni, da cominciare il giorno in cui prendano l’ufficio gli A. per la prima volta estratti da questa borse», ibid., p. 19. «Et maximamente nella bella et vaghesca picchola città sventurata di Pistoia le sette et parti erano più che in altra terra. L’una setta et parte dei Canciglieri, et chiamata la parte et secta di Sancto Giovanni, molto copiosa di grossi et gran cittadini più che l’altro, e l’altra parte era dei Panciatichi, e questa si chiamava parte et setta di Sancto Paulo: era copiosa di mercanti et artieri et gente di bassa mano più che l’altra», Cronache di ser Luca

Dominici cit., II, Cronaca seconda, pp. 13-14. 80

«25. Qualunque setta, e il titolo e nome di setta, sia riprovata e vietata in Pistoia; né alcuno osi chiamarsi d’alcuna setta», I Capitoli del Comune di Firenze cit., vol. I, registro 1, doc. n. 21 cit., p. 21.

81

F. Neri, Società ed istituzioni cit., p. 8.

82

Cfr. ivi, p. 9. Cfr. W.J. Connell, Clientelismo e Stato territoriale cit., p. 533, nota n. 35.

83

76

Galeazzo minacciava seriamente la sopravvivenza stessa della repubblica fiorentina. Nei momenti più difficili di questo conflitto anche la carica di podestà di Pistoia dovette essere affidata unicamente a cittadini fiorentini. Con l’ulteriore riforma generale degli uffici del 138384 le famiglie dei Panciatichi e dei Ricciardi furono nuovamente escluse dalla partecipazione agli uffici pubblici, e furono confermati e ampliati i poteri del capitano di custodia e con essi, ovviamente, l’autorità e la giurisdizione di Firenze sopra la vita politica pistoiese85. La cristallizzazione degli antagonismi politici tra le parti, inseriti ora stabilmente nelle maglie della struttura istituzionale, consentiva alle autorità fiorentine di erodere progressivamente i poteri e le competenze delle magistrature pistoiesi, per affidarne la suprema giurisdizione all’ufficiale fiorentino garante della custodia, il cui operato si cercò, comunque, di richiamare sempre al rispetto delle direttive centrali del comune di Firenze86.

Nella stessa direzione, tra la fine del 1385 e il mese di gennaio dell’anno successivo, fu varata una riforma fondamentale per l’elezione del capitano di custodia di Volterra87

: da quel momento la scelta dei cittadini fiorentini abili a tale ufficio non sarebbe più spettata al comune di Volterra, ma sarebbe stata la Signoria di Firenze ad occuparsi direttamente delle imborsazioni anche dopo la scadenza dei termini previsti per la custodia (10 anni)88. Per questo motivo venne approntata una borsa specifica (Busta capitanearum civitatis Vulterrarum)89 e, come nel caso pistoiese, fu deciso che i futuri capitani avrebbero avuto l’autorità, essi soli, di proporre le questioni da deliberare e

84

Cfr. I Capitoli del Comune di Firenze cit., vol. I, registro 1, doc. n. 24, 28 marzo 1383 (cc. 47r-56v), pp. 22-24.

85

«35. Il C. g. si convochi dal Capitano della custodia. […] 41. Il Capitano della custodia possa eleggere quando vuole e quanti vuole cc. pistoiesi, ‘in comanderiis et pro comanderiis et ad officium comandarie custodie civitatis Pistorii’; e possa cassare gli eletti, e sostituire: e chi non fosse eletto dal Capitano, cada in pena di 500 lire. […] 48. Tutti i soprascritti capitoli generalmente abbiano vigore in aumento di quelli che conferiscono al C. di Firenze e al Capitano della custodia ‘preheminentiam, arbitrium, potestatem, baliam vel iurisditionem’; e se alcuno ve ne fosse in diminuzione, s’intenda annullato», ivi, pp. 23-24.

86

«Che nessun fiorentino Capitano di Pistoia possa proporre nel C. g. di quella città, provvisione che fosse contro il C. di Firenze, e a detrimento del suo onore, preminenza, diritto ec.; a pena di 1.000 fiorini d’oro e della privazione di tutti gli uffici e onori del C. di Firenze», ivi, doc. n. 26, 17-18-23 aprile 1383 (c. 58r-v), p. 24.

87

Ivi, vol. II, registro 13, doc. n. 51, 30-31 dicembre 1385 – 20 gennaio 1386 (cc. 144v-148v), pp. 335- 338.

88

I Sindaci del comune di Volterra giuravano, perciò, dinanzi ai Signori e ai Collegi «di stare contenti e quieti alla imborsazione e intascazione che si farà per la Signoria e i Collegi suddetti, così presenti come futuri, de’ Capitani del P. e della custodia e de’ Gonfalonieri della città di Volterra e dei Castellani della rocca di quella città, non tanto per il tempo che dureranno i patti fermati fra i due Comuni, ma anche nei tempi avvenire», ivi, p. 335.

89

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mettere a partito nei Consigli90, e fu espressamente vietato che i Priori di Volterra o altri magistrati della città potessero cassarli o rimuoverli, sotto pena di lire 1.000 e di ‘nullità’ di tale provvedimento91

. Lo status giuridico dell’ufficio di Capitano di Volterra fu inoltre esplicitamente equiparato a quello della magistratura vigente in Pistoia92.

Stando a quanto riportato dallo storico volterrano L.A. Cecina, gli abitanti di Volterra non poterono che accettare il nuovo corso imposto dai fiorentini alla vita politica e alle istituzioni della loro città, consapevoli che in caso contrario avrebbero certamente rischiato di perdere ulteriore autonomia, magari non soltanto sul piano giuridico93.

«Il dì 30 poi di questo Mese [dicembre, 1385] i Sindachi dei Volterrani mandati a Firenze a tal oggetto dettero solennemente ai Fiorentini la richiesta facoltà, non solo per quel tempo, che a questi dovea restare la custodia del Cassaro giusta i patti precedenti, ma anche fino a tanto che fosse stato di piacere de’ Priori,

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