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Dallo scontro armato alla guerra civile: le responsabilità della classe politica fiorentina e l’escalation del conflitto

territoriale e di sottomissione a Firenze

4. La guerra civile pistoiese del 1499-1502: la crisi del sistema di potere mediceo e i nuovi assetti politici dell’oligarchia fiorentina

4.4 Dallo scontro armato alla guerra civile: le responsabilità della classe politica fiorentina e l’escalation del conflitto

In una lettera del 3 gennaio 1500 i membri della nuova Signoria, entrata in carica all’inizio dell’anno, si rivolgevano ai commissari Pazzi e Soderini per lodarli della loro opera di mediazione che sembrava aver incontrato anche il favore del Gonfaloniere e dei Priori di Pistoia94, esortandoli a calmare gli animi e a vigilare sui possibili

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«A Dio piaccia che l’abia fine: se Lui non ci ripara gli uomini ci possono male riparare; tanto è scorso in là la cosa che solo Idio ci può rimediare. A me incresce della disfactione di sì bella terra quanto Pistoia; e esser questa da maligni e dispectosi ciptadini guasta, indegnamente nati in questa», Ricordi storici di

Francesco Ricciardi cit., p. 87. «[…] non vi era più chi temesse la Giustizia Divina, e molto meno

l’umana, e spargendosi per la pianura, e per la Montagna queste maledette fazioni, altro non si udivano, che risse, tradimenti, incendi, e uccisioni», J.M. Fioravanti, Memorie storiche cit., p. 379.

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ASF, Signori, Carteggi, Missive II Cancelleria, 21, c. 151v, lettera patente dei Signori a Piero Soderini e Guglielmo de’ Pazzi del 24 dicembre 1499: «Patentes a Guglielmo de’ Pacti et Piero Soderini Commissariis, xxiiij decembris 1499. Confidando assai ne le virtù del Magnifico et dilecto nostro cittadino Guglielmo de’ Pazi, lo habbiamo insieme co’ nostrj venerabili Collegi et spectabili virj di guardia et balìa electo et deputato Commissario nella nostra città di Pistoia et suo contado et distrecto ad examinare, decidere et comporre qualunche controversia et simultà fussi nata per alcuna cagione o per lo advenire nascessi in decta città, o suo contado et distrecto, et a punire qualunque di alcuno scandolo o homicidio fussi suto o capo o executore o per lo advenire fussi, ne le quali cose o in altra che spectassi a la salute et quiete di quella città imponiamo li prestiate non altrimenti obedienza, che se proprio el magistrato nostro presentialmente vi comandasse. Valete».

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Cfr. Consulte e pratiche della Repubblica fiorentina cit., I, pp. 280-285, pratica n. 127 del 6 gennaio 1500.

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«[…] non habbiamo voluto omettere di commendarvene et laudarvene assay: perché nessuna cosa ha causato come voi prudentissimamente replicasti la dilatione del iudicare le cose loro, quanto el troppo amore portiamo, come habbiamo sempre portato, ad cotesta città et a ciascuno de’ suoi cittadini», ASF,

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«scandoli» e disordini95. Secondo quanto affermato dai commissari e dagli stessi Signori, le autorità fiorentine non erano ancora intervenute in modo decisivo negli affari pistoiesi proprio a causa dell’eccessivo «amore» che avevano da sempre nutrito per la città di Pistoia e per tutti i suoi abitanti. Gli ultimi, tragici sviluppi della lotta di parte, però, e la volontà, manifestata dagli stessi pistoiesi, che fosse trovata una soluzione definitiva all’odio e alla violenza che minacciavano di distruggere l’intera città96

, dovevano necessariamente spingere la classe politica fiorentina a prendere i debiti provvedimenti e a imporre, in qualche modo, una risoluta opera di pacificazione.

Soltanto tre giorni dopo97, i Signori esprimevano in una loro missiva la necessità di procedere ad un «iuditio» che scongiurasse ulteriori disordini, riferendosi, con buona probabilità, al fatto che i colpevoli dell’omicidio di Salimbene Panciatichi non fossero ancora stati giudicati (come suggerito anche dal Vassellini) e che non fossero stati presi provvedimenti per evitare una nuova, violenta deriva del conflitto di fazione98. Vista, infatti, la menzione di una «pratica di prudenti et amorevoli cittadini et affectionati ad questa et ad cotesta città», si può supporre che tale «iudicio» dovesse riguardare una serie più ampia di misure che le autorità fiorentine ritenevano necessario dover varare per porre fine, una volta per tutte, allo scontro tra le parti pistoiesi.

Nonostante questi proclami, nei verbali delle Consulte fiorentine troviamo soltanto due riferimenti alla situazione di Pistoia, almeno fino alla vera svolta della crisi costituita, nell’agosto del 1500, dalla cacciata dei Panciatichi e dalla presa del potere da

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«Conoscendo noy quanto voi siate et prudenti et pratichi ne le cose della importantia è questa, non vi discorrereno altrimenti di quale inportanza ci parvono le parole vi furono usate dal ghonfaloniere et che termini voy dobbiate usare in mitigare et mollificare li animi loro, et così con quale diligentia veghiate li andamenti di epsi con riparare alli scandoli che fussino per surgere», ivi, c. 157r.

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«Ma poy che gli è sequito questo ultimo caso et che si vede loro desiderare venire al taglio, crediamo non passerà molti dì che di questo loro desiderio fieno satisfacti secondo che e’ commissarij ci affermono; et noy aciò questo segua ne fareno ogni opera: et di tanto potrete fare fede a le Magnificentie loro», ivi, cc. 156v-157r.

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Cfr. ivi, cc. 158v-159r, lettera dei Signori ai commissari di Pistoia del 6 gennaio 1500.

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«[…] perché scandolo non segua, ingegnandoci torre via la cagione che è secondo voi per non essere sequitato el iuditio etc. Et per satisfare più a la coscienza et debito nostro havemo subito dopo la ricevuta delle vostre a noi et a’ Commissarij deputati sopra tale expeditione, et con quelle più efficaci parole ne occorsono lo stringemo et gravamo dovessino tagliare questa cosa, mostrandone e’ periculi che pendevono de la dilatione. Ci risposono essere prompti né mancho desiderare di posarli di noy, ma che si trovavono inter aquam et ignem, per vedere etiam non minori pericoli nel iudicare quando o e’ non fussi el iuditio recto, o e’ non fussi acceptato; si che non tanto era loro necessario pensare di iudicare ma come e’ dovessino iudicare, […]. Ne crediamo ad nessun modo passi domani che il iudicio fia dato, el quale non solum fia de sensu commissionum ma examinato et ponderato da una pratica di prudenti et amorevoli cittadini et affectionati ad questa et ad cotesta città, la quale sententia doverrà posare cotestoro, chi per amore et chi per forza, come suole adivenire di tutti e’ iudicij, et voy non mancherete confortarli ad questo con la solita circumspectione vostra», ivi, c. 159r.

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parte dei Cancellieri. In data 6 gennaio possiamo registrare soltanto due brevissimi interventi di Giovanpaolo Biliotti e Giovanni Benizzi99: il primo consigliava di usare ‘prudenza’ con i pistoiesi, dato che questi ultimi erano «huomini che si hanno più colle dolcezze che in altro modo»100; il secondo, invece, propendeva per un intervento che riportasse l’ordine e la pace. In una riunione successiva del primo aprile 1500101

alcuni dei principali ‘fautori’ fiorentini delle parti pistoiesi mostravano una certa omogeneità di vedute nel consigliare che si intervenisse finalmente in modo deciso: Guidantonio Vespucci, fautore dei Cancellieri, riteneva opportuno impiegare almeno otto giorni per riportare l’ordine in Pistoia102

; Piero Soderini, fautore dei Panciatichi, lodando la ‘prudenza’ con cui erano state fino ad allora trattate le cose pistoiesi, esortava alla necessità di provvedervi stanziando denari pubblici, dal momento che i commissari straordinari inviati a Pistoia avevano sempre denunciato la loro impossibilità ad agire in maniera risoluta a causa della totale mancanza di risorse finanziarie103.

Un tema fondamentale, quello della costante penuria di denaro pubblico nelle casse dello stato fiorentino, che ritroveremo durante gli anni della guerra civile pistoiese (e della rivolta di Arezzo) saldamente intrecciato all’emergenza politica costituita dalla necessità di una riforma sostanziale del reggimento fiorentino (culminata nel settembre del 1502 con l’istituzione del gonfalonierato perpetuo)104

. Alle prese di posizione degli ottimati fiorentini riuniti nelle consulte non avevano, però, fatto seguito reali interventi risolutori delle autorità della dominante, così che le violenze e i disordini tra le fazioni pistoiesi sembravano non potersi arrestare. Il 29 aprile 1500, in seguito al ferimento di uno dei capi della parte cancelliera105, Cesare di Giovanpiero di maestro Michele, questi e il suo assalitore, Bartolomeo Cellesi, furono banditi dalla città di Pistoia, dove, alla

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Cfr. Consulte e pratiche della Repubblica fiorentina cit., I, pratica n. 127 del 6 gennaio 1500, p. 283.

100

Ibid., p. 283.

101

Cfr. ivi, pratica n. 151, pp. 328-331.

102

«Quanto alle cose di Pistoia, che sarebbe buona opera mettere 8 giorni di tempo per assettarle; et non potendo a uno tracto in tucto, im pezzi, et rompere il diaccio, etc.», ivi, p. 329.

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«Quanto alle cose di Pistoia, monstrò che chi le ha governate sino a qui l’ha facto prudentemente; ma lo essere intrigate et di mala natura et inveterate, et causòvi morte di 16 o 18 homini, ha facto non si sono potute assettare. Et narrò più difficultà et strectezza del danaio dello Officio che ne ha cura, et che a’ commissarii vi sono stati non si è mai dato un soldo, etc», ivi, p. 331.

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Cfr. infra, paragrafi successivi, passim. Cfr. Consulte e pratiche della Repubblica fiorentina cit., I-II, pp. 426-837, passim.

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fine del mese successivo, giunsero i nuovi commissari Antonio Del Vigna e Giuliano Salviati106.

A complicare ulteriormente la già delicata situazione pistoiese si aggiunse, nell’estate del 1500, la presenza di truppe guasconi che, provenienti dal campo dell’esercito francese presso Pisa (in aiuto dei fiorentini per la riconquista della città), avevano sconfinato nel Pistoiese arrecando ingenti danni alle comunità della Valdinievole107. L’allora capitano di custodia di Pistoia, Antonio Paganelli, comunicava così alla Signoria la necessità di fornire a lui e ai commissari ulteriori strumenti (milizie e denari), sia per affrontare l’emergenza dei guasconi che per mantenere l’ordine tra le fazioni pistoiesi108. La minaccia costituita dalle scorribande delle milizie guasconi e il timore che i lucchesi potessero approfittare della situazione, per recar danno alla repubblica fiorentina, avevano messo in allarme sia le terre della Valdinievole, come Pescia, sia la stessa Pistoia. I pistoiesi comunque, di là dalle divisioni interne e dalle lotte di parte, avevano dato prova di fedeltà a Firenze, accettando di inviare genti armate in aiuto delle comunità circostanti109.

La svolta decisiva nella escalation della crisi pistoiese avvenne intorno alla metà del mese di agosto. Il giorno 11, stando a quanto riportato dal Ricciardi, due dei principali esponenti della parte cancelliera che erano stati banditi da Pistoia e vi erano rientrati nottetempo, Cesare di Giovanpiero e Giuliano Dragucci suo nipote, insieme con molti

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Cfr. ivi, p. 91. Cfr. ASF, Signori, Carteggi, Missive II Cancelleria, 22, c. 75r, lettera patente dei Signori del 30 maggio 1500.

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«Noi crediamo che tu Antonio sarai partito per alla montagna et per exequire quanto per una nostra di questo giorno habbiamo commisso [c. 141r, mandare contro i guasconi in Valdinievole e nel Pistoiese tutte le forze a disposizione del capitanato della Montagna], se non, fallo subito. Preterea pensando che a non volere ricevere in Valdinevole danno et vergogna bisogna fare provisione presta, voliamo alla ricevuta mandiate il bargello a Pescia con tutta la sua compagnia di balestrieri et fanti, et facci quanto da Antonio Canigianj [vicario di Pescia] qui li sarà commisso», ivi, c. 141v, lettera dei Signori ai commissari di Pistoia, Antonio Del Vigna e Giuliano Salviati, del 10 luglio 1500.

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«Signori miei questi Pistolesi questa mattina et largamente hanno vinto si facci 150 fanti, quali questi commissari dicono fargli per tutto di oggi, et qui è Lodovico Poschi venuto questa mattina da Pescia et domanda sochorso dubitando che e’ guaschoni cholle spalle de’ Luchesi a questa hora non sieno in quella parte, il che, quando subcedessi, Pescia et gli altri luogi circhustanti non sono per obstare a tanto numero, et di qui non sono per havere altro ajuto che quello è ordinato. [...] Ma seguendo che la Valdinievole patisse, bisognia che di costì venga maggiore subventione che quella si può dare loro di qui: perché questa ciptà non è da sfornilla per tucti casi che potessino subcedere, a che le vostre Signorie non dubito punto habino a porgere quegli rimedij quali si convengono alla degnità di cotesto seggio alla conservatione de’ vostri fedeli», ASF, Signori, Carteggi, Responsive originali, 16, c. 132r, lettera ai Signori del 10 luglio 1500.

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«Qui pe’ commisari et noi s’usa ogni diligentia di fare tucte quelle cose che ricerchorono tenere bene disposti questi ciptadini, che in verità, fuori delle passione et diferentie loro, mai hanno dinegato quello s’è domandato loro in nome delle vostre Signorie, ma con pronto animo et liberalmente hanno servito», ivi, c. 159r, lettera ai Signori del capitano di Pistoia dell’11 luglio 1500.

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altri aderenti della loro fazione corsero la terra e assalirono, nelle case nuove dell’Opera di San Jacopo e nella chiesa di S. Maria del Giglio, i loro nemici Panciatichi, uccidendo Bernardino di Filippo Gai e ferendo Conte di Rigolo Bisconti110. Secondo il Vassellini, sempre critico con l’operato delle autorità fiorentine, il principale responsabile delle nuove violenze era stato proprio il commissario Antonio Del Vigna, artefice della petizione che avrebbe dovuto consentire a tutti i fuoriusciti di rientrare in città e avere condonate tutte le pene per i delitti commessi111. Il conflitto armato tornò ad infiammare le vie cittadine ponendo nuovamente il ceto politico fiorentino di fronte al problema dell’intervento e della possibile soluzione della lotta di fazione112

.

La prima opzione al vaglio delle autorità fiorentine si concretizzò con la decisione di inviare in Pistoia un conestabile, Ciriaco dal Borgo, il quale avrebbe dovuto porsi al comando di una milizia armata di circa duecento uomini113. Il 15 agosto la Signoria dava comunicazione ai Priori di Pistoia dell’invio del capitano militare, tornando a ribadire la volontà di riportare all’ordine la città: per fare questo, però, era necessario ricordare agli uomini delle istituzioni pistoiesi che essi continuassero comunque a vigilare e profondessero ogni sforzo per quietare gli animi e favorire il processo di pacificazione114. Il tono della missiva appariva improntato a mettere in risalto l’amore

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Cfr. Ricordi storici di Francesco Ricciardi cit., pp. 93-94; cfr. J.M. Fioravanti, Memorie storiche cit., p. 380.

111

«O tempi, o costumi! La medesima mattina, i prefati sbanditi postisi in aguato, come se le commesse sceleratezze lor fossero modeste, e come ricordevoli di si fatto benefitio machinarono nel uscir di Palazzo di ammazzare tutti i principali de’ Panciatichi, i quali consigliavano, e provedevano a casi della Republica, […] gli sbanditi come rapacissimi dragoni a furia uscirono fuora, aggirandosi per la città», F. Vassellini, Narratio de calamitatibus cit., p. 131.

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«Et piue quando intrò dentro li sbanditi el li uomini del piano e de la montagna ispezorno le porte de la citae di Pistoia, perché e’ rectori no volevano dà’ loro le chiavi: et fue da sera, e ci era raunato fra l’una parte e l’atra da diecjmila persone d’arme sanza quela che sa ispetta. Idio ci ripari: se ’li è per lo me’ de l’anima nostra, adjo povera Pistoia», Ricordi storici di Francesco Ricciardi cit., p. 94. Cfr. J.M. Fioravanti, Memorie storiche cit., p. 381.

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«Di questa fia aportatore lo strenuo Cavaliere et comestabile messer Chriacho del Borgho, il quale mandiamo costì perché e’ facci 200 compagni et possiate valervi de la opera sua in coteste occorrentie. Habbiamoli dato 200 ducati per questo effecto. […] Curate scriva gente di qualità, la spexa se ne fa non sia inutile et ricordiamvi, benché sia ad noi superfluo, non manchiate in coteste cose della nostra solita diligentia et presentia per sedare le turbulentie di cotesta città, che vi doverrà essere facile con le forze vi troverrete», ASF, Signori, Carteggi, Missive II Cancellieria, 23, c. 47v, lettera dei Signori ai commissari di Pistoia, Antonio Del Vigna e Giuliano Salviati, del 13 agosto 1500.

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«Noi di coteste vostre parte, inimicitie et disordinj ne sequono a la giornata non potremo in questo mondo havere maggiore dispiacere, perché amando cotesta città inanzi ad ogni altro popolo o terra che dependa da noy, di ogni cosa che perturbi la pace, quiete et vivere vostro, è forza ci sia (come è) oltreadmodo molesto. Et per questo vi potete persuadere che noi non habbiamo ad mancare di opera né diligentia alcuna per porvi oportuno remedio […]. Noi adunche ad tale effecto habbiamo mandato di costà messer Chriacho dal Borgho con 250 provigionati, et così siamo per farvi ogni altra provixione ci ricorderete et che per noi medesimi iudichereno facci al soprascripto effecto. Resta, vi confortiamo, a trovarvi spesso con li nostri commissarij di costà, ricordare quello vi va per la mente et da ogni banda

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‘paterno’ che la dominante aveva sempre nutrito nei confronti della comunità più importante e cara dell’intero stato territoriale, così come a convincere i diletti sudditi pistoiesi a imparare a vivere in pace e in armonia, per potersi finalmente godere tutte le buone cose e i favori che Dio aveva loro concesso.

La presenza in città del conestabile Ciriaco dal Borgo consentì di giungere ad una tregua che ebbe, però, durata molto breve e di fatto permise ai combattenti di entrambe le fazioni di riorganizzarsi per lo scontro decisivo115. Il Vassellini ritiene addirittura che l’intervento del capitano d’arme al soldo dei fiorentini non servisse ad altro che a far riguadagnare terreno in città ai Cancellieri, dal momento che i Panciatichi sembravano ormai destinati a imporsi sui propri avversari116. In realtà, come notato giustamente da William Connell117, erano stati gli stessi fautori fiorentini dei Cancellieri a richiedere, nelle riunioni delle Consulte svoltesi nel mese di agosto, che si ponesse rimedio ai casi di Pistoia anche e soprattutto attraverso l’invio di un contingente armato, mentre i fautori dei Panciatichi sembravano maggiormente inclini a sostenere un intervento di tipo ‘istituzionale’118

.

L’imposizione della tregua, come denunciato aspramente dal Vassellini, consentì in effetti alla parte cancelliera di ricevere aiuti dal Bolognese: il 15 agosto Camillo Tonti condusse in città cento uomini inviati dal Bentivoglio, mentre il giorno successivo giunse Giovanni Maria di Chiarito Cancellieri con «sedici de primi giovani proprio di

adiutare il bene, et che cotesti animi si mitighino et si disponghino una volta ad voler vivere in amore et unione, perché chi non ha la pace in questa vita non può godere cosa alcuna che habbi. Cotesta vostra città ha tali conditioni che sono poche quelle a le quali, in Italia et fuori de Italia, habbi da havere invidia: confortianvi adunche ad essere operatori che sieno bene conosciute et che si provino modi che voi medesimi non vi togliate la gratia et buono essere che nostro signore Dio vi ha dato», ivi, cc. 31v-32r, lettera dei Signori ai Priori e al Gonfaloniere di Pistoia del 15 agosto 1500.

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Cfr. Ricordi storici di Francesco Ricciardi cit., p. 95.

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«[…] Ciriaco del Borgo a S. Sepolcro, Cap.no di fanteria, essendo huomo partigiano, e fattioso simulando di guardar la Città per il dominio fiorentino concorse ancora con suoi soldati, favorendo non di meno, et accostandosi alla fation’ Cancelliera costui per comandamento et ordine del Commissario et propria autorità trattò, che si facesse tregua per tre dì, essendo, che in detto spazio di tempo calavano giù gente di Bologna in soccorso dei Cancellieri, la qual tregua contro al parer d’alcuni fu dai Panciatichi accettata, non havendo essi notizia delle genti, che venivano in aiuto della fation contraria», F. Vassellini,

Narratio de calamitatibus cit., p. 132. 117

Cfr. W.J. Connell, «I fautori delle parti» cit., pp.138-139.

118

Cfr. Consulte e pratiche della Repubblica fiorentina cit., I, pp. 426-427, pratica n. 194 del 3 agosto 1500; pp. 430-432, pratica n. 197 del 14 agosto 1500. Questo il parere di Guidantonio Vespucci: «Quanto a Pistoia, che quella terra si voti di forestieri; et che fra loro si faccia iustitia, et punire chi erra; et mettere taglia drieto a quelli che hanno facto ultimamente lo insulto, in modo che in luogho alcuno non si tenessino sicuri; et farla pagare a’ Pistolesi medesimi», ivi, p. 432. D’altra parte Piero Soderini, fautore della parte panciatica, pur appoggiando la proposta dell’invio di un contingente armato, affermava che «il vero modo ad posare quella città sarebbe che la Signoria, Collegi et li Octanta pigliassino auctorità dal Consiglio Maggiore di potere mandare per uno anno là Capitano et Podestà, et levare via tanti commissarii et altri, perché ha provato et visto in facto che tanti nuocono», ibid., p. 432.

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Bolonia», annunciando inoltre che sarebbe in breve tempo arrivato a Pistoia anche Giampiero di Ranuccio, governatore di messer Annibale Bentivoglio119. A questo punto, secondo il racconto del Ricciardi, anche i Panciatichi si videro costretti a rinserrare i ranghi per non soccombere alla maggiore disponibilità di forze ostentata dalla parte

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