Dagli anni sessanta del secolo scorso ad oggi molti studiosi hanno cercato di analizzare ed interpretare le modalità dell’affermazione del regime mediceo, dedicando grande attenzione al fenomeno del patronato quale vero pilastro della politica medicea nel XV secolo176. Patrizia Salvadori, nei primi anni novanta del secolo scorso, si è occupata della corrispondenza laurenziana contenuta nel MAP177, per cercare di mettere in luce le maggiori zone d’influenza del patriziato territoriale del Magnifico. Dall’analisi del ricchissimo epistolario laurenziano Salvadori ha ricavato una lista di luoghi, all’interno del dominio territoriale fiorentino, da cui giungevano in maniera particolarmente copiosa le missive indirizzate a Lorenzo178.
Tali luoghi principali comprendevano: il Mugello, terra d’origine della famiglia, ove i Medici possedevano vasti e fertili appezzamenti di terreno179; il Valdarno inferiore, lungo la direttrice che univa Firenze a Pisa180; il Valdarno superiore, con Arezzo (come abbiamo visto) fondamentale centro del patronato mediceo181; la Maremma; la Montagna pistoiese; i paesi della costa tirrenica; le comunità di confine dello stato territoriale fiorentino. Spesso erano gli stessi consigli cittadini che conferivano al Magnifico pubblica autorità affinché egli agisse da mediatore nei conflitti interni e nelle liti che contrapponevano gli abitanti delle città soggette182. Secondo Salvadori, perciò, Lorenzo si trovava ad interferire sovente nella gestione politica delle comunità dello stato territoriale: «Tra la volontà di trovare in Lorenzo un ‘protettore’ e un ‘benefattore’ particolare e il tentativo di porre un freno alle insistenti ingerenze da lui attuate – che
176
Cfr. N. Rubinstein, The Government of Florence Under the Medici cit.; A. Tenenti, Firenze dal
comune a Lorenzo il Magnifico, 1350-1494, Milano, 1970; D.V. Kent, The Rise of the Medici. Faction in Florence, 1426-1434, Oxford, 1978; Ead., Dinamica del potere e patronato nella Firenze di Cosimo de’ Medici, in I ceti dirigenti nella Toscana del Quattrocento, Firenze, 1987, pp. 49-62; A. Molho, Cosimo de’ Medici cit.; Id., Il patronato a Firenze nella storiografia anglofona, «Ricerche storiche», XV (1985),
pp. 5-16; M. Luzzati, Firenze e la Toscana nel Medioevo cit., pp. 189-203.
177
Cfr. P. Salvadori, Rapporti personali, rapporti di potere nella corrispondenza di Lorenzo dei Medici, in Lorenzo il Magnifico e il suo tempo, a cura di G.C. Garfagnini, Firenze, 1992, pp. 125-146
178
Cfr. ivi, pp. 128-130.
179
Cfr. V. Franchetti Pardo, G. Casali, I Medici nel contado fiorentino. Ville e possedimenti agricoli tra
quattro e cinquecento, Firenze, 1978. 180
Cfr. M. Mallett, Pisa and Florence in the Fifteenth Century. Aspects of the Period of the First
Florentine Domination, in Florentine Studies. Politics and Society in Renaissance Florence, ed. by N.
Rubinstein, London, 1968, pp. 403-441.
181
ASF, MAP, XXIII, 66, 28 luglio 1466, Priori e Gonfaloniere di Arezzo a Lorenzo de’ Medici, lettera in cui gli aretini definiscono il Magnifico «unico refugio et precipuo remedio et salute di qualunque desiderio».
182
48
spesso andavano contro gli interessi stessi dei comuni – si articola la complessa dialettica dei rapporti tra Lorenzo e le comunità che componevano lo Stato fiorentino»183.
Tra i principali mittenti dell’epistolario laurenziano troviamo: gli esponenti di quella classe di funzionari di professione (giudici, notai, giusperiti che affiancavano i rettori fiorentini), che costituivano l’elemento essenziale del valente apparato politico- istituzionale che consentì ai Medici di mantenere una presenza capillare sul territorio184; gli ufficiali ‘estrinseci’ della repubblica di Firenze, appartenenti al patriziato cittadino e legate ai Medici anche nella gestione del ‘reggimento’ fiorentino, che governavano le comunità soggette per conto della dominante185 e fornivano al Magnifico notizie e importanti ragguagli sugli ‘umori’ degli abitanti dello stato territoriale186.
«Preziose informazioni giungono poi sulle condizioni delle castellanie e l’operato dei castellani e notizie sui movimenti di fuoriusciti o di ribelli. I rettori dei paesi vicini a Volterra si prodigano ad esempio, durante gli eventi del 1472, per avvertire Lorenzo dei sospetti movimenti di armi e di uomini: è il caso del podestà di Colle che avendo saputo di alcuni volterrani usciti nottetempo dalla città e ‘vedutogli fornire quanto possono di corazze e d’ogni arme e veduto sghombrare tucto il contado loro, che sia che vadino a ffare chosa contro a cotesta Signoria et etiam contro alla voglia tua’, chiede dunque disposizioni sul da farsi»187.
Per quanto concerne invece le richieste che venivano inoltrate a Lorenzo nelle lettere inviategli dai diversi centri del dominio, Salvadori ne individua tre tipi principali: raccomandazioni per l’ottenimento di incarichi e uffici, intercessioni in cause giudiziarie, inviti a comporre liti e conflitti188. Nel primo caso (come abbiamo avuto modo di vedere anche nei precedenti paragrafi), l’azione del Magnifico entrava spesso in conflitto sia con gli statuti dei comuni che con gli usi o le consuetudini degli stessi, in una dialettica di poteri che lo vedeva a volte uscire sconfitto dal confronto con le
183
Ivi, p. 132.
184
Ivi, pp. 132-133. Cfr. A. Zorzi, Giusdicenti e operatori di giustizia nello Stato territoriale fiorentino
del XV secolo, «Ricerche storiche», XIX (1989), pp. 517-552; cfr. R. Fubini, Antonio Ivani da Sarzana: un teorizzatore del declino delle autonomie comunali, in Egemonia fiorentina ed autonomie locali nella Toscana nord-occidentale del primo Rinascimento: vita, arte, cultura, Pistoia, 1978, pp. 113-164.
185
Cfr. W.J. Connell, Il commissario e lo Stato territoriale fiorentino, «Ricerche storiche», XVIII (1988), pp. 591-617; cfr. A. Zorzi, I Fiorentini e gli uffici pubblici nel primo Quattrocento: concorrenze, abusi,
illegalità, «Quaderni storici», LXVI (1987), pp. 725-751. 186
Cfr. P. Salvadori, Rapporti personali cit., pp. 133-135.
187
Ivi, p. 135. Cfr. ASF, MAP, XXIV, 221, 27 aprile 1472, Lotto Salviati, podestà di Colle, a Lorenzo de’ Medici.
188
49
autorità locali, le quali poi, quasi sempre, gli scrivevano per porgere le proprie scuse e giustificarsi per non aver potuto acconsentire alle sue scelte189. Lorenzo doveva inoltre misurarsi con le prerogative e le competenze giurisdizionali dei rettori fiorentini quando veniva sollecitato, dai condannati o dai loro parenti e amici, affinché intercedesse per mitigare i termini delle sentenze criminali (omicidi, furti, reati minori quali zuffe, gioco, porto d’armi non consentito ecc.)190
.
Nonostante gli ufficiali territoriali fiorentini si mostrassero spesso irremovibili nelle loro decisioni, per difendere il ruolo di ‘giudici imparziali’ delle comunità e per non turbare l’opinione pubblica o nuocere all’onore e alla gloria della repubblica fiorentina, l’intervento del Magnifico poteva portare in questo caso a una riduzione della pena o al miglioramento delle condizioni del condannato (evitandogli, per esempio, il ricorso alla tortura), mentre ben più difficoltoso e problematico sarebbe stato, anche per Lorenzo, poter ottenere l’annullamento della sentenza.
La ricerca del consenso e l’imposizione di una forte autorità personale – due facce della stessa medaglia, dunque – furono sempre gli assi portanti dell’attività politica e patronale di Lorenzo nei confronti delle comunità territoriali del dominio191.
* * *
In un altro saggio dedicato all’analisi delle dinamiche politiche delle reti clientelari fiorentine con i centri del dominio192, Patrizia Salvadori sottolinea come sia stato proprio a partire dagli anni novanta del secolo scorso che gli studi sul patronato fiorentino hanno varcato la soglia delle mura cittadine, per concentrarsi sulla sua dimensione più propriamente territoriale193. Per questo tipo di approccio critico, fondamentale risulta ancora una volta l’esame delle fonti epistolari contenute
189 Ivi, pp. 137-138. 190 Ivi, pp. 139-141. 191
Cfr. ivi, pp. 142-146. Osserva, perciò, Salvadori: «La ricerca del riconoscimento e del consenso era però indispensabile per il mantenimento di un regime famigliare messo costantemente in forse da rivolte interne alla città, ma che trovavano sovente ampi consensi nel territorio o che dal territorio stesso sorgevano».
192
Cfr. P. Salvadori, I fiorentini e i centri del dominio, in Lo Stato territoriale fiorentino cit., pp. 477-497.
193
Ivi, p. 477. Scrive Salvadori: «Lo stato fiorentino del Quattrocento era una formazione recente. Nell’intelaiatura istituzionale, già definita in grandi linee nei primi decenni del secolo, vi era spazio per negoziazioni, contatti, reti di interessi sovrapposti», ibid., p. 477. Cfr. tutti gli studi di Connell, Black e Milner citati supra.
50
nell’Archivio Mediceo avanti il Principato dell’Archivio di Stato di Firenze194
. Questi documenti, come precisa Salvadori, devono però essere sempre integrati con le fonti pubbliche (deliberazioni dei consigli cittadini e provvisioni dei comuni soggetti), in quanto le lettere inviate ai Medici possono presentare alcune ambiguità di fondo (legate al linguaggio utilizzato, al carattere esortativo del discorso, alla parzialità degli stessi mittenti) che creano ulteriori problemi ad una interpretazione critica degli eventi195.
Salvadori ha così cercato di studiare il fenomeno del patronato fiorentino (e mediceo) nella sua complessa articolazione territoriale, per ricavare un’immmagine d’insieme del fenomeno nella Toscana del Quattrocento e proporre un modello «atto a comprendere l’uso delle pratiche clientelari nella loro funzione di esercizio del potere»196
. Il primo elemento che, in questo senso, deve essere messo in rilievo è che Firenze, nel processo di costruzione del suo dominio territoriale, istituì sì una serie di riforme volte alla centralizzazione del potere, ma lasciò allo stesso tempo margini di autonomia alle comunità soggette. Tali spazi politici furono, però, presto pervasi dalla capillare diffusione di pratiche di potere di tipo privatistico e dall’instaurazione di reti clientelari e di patronato. Dalla metà degli anni cinquanta del Quattrocento si inserirono in questo sistema i membri delle più influenti famiglie fiorentine (Pitti e Medici sopra gli altri), in una compartecipazione che si protrasse fino al tentato colpo di stato del 1466, terminus post quem si impose la progressiva e ‘totalizzante’ esperienza politica del Magnifico197.
Abbiamo già visto come l’ingerenza dei patroni fiorentini nella vita politica delle comunità soggette fosse indirizzata alla scelta e alla possibile nomina dei propri clienti agli uffici territoriali più lucrosi, pratica questa che contribuì a istituire e veicolare un vero e proprio funzionariato professionale. Ma l’interesse dei ricchi patroni poteva coinvolgere anche enti ed istituzioni non direttamente dipendenti dalle comunità (ancorché soggetti al governo e al controllo del comune), quali ospedali, luoghi pii ecc. Le cariche di questi enti erano infatti molto redditizie, duravano più a lungo degli uffici
194
Cfr., per una trattazione più esaustiva dell’argomento, P. Salvadori, Dominio e patronato. Lorenzo dei
Medici e la Toscana nel Quattrocento, Roma, 2000. 195
«Si delineano con maggiore evidenza i rapporti dei Medici con i centri soggetti: le loro richieste sono vagliate, discusse e anche rifiutate all’interno dei consigli comunali. Vengono così alla luce le trattative, le resistenze, i compromessi, ed è infine possibile conoscere il ruolo giocato da altri fiorentini», P. Salvadori, I fiorentini e i centri del dominio cit., p. 479.
196
Ivi, p. 480.
197
51
cittadini, e i clienti che le ricoprivano potevano esercitare una grossa influenza sulla vita della comunità198.
«Le pressioni operate dai fiorentini nei settori di competenza dei centri soggetti comportavano un’ingerenza nella vita politica e amministrativa del territorio che si sostanziava di fatto in una latente erosione delle autonomie locali. Non mancarono vivaci reazioni a questo larvato tentativo di controllo. Le resistenze alle ingerenze di oligarchi fiorentini si palesavano negli ostacoli che venivano posti di volta in volta alle specifiche richieste. […] Le disposizioni statutarie, altre volte in realtà disattese, potevano infatti divenire insormontabili sbarramenti alle richieste meno gradite, quali l’aumento del salario di un cancelliere o il prolungamento del suo incarico»199.
Per questo motivo anche i governi dei centri soggetti, per meglio tutelare la propria giurisdizione e continuare a mantenere margini di autonomia, furono costretti a intessere relazioni con alcuni eminenti patroni fiorentini200.
Nelle deliberazioni dei comuni venivano registrati gli invii degli incaricati per le ambascerie presso i patrizi fiorentini, che dovevano quasi sempre cercare di ottenere sgravi fiscali, finanziamenti per opere pubbliche, franchigie per i mercati, vettovaglie in caso di crisi alimentari201. Rivolgendosi alle élites fiorentine i centri soggetti instauravano ulteriori canali privilegiati di comunicazione ed istituivano spazi di manovra per perorare le proprie cause e i propri interessi: un nuovo e più ampio ambito di negoziazione per contrattare migliori condizioni di gestione delle problematiche locali202.
Se è vero che anche nel periodo albizzesco la pratica del patronato era stata piuttosto diffusa, lo è altrettanto il fatto che, come sottolinea Salvadori, fu in epoca medicea che le dinamiche clientelari assunsero un ruolo fondamentale nella riorganizzazione delle influenze politiche e degli ambiti di potere nel governo delle comunità soggette del domino territoriale. E, con l’avvento del Magnifico, tale fenomeno acquisì una fisionomia più netta, esplicita e totalizzante, e gettò le basi di quel consenso che 198 Ivi, pp. 483-484. 199 Ivi, p. 486. 200
«L’obiettivo era quello di costituire un terreno di contrattazione, entro il quale poter aprire una trattativa con il potere centrale in merito a quei settori che non rientravano più tra le competenze dei centri del dominio», ibid., p. 486.
201
Ivi, p. 487.
202
«In tal modo, le relazioni con i membri dell’oligarchia fiorentina – con i Medici innanzitutto – potevano fornire ai centri soggetti l’opportunità di rinegoziare i loro rapporti con Firenze su questioni di particolare rilevanza per la comunità, recuperando preziosi frammenti degli antichi poteri decisionali ormai perduti», ivi, pp. 487-488.
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costituirà uno degli elementi fondamentali del rapporto tra principe e sudditi nel Principato mediceo203: come a dire che quanto allestito a livello subregionale dalla politica patronale di Lorenzo diede prova della sua efficacia nei decenni successivi, quando i suoi discendenti poterono imporre la loro autorità personale facendo ricorso ad un sistema di legami e relazioni consolidatosi negli anni.
È interessante notare come le pratiche clientelari non fossero, infatti, «alternative a quelle mediate dai canali istituzionali», ma si rivelassero come «un utile strumento per la conservazione del dominio»204, dal momento che:
«Per tenere un territorio non era sufficiente conquistare o comprare terre, dare loro leggi ed esigere che fossero rispettate. Era necessario costruire un terreno di scambi e negoziazioni. Ed era un terreno nel quale i rapporti personali, le relazioni informali tra i governi e gli oligarchi fiorentini potevano dare i frutti migliori»205.
E questo perché, come ha puntualmente osservato Andrea Zorzi, «[…] per Firenze lo scopo non fu quello di amministrare uno stato ma quello di governare un dominio», cioè «‘reggere’ politicamente un dominio territoriale variegato in cui l’apparato giuridico- istituzionale e le pratiche di governo servissero anzitutto come strumento di conservazione»206.
1.6 Le fonti
Per un contesto territoriale e per un intervallo cronologico tanto ampi le fonti disponibili sono vastissime. Come abbiamo avuto modo di vedere nei precedenti paragrafi, la storiografia contemporanea ha privilegiato spesso, volta per volta, una delle tre principali tipologie documentarie (fonti pubbliche ufficiali, carteggi ed epistolari, fonti narrative di tipo cronachistico), affiancandovi raffronti ed integrazioni ottenute dal
203
«Alla morte del Magnifico, con l’ascesa del figlio Piero, la delicata costruzione di alleanze e consensi sembrò crollare definitivamente. Ma se nel breve periodo la strategia di governo adottata da Lorenzo sembrò fallire, il mutamento da lui operato mostrò di avere radici alquanto profonde. Nel giro di qualche decennio, in un quadro profondamente mutato dell’organizzazione statale, il legame tra principe e sudditi assunse valenze più chiaramente politiche. Gli abitanti del dominio, nello stabilire rapporti con il principe, poterono però attingere a un archivio di consuetudini che si erano già formate e consolidate in età repubblicana», ivi, p. 490. 204 Ivi, p. 493. 205 Ivi, p. 496. 206
A. Zorzi, La formazione e il governo del dominio territoriale fiorentino: pratiche, uffici, ‘costituzione
53
vaglio delle altre due. Anche per quanto riguarda la nostra trattazione riteniamo che questo sia l’atteggiamento critico migliore, in quanto consente di collegare gli aspetti più propriamente pubblici ed istituzionali della vita politica e dei rapporti tra dominante e centri soggetti, con quelli appartenenti alla sfera privata delle relazioni informali e delle reti clientelari, restituendo la giusta importanza alla testimonianza diretta dei contemporanei.
Una esegesi delle differenti tipologie documentarie si rivela perciò, anche nel nostro caso, l’approccio più costruttivo e prolifico nei riguardi dei tre eventi storici analizzati nel corso della nostra ricerca. Le fonti pubbliche dei Capitoli207, contenenti i patti di soggezione stipulati con la dominante al momento della sottomissione, costituiscono documenti fondamentali per la comprensione delle modalità di inclusione delle città soggette all’interno del dominio fiorentino, e suggeriscono i futuri svolgimenti delle dinamiche politiche e dei rapporti di potere tra Firenze e le comunità territoriali. Nel caso di Volterra disponiamo di un intero registro208 che ci descrive, con dovizia di particolari, le misure prese da Firenze in occasione della guerra del 1472 e i provvedimenti adottati in seguito alla sconfitta volterrana. Altri registri conservano traccia della turbolenta situazione pistoiese nel corso del XV secolo, con particolare riferimento ai momenti più difficili nella gestione dei disordini (all’inizio e alla fine del Quattrocento)209.
Ma le fonti pubbliche ufficiali, specie quelle conservate nell’Archivio di Stato di Firenze, utili per ricostruire i rapporti istituzionali tra la dominante e le città soggette, possono spaziare dalle provvisioni del comune di Firenze (concernenti i nuovi capitoli siglati con Pistoia il 31 ottobre 1496)210, alle Balìe straordinarie (come quella concessa a venti cittadini in occasione della guerra contro Volterra)211, fino ai documenti raccolti in particolari unità archivistiche (è il caso dei Capitoli che sancirono la fine della guerra, prima che fosse compiuto il terribile sacco della città)212. Anche nelle Consulte della repubblica fiorentina, ripercorrendo le sedute in cui venivano discusse, di fronte agli
207
Cfr. I Capitoli del Comune di Firenze cit., I, pp. 3-28 (Pistoia), pp. 370-449 (Arezzo); II, pp. 267-360 (Volterra).
208
ASF, Capitoli, registri, 61, Liber rerum volaterranarum (30 aprile 1472 – 28 giugno 1514).
209
Ivi, 55 e 56, passim.
210
Cfr. ASF, Provvisioni, registri, 187, cc. 74v-76v. Copia in ASF, Statuti delle comunità autonome e
soggette, 598, cc. 2r-6v. 211
ASF, Balìe, 34 (1 maggio 1472 – 31 luglio 1472).
212
ASF, Carte Strozziane, Prima serie, CXIII, Memorie diverse della città di Volterra, cc. 126r-127r (16 giugno 1472).
54
esponenti principali del patriziato cittadino, le più urgenti questioni su cui avrebbe poi dovuto pronunciarsi la Signoria, è possibile trovare utili riferimenti alle problematiche costituite dagli eventi da noi presi in esame213.
La seconda tipologia documentaria, costituita dalle lettere conservate tanto nei carteggi delle magistrature pubbliche di Firenze quanto negli epistolari degli eminenti patroni fiorentini (primo fra tutti Lorenzo de’ Medici), consentono di approfondire ulteriormente la complessità delle dinamiche politiche in atto tra dominante e città soggette, durante i fenomeni di ribellione che coinvolsero Volterra, Pistoia e Arezzo. I Carteggi della Signoria, conservati nell’Archivio di Stato di Firenze, offrono alcuni interessanti spunti per ricostruire gli eventi in questione nell’ottica sia dell’autorità centrale (Signoria di Firenze, Dieci, Otto e magistrature straordinarie create per far fronte alle emergenze), che degli ufficiali e dei commissari fiorentini che si trovavano sul territorio in occasione dei moti di rivolta e delle insurrezioni. Per la guerra civile pistoiese del 1499-1502 disponiamo, ad esempio, di una intera filza contenente tutte le lettere scritte dai rettori e commissari fiorentini da Pistoia durante le fasi più difficili del conflitto214, proprio in concomitanza con il deflagrare della ribellione aretina all’inizio del giugno 1502, di cui troviamo menzione anche nelle responsive inviate da Arezzo e dalla Valdichiana e sempre indirizzate alla Signoria di Firenze215.
Troviamo anche altri importanti riferimenti ad Arezzo e a Pistoia in un altro fondo dell’Archivio di Stato di Firenze, tra i cui registri si possono leggere le responsive inviate alle autorità fiorentine dal commissario in campo nella guerra contro Arezzo, Antonio Giacomini Tebalducci216, o quelle inviate da Pistoia tra il novembre 1500 e il giugno 1501217. D’altra parte, le comunicazioni della Signoria agli ufficiali fiorentini sul territorio sono conservate tra le missive della Seconda cancelleria, la quale si occupava appunto di gestire i rapporti con le comunità soggette del dominio territoriale218. Per quanto concerne il conflitto contro Volterra del 1472, le maggiori infomazioni, com’è
213
ASF, Consulte e pratiche, 65-66-67, passim. Cfr. Consulte e pratiche della Repubblica fiorentina cit.
214
ASF, Signori, Carteggi, Responsive originali, 25 (10 maggio 1502 – 16 febbraio 1503).
215
Ivi, 9, passim (8 dicembre 1483 – 5 dicembre 1529).
216
ASF, Signori, Dieci di Balìa, Otto di Pratica, Legazioni e commissarie, Missive e responsive, 38, cc. 1-84, 97-148, 150-182 (11 giugno 1502 – 2 febbraio 1503).
217
Ivi, 27, cc. 163-170 (24-26 aprile 1501); 37, cc. 1-31 (20 novembre 1500 – 5 febbraio 1501); 47 (24 aprile 1501 – 21 giugno 1501).
218
Cfr. ASF, Signori, Carteggi, Missive II Cancelleria, 4 (2 marzo 1471 – 1 gennaio 1472), 21-29 (3 giugno 1499 – 23 febbraio 1503).
55
facilmente supponibile, possono essere tratte dall’epistolario laurenziano cui ci siamo richiamati anche nei precedenti paragrafi219.
Le cronache e i resoconti dei testimoni che parteciparono direttamente o poterono assistere agli eventi da noi analizzati cosituiscono la terza tipologia di materiale documentario di cui ci siamo serviti. Anche le fonti cronachistiche contribuiscono a restituire un’immagine viva e pulsante di ciò che effettivamente accadde, dal momento che chi scrive si trova comunque coinvolto nella drammaticità degli eventi, specie se appartiene a quelle comunità che, come Volterra e Arezzo, subirono duramente la