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Il monopolio mediceo del patronato territoriale: erosione istituzionale e stasi degli antagonismi local

territoriale e di sottomissione a Firenze

2.5 Il monopolio mediceo del patronato territoriale: erosione istituzionale e stasi degli antagonismi local

L’elemento che, più di ogni altro, contribuì a mutare le dinamiche di potere tra dominante e città soggette, a partire almeno dalla metà del Quattrocento, fu l’emergere dell’egemonia medicea nella gestione della vita politica fiorentina171

. Ovunque, sul territorio, il potere mediceo, dopo il successo nella contesa per la preminenza sulle istituzioni fiorentine, fu capace di stabilire nuovi assetti ed imporre equilibri che traevano la loro forza dalla solidità dei legami clientelari e di patronato che, prima Cosimo, e poi in misura maggiore Piero e Lorenzo avevano instaurato con parte delle aristocrazie delle comunità soggette.

Pur inscrivendosi nel solco delle pratiche ormai consolidate dall’attività del ceto dirigente fiorentino di matrice albizzesca, l’azione medicea sulle strutture di controllo della vita politica dei centri soggetti ebbe modo di contraddistinguersi per la creazione e l’imposizione di un vero e proprio sistema di ‘monopolio’ del patronato territoriale, che giunse a scalzare quasi completamente l’influenza delle altre famiglie eminenti fiorentine172. L’effetto che tale monopolio ebbe sulla vita politica delle comunità territoriali fu quello di contribuire a svuotare ulteriormente di significato le istituzioni locali, e rendere la potente famiglia fiorentina vero arbitro delle contese tra le fazioni, le parti e i partiti delle città soggette: il disciplinamento del conflitto politico e degli antagonismi locali veniva, ora più che mai, ad essere interamente demandato all’attività ‘privata’ e ‘informale’ dei rapporti tra famiglie, patroni e clienti. I Medici, e

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Sul coinvolgimento di Cosimo nella crisi del 1429 scrivono Insabato e Pieri: «[…] in questo frangente si palesarono i legami di devozione della classe dirigente volterrana con la famiglia Medici, e in particolare con Cosimo: le fonti dell’epoca sono concordi nel sottolinearne il ruolo di consigliere in merito all’atteggiamento assunto dai volterrani nei confronti del catasto (cfr. la Cronichetta di Volterra, descritta qui alla scheda 4)», E. Insabato, S. Pieri, Il controllo del territorio cit., p. 184.

171

Per una disamina storiografica sul tema del monopolio mediceo del patronato territoriale, cfr. supra, cap. 1.

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Il fenomeno cominciò ad assumere caratteri piuttosto chiari e a divenire manifesto senz’altro dopo il fallimento della congiura antimedicea del 1466, contemporaneamente al rafforzamento della posizione di Piero di Cosimo, prima, e all’emergere del potere laurenziano poi.

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specialmente il Magnifico, si dimostrarono perciò abili nel raccordare, in maniera totalizzante, e nel far convergere sul proprio ruolo egemonico tutte quelle istanze e rivendicazioni che il patriziato delle città soggette continuava a nutrire nei confronti del potere della dominante173. Senza distinzioni tra fazioni e parti (come in Pistoia) o scegliendo deliberatamente di rinsaldare i legami con una parte del patriziato locale (come a Volterra e ad Arezzo), i Medici divennero i referenti unici delle aristocrazie locali, decidendo saggiamente di dispensare favori ed elargire ricompense (per legare a sé i destini delle comunità territoriali), laddove la repubblica fiorentina si dimostrava capace quasi soltanto di avanzare pretese ed imporre tributi. La situazione di Pistoia costituisce, in questo senso, un caso paradigmatico.

Le modalità stesse della sottomissione pistoiese a Firenze (1401) avevano dimostrato caratteristiche peculiari ed originali, dal momento che entro breve tempo la città aveva recuperato sia la gestione delle proprie entrate174, che alcuni diritti sulle gabelle e poteri diretti di riscossione e ripartizione delle imposte sulle comunità rurali circostanti175. Uno dei motivi portanti di tale scelta politica, operata dalle autorità fiorentine, doveva certamente essere stata la scarsa consistenza delle entrate pistoiesi, che Firenze preferì restituire all’amministrazione locale con la speranza che in tal modo i pistoiesi potessero, almeno, provvedere al pagamento degli stipendi degli ufficiali territoriali fiorentini176. Nel volgere degli stessi anni, almeno per i primi quattro decenni del XV

173

Cfr. P. Salvadori, Lorenzo dei Medici e le comunità soggette tra pressioni e resistenze, in La Toscana

al tempo di Lorenzo il Magnifico. Politica, economia, cultura, arte, a cura di R. Fubini, 3 voll., Pisa,

1996, III, pp. 891-906.

174

Cfr. Cronache di ser Luca Dominici cit., II, Cronaca seconda, pp. 65, 85. Secondo quanto osservato da Luca Mannori, le autorità fiorentine si dimostrarono, comunque, sempre particolarmente attente sia a garantire i privilegi acquisiti negli anni dai ceti eminenti pistoiesi, sia nel corroborare l’immagine di ‘socia nobilis’ di Firenze che i pistoiesi attribuivano alla loro città, persino dopo l’istituzione del Principato mediceo: «Giustificata dall’endemica faziosità di cui i pistoiesi avevano dato costante prova tra Quattro e Cinquecento, questa politica resta tuttavia attentissima nel ‘mantenere una certa immagine di Repubblica, come hanno costoro sempre in bocca’; e nel conservare alla classe dirigente un ventaglio di importanti privilegi, strenuamente difesi come il segno di una irrinunciabile identità originaria», L. Mannori, Il sovrano tutore cit., pp. 44-45. La citazione di Mannori fa riferimento al rilievo sprezzante del Fiscale della città, mosso durante la relazione tenuta dinanzi alla Pratica Segreta il 24 aprile 1582: cfr. ASF, Pratica Segreta di Pistoia e Pontremoli, 475, cc. 241r-242r.

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Cfr. ASPt, Comune, Raccolte, 4, c. 150r-v. Afferma ancora Mannori: «È anche sicuro che a dispetto della normativa centrale vi furono aree che riuscirono ad evitare per lunghissimi periodi l’introduzione di un estimo vero e proprio. ‘Qui non è estimo o catasto – scriveva per esempio il Fiscale di Pistoia nel 1581, riferendosi al contado di questa città – e si vive al buio, e quando si muove una lite bisogna resuscitare e’ morti, per ritrovare e’ capi de’ beni’. Situazione che troviamo pressoché invariata ancora in pieno Seicento», L. Mannori, Il sovrano tutore cit., p. 343. Per la citazione: cfr. ASF, Pratica Segreta di

Pistoia e Pontremoli, 475, c. 148r, relazione del Fiscale del 29 agosto 1581. 176

«A dì 30 d’Aprile [1402], domenicha, fu significato per li Priori di Firenze et per li 6 da Pistoia a’ nostri signori che avevano solepnemente in tucti loro Consigli ordinato cose buone per noi. E in effecto fu questo, che cci renderono la camera e l’entrata et l’uscita, e che’ l contado contribuisse con noi et a noi

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secolo, in misura maggiore rispetto a quanto ottenuto attraverso il controllo istituzionale o il governo del territorio, il potere fiorentino cominciò ad operare in Pistoia puntando molto sull’influenza delle clientele e sull’ascendente esercitato dalle élites fiorentine sulle parti pistoiesi. Alcuni eminenti uomini politici fiorentini ebbero modo, in questo periodo, di accrescere enormemente la propria autorità e il proprio prestigio personale, imponendosi come patroni dell’una o dell’altra fazione: Puccio Pucci, commissario fiorentino vicino ai Panciatichi, e Neri di Gino Capponi, rettore, commissario, riformatore degli statuti pistoiesi e molto vicino alla famiglia Cancellieri, il quale ottenne persino alla morte il titolo di «protector et pater civitatis Pistorii», furono senz’altro i più influenti177

.

Il nuovo ordine politico, cui ci riferivamo in apertura di paragrafo, non poté però che concretizzarsi con l’ascesa al potere di Cosimo de’ Medici, principale artefice, assieme al figlio Piero e al nipote Lorenzo, di un equilibrio politico destinato a durare fino al 1494. La solidità della posizione di potere assunta in Firenze dopo il 1434 consentì a Cosimo de’ Medici di acquisire sempre più influenza sulle parti pistoiesi, fino a che la riforma generale degli uffici del 1458, approvata soltanto quattro mesi dopo la morte di Neri di Gino Capponi con il consenso dello stesso Cosimo, sancì di fatto la soppressione del sistema bipartitico eliminando la suddivisione delle borse tra Panciatichi e Cancellieri178.

L’abolizione del regime bipartitico fu sicuramente incoraggiata anche dagli scontri di fazione del 1455179, che costrinsero l’autorità fiorentina ad un altro deciso intervento. Il 22 aprile 1455 furono, così, approvati i Capitoli dei «Paciali», ordinamenti speciali voluti dalla dominante per pacificare le parti pistoiesi180, i quali prevedevano sia l’estensione dell’immunità a chi avesse sodato la pace entro sei mesi, sia la promozione

paghasse le tasse ordinarie, stando ferme le loro podesterie et che di nuovo niente potessimo porre al contado senza loro licentia. E tucto questo facevano perché per noi s’allegava, che poi che avevano tolto la nostra camera, ch’ ellino pagassino li nostri debiti, et ellino, veduto che la cosa non era grassa com’ ellino credevano, né appresso, et veduto che cci metterebbono ogn’ anno di loro, lo feceno», Cronache di

ser Luca Dominici cit., II, Cronaca seconda, pp. 84-85. 177

Cfr. W.J. Connell, Clientelismo e Stato territoriale cit., pp. 534-539; cfr. F. Neri, Società ed istituzioni cit., pp. 40-45.

178

Cfr. ASF, Statuti delle comunità autonome e soggette, 595, cc. 287r-303r.

179

Cfr. Sozomeno, Chronicon Universale (1411-1455), a cura di G. Zaccagnini, in Rerum Italicarum

Scriptores, XVI, I, Città di Castello, 1908, p. 52; cfr. B. Colucci, Lazareus, in F.A. Zacharia, Bibliotecha pistoriensis, Torino, 1752, pp. 287-297; cfr. J.M. Fioravanti, Memorie storiche cit., pp. 355-356; cfr. F.

Neri, Società ed istituzioni cit., pp. 47-49.

180

Cfr. C. Paoli, I Capitoli dei «Paciali» cit., pp. 11-24; cfr. F. Neri, I Capitoli dei «Paciali» del 1455 cit., pp. 231-251

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di misure punitive per scongiurare il ripetersi di simili disordini181. La volontà politica dell’autorità fiorentina poté a questo punto essere integralmente ridisegnata sopra l’influenza che i Medici esercitavano su Pistoia. Cosimo, dagli anni cinquanta del Quattrocento unico arbitro delle dinamiche di potere delle parti pistoiesi, vide nell’abolizione delle istituzioni bipartitiche la possibilità di governare direttamente la città attraverso la fitta rete clientelare ordita nei due decenni precedenti182. Il nuovo indirizzo politico inaugurato da Cosimo fu portato a perfezione in epoca laurenziana, quando il Magnifico riuscì a diventare tutore unico e patrono diretto dell’intera comunità pistoiese, elidendo sostanzialmente il ruolo e il potere delle parti.

Come ampiamente documentato dall’epistolario laurenziano183

, il Magnifico intrattenne rapporti con numerose famiglie pistoiesi, indipendentemente dagli schieramenti di fazione (Rossi, Ippoliti, Taviani, Melocchi, Panciatichi, Bracciolini e Cancellieri), e cercò sempre di favorire gli interessi dei ceti eminenti cittadini di contro a quelli degli abitanti delle comunità del contado184. Questa ‘inversione di tendenza’185 nelle relazioni tra Firenze e Pistoia si concretizzò nei fatti nella concessione di ampi privilegi (che peraltro perdureranno ancora nei successivi due secoli sotto i granduchi medicei), come una particolare autonomia dei pistoiesi da alcune magistrature fiorentine quali i Cinque del contado, i Conservatori delle leggi, i Regolatori delle entrate e uscite e gli Ufficiali di torre186. Lorenzo de’ Medici si dimostrò, inoltre, molto attivo come arbitro e pacificatore delle parti e dei contrasti tra le famiglie eminenti: nel 1471, ad esempio, grazie al suo intervento fu possibile sanare gli attriti tra Antonio Cancellieri, Niccolò Bracciolini e Lorenzo ed Angelo Della Stufa187.

Se è vero che, in epoca laurenziana, gli attriti e le frizioni tra le parti pistoiesi continuarono a coinvolgere ancora gli esponenti delle famiglie collegate alle fazioni, è interessante notare come il nuovo metodo di controllo degli antagonismi locali, portato a compimento dal monopolio patronale del Magnifico, contribuì a disinnescare ulteriormente i conflitti più profondi tra i capi delle grandi famiglie pistoiesi, i quali anzi

181

Ivi, 10, pp. 243-244; 13, pp. 244-245.

182

«Mentre la supremazia medicea all’interno di Firenze si era consolidata attraverso la sistematica manipolazione delle procedure elettorali cittadine, l’influenza della famiglia negli affari pistoiesi si era affermata attraverso l’uso del patronato come strumento di governo», S.J. Milner, Capitoli e clienti a

Pistoia cit., p. 407. 183

Cfr. S.J. Milner, Lorenzo and Pistoia cit., p. 238, nota n. 15.

184

Cfr. F. Neri, Società ed istituzioni cit., pp. 53-54.

185

Cfr. ivi, p. 54.

186

Cfr. W.J. Connell, Clientelismo e Stato territoriale cit., p. 540.

187

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venivano a dimostrarsi particolarmente uniti nel tentativo di essere reintrodotti negli uffici e di ottenere riduzioni fiscali. In occasione delle tre riforme delle modalità di accesso agli uffici pubblici (1474, 1477 e 1487), Panciatichi e Cancellieri cercarono in ogni modo, sempre senza successo, di essere riammessi alle cariche politiche sfruttando l’intercessione di Lorenzo de’ Medici188

. Il fatto, però, che l’intera comunità pistoiese si trovasse ora totalmente dipendente dalla volontà e dai maneggi del Magnifico, ebbe come conseguenza un nuovo e più critico indebolimento delle strutture istituzionali e degli assetti di governo, di modo che, venuto meno il ruolo centrale del potere mediceo dopo il 1494, le istituzioni pistoiesi si trovarono del tutto impreparate a fronteggiare l’inesorabile riaccendersi del conflitto di fazione (con manifesto concorso di colpa delle nuove strategie politiche del ceto dirigente fiorentino post 1494)189.

* * *

Come abbiamo visto nel precedente paragrafo, l’ascesa politica di Cosimo de’ Medici coincise, per la comunità di Volterra, con il ripristino della favorevoli condizioni di natura economica e giurisdizionale di cui la città godeva prima della rivolta contro il Catasto del 1429190. I solidi legami clientelari che, durante quella crisi, una parte del patriziato volterrano ebbe modo di stringere con Cosimo, dimostrarono la propria vitalità anche in occasione di una presunta congiura di cui si resero protagonisti, nel 1432, i fratelli Benedetto e Nanni Lisci, famiglia di provata fede medicea e imparentata con gli Inghirami191. Il tentativo di sollevazione contro lo stesso governo di Volterra, orchestrato da buona parte delle famiglie che ritroveremo coinvolte nel fronte filomediceo durante i fatti del 1472, aveva come obiettivo polemico la connivenza dell’esecutivo volterrano con il regime filoalbizzesco fiorentino. Dietro la rivendicazione della libertà dal giogo fiorentino, si celava infatti la profonda ostilità

188

Cfr. F. Neri, Società ed istituzioni cit., p. 60.

189

Cfr. infra, cap. 4.

190

Ancora nella revisione degli statuti volterrani del 1464-1466, resasi necessaria per mettere ordine nella complessità della normativa statutaria che, nel corso dei decenni, era andata crescendo a dismisura alimentando problemi di interpretazione, incongruenze e contraddizioni, trovano riscontro gli ampi margini di autonomia di cui Volterra continuava a godere (nomina del podestà, controllo fiscale e giurisdizionale del contado, giurisdizione d’appello sulle sentenze del capitano di custodia, sindacato sugli ufficiali nominati sia dai volterrani che dai fiorentini). Cfr. ASCV, Statuti, G nera, 25, 7 febbraio 1464 – 29 dicembre 1466; cfr. Statuti volterrani cit.; cfr. E. Insabato, S. Pieri, Il controllo del territorio cit., pp. 180-181.

191

Cfr. ivi, pp. 193-195; cfr. G. Pilastri, Una congiura a Volterra nel 1432, «Rassegna Volterrana», IX (1938), pp. 1-35.

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nutrita da una parte dell’élite volterrana (quella filomedicea) contro la feroce politica antimedicea condotta dal ceto dirigente fiorentino, politica che di lì a poco avrebbe portato all’esilio di Cosimo.

La congiura rappresentava, perciò, il replicarsi su scala locale del conflitto che in quel momento stava imperversando in Firenze: lo schieramento filomediceo volterrano, minacciando direttamente le istituzioni della propria città, dimostrava di nutrire una superiore fedeltà nei confronti della causa medicea e del destino di Cosimo192. Non desta quindi stupore il fatto che, dopo il trionfale ritorno in Firenze di quest’ultimo nel 1434, tutta la comunità volterrana – e ovviamente in misura maggiore quelle famiglie che avevano dimostrato maggior attaccamento alle fortune dei Medici – potesse tornare a godere di quei privilegi economici e giuridici di cui aveva goduto fino al tempo della crisi del Catasto.

Certo è, comunque, che dovessero permanere anche non trascurabili differenze tra le condizioni e i trattamenti riservati da Cosimo ai suoi fedeli clienti, e quelli dovuti e dispensati agli esponenti di quelle famiglie che avevano mostrato maggior vicinanza alla parte albizzesca. È indubbio che gli Inghirami, i Lisci, i Sighieri, i Barlettani, i Riccobaldi ecc. (e più in generale tutte quelle famiglie di cui Lorenzo cercherà di servirsi tra il 1471 e il 1472 per avere ragione delle resistenze che, a Volterra come a Firenze, minacciavano la sua ascesa politica193) furono capaci di ottenere ampi vantaggi dalla loro manifesta adesione al partito mediceo e dalla loro appartenenza alle reti clientelari cosimiane, vantaggi che, in termini di autorità e prestigio personale, non poterono che aumentare ulteriormente con Giovanni di Cosimo a partire dalla metà del XV secolo194.

192

«Questo episodio può essere ricollegato al prevalere, all’indomani dell’esilio di Cosimo, nella vita politica della dominante di un regime ostile ai Medici e ai loro sostenitori. […] Non è forse un caso dunque che alcune delle famiglie volterrane che si sarebbero poi annoverate tra le principali sostenitrici dei Medici, all’indomani del rientro di questi ultimi a Firenze, appaiano coinvolte in questa congiura: i Lisci, gli Inghirami, i Seghieri. Parte di queste stesse famiglie avrebbero poi dato vita, una volta consolidato il potere mediceo, ad una potente consorteria in cui gli Inghirami occuparono un ruolo sicuramente centrale», E. Insabato, S. Pieri, Il controllo del territorio cit., p. 193.

193

Cfr. infra, cap. 3.

194

«I legami personali tra Paolo di Antonio Inghirami e altri membri della locale classe dirigente con i Medici si fecero più forti in occasione di un soggiorno a Volterra di Giovanni di Cosimo, all’inizio dell’inverno del 1450. Questi presumibilmente era stato introdotto a frequentare la società volterrana dal suo antico precettore, ser Giovanni Cafferecci, […]. Secondo un uso abituale della sua famiglia, Giovanni dei Medici sostanziò il suo rapporto con gli amici volterrani con un reciproco scambio di favori: da parte sua egli cercò di ottenere vantaggi sotto il profilo economico – si ricorda che nella zona i Medici avevano cospicui allevamenti di bestiame – e politico, cercando soprattutto di ottenere per i suoi fedeli incarichi di prestigio nella amministrazione cittadina (cfr. ad esempio la risposta di Benedetto [Lisci] ad una

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Le famiglie filomedicee di Volterra giunsero presto, perciò, a costituire una vera e propria ‘consorteria’, stabilendo solide alleanze matrimoniali che contribuirono a cementare i rapporti tra gli Inghirami, i Lisci, i Minucci, i Barlettani e i Riccobaldi195. Il rafforzamento del fronte filomediceo volterrano non poteva, però, non incidere in maniera sostanziale sulle dinamiche e sugli equilibri degli antagonismi locali: insieme al prestigio e all’influenza esercitata dai suoi esponenti sulla vita politica di Volterra, possiamo immaginare che crescessero proporzionalmente anche gli attriti e i dissidi con l’altra parte del patriziato cittadino, quella parte che nelle vicende del 1471-1472 si schiererà apertamente contro l’ingerenza fiorentina e le manovre del Magnifico, in difesa della sovranità delle istituzioni volterrane sulla gestione del proprio territorio.

Anche durante il tentato golpe antimediceo del 1466, i membri più in vista delle famiglie filomedicee di Volterra (Paolo Inghirami, Romeo Barlettani, Bartolomeo Minucci e Giovanni Sighieri) ebbero modo di dare prova della loro fedeltà comunicando al vicario e ai consiglieri del castello di Montecatini Val di Cecina di mobilitarsi e accorrere in Firenze, con più gente che potessero, per esaudire la richiesta di Piero di Cosimo e recare ausilio alla causa medicea196. Paolo Inghirami (‘Pecorino’), che ritroveremo tra i protagonisti della crisi del 1471-1472, fu probabilmente il patrizio volterrano che riuscì ad ottenere, in cambio della sua indefessa fedeltà, le maggiori remunerazioni in termini di autorità e prestigio personale: nel 1464 fu tra i riformatori e i priori; nel 1466-1467 fu ambasciatore a Firenze per interloquire direttamente con Piero e con Lorenzo197.

L’anonimo autore della Cronichetta Volterrana198

, che già si era dimostrato solerte nel mettere in evidenza la fedeltà dell’intera comunità di Volterra nei confronti della Signoria di Firenze (con buona probabilità il suo essere filomediceo, ancor prima che filofiorentino, lo aveva portato a generalizzare alquanto i rapporti clientelari tra parte dell’aristocrazia volterrana e fronte filomediceo fiorentino), specie in occasione dei

raccomandazione di Giovanni per la carica di podestà: ASF, MAP, 6, 776, 6 dicembre 1460)», E. Insabato, S. Pieri, Il controllo del territorio cit., pp. 194-195.

195

Cfr. ivi, pp. 193-194.

196

Cfr. ASF, MAP, LXVIII, 72, lettera del primo settembre 1466; cfr. R. Fubini, Excursus II cit., p. 548.

197

Cfr. ASCV, B nera, 2, c. 37v (12 maggio 1466) e c. 39v (2 marzo 1467). Cfr. E. Insabato, S. Pieri, Il

controllo del territorio cit., p. 195. 198

«[…] testimonianza di una trama di relazioni, sostanziate da piaceri scambievoli, tra la famiglia Medici e la classe dirigente volterrana. Di questo rapporto la cronaca mette in evidenza l’aspetto pubblico, quello delle relazioni intercorrenti tra i due governi, soprattutto in casi di particolare gravità. Dietro a questa facciata tuttavia si muovono precisi interessi, si intravedono legami di amicizia e di affari, un rapporto privilegiato che si è instaurato nel tempo tra gruppi familiari volterrani e fiorentini, e che merita di essere indagato nella sua concretezza», ivi, p. 186.

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conflitti con la Milano viscontea nel 1440, con Alfonso d’Aragona nel 1447 e con Ferdinando duca di Calabria nel 1452199, tornava a rimarcare come durante la crisi del 1466 i volterrani accorressero con prontezza in aiuto di Piero de’ Medici, per mostrare tutta la loro gratitudine a chi da lungo tempo li aveva sempre beneficiati200. Preme tuttavia, anche in questo caso, notare come il tono apologetico dell’anonimo cronista volterrano tenda a semplificare e generalizzare una situazione sicuramente più complessa e articolata, se si pensa che soltanto sei anni più tardi il Magnifico diventerà il principale sostenitore della necessità di una guerra contro la città di Volterra.

Sul fronte aretino, d’altra parte, se è vero che nei primi anni della sua ascesa politica Cosimo de’ Medici non si dimostrò eccessivamente interessato ad estendere la propria

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