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La guerra e il sacco di Volterra: le basi dell’egemonia laurenziana

territoriale e di sottomissione a Firenze

3. La guerra di Volterra del 1472: l’affermazione dell’egemonia laurenziana

3.5 La guerra e il sacco di Volterra: le basi dell’egemonia laurenziana

Il primo e più importante provvedimento deciso dalla Balìa dei Venti fu lo stanziamento di centomila fiorini, presi dal Monte del comune di Firenze, per finanziare le operazioni belliche dell’impresa di Volterra162

. Nel frattempo, ai primi di maggio, erano stati inviati i cavalieri fiorentini («equites») Antonio Ridolfi, Piero Minerbetti, Giovanni Canigiani ed Agnolo Della Stufa, insieme con il cancelliere Bartolomeo Scala, a porgere i saluti ufficiali della repubblica fiorentina a Federico da Montefeltro, duca di Urbino, il quale si stava accingendo a prendere il comando della campagna contro Volterra163.

La presenza del duca di Urbino a capo degli eserciti al soldo di Firenze, come notato poco sopra, era stata una delle ragioni principali che avevano convinto Lorenzo ad optare per il conflitto armato. In realtà, era stata proprio l’abilità diplomatica del Magnifico a garantire a Firenze il supporto politico e militare degli altri potentati della penisola164. Nel momento in cui i volterrani erano stati messi di fronte all’ineluttabilità della guerra ed erano perciò stati costretti a cercare alleanze in funzione difensiva165, avevano ben presto compreso che il Magnifico, con grande sagacia politica, aveva creato il vuoto attorno alla loro causa: nessuno degli altri stati italiani avrebbe offerto aiuto a Volterra per non turbare il fragile equilibrio geopolitico della penisola italica166. Il fatto che Lorenzo riuscisse persino ad ottenere i servigi di Federico da Montefeltro,

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«La vicenda dell’allumiera di Volterra si dilata dunque in una lotta di potere tra fazioni e gruppi costituiti, secondo la tendenza al riprodursi su scala provinciale del sistema centrale del potere mediceo», R. Fubini, Lorenzo de’ Medici e Volterra cit., pp. 136-137.

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ASF, Capitoli, registri, 61 cit., cc. 1v-3r, provvisione approvata nei Consigli del Popolo, del Comune e del Cento il 21, 22, e 23 maggio 1472: «[…] per la impresa di Volterra, per ridurla ad obedientia della comunità di Firenze come richiede lo honore della città», ivi, c. 1v.

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«Giustificherete la impresa contro a Voltera in quel modo che sapete di che siete bene informati, et monstrate questa nostra deliberatione necessaria per lo honore della nostra città, il quale hanno vilipeso et fattone pochissimo conto», ASF, Balìe, 34, c. 7r.

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Cfr. E. Fiumi, L’impresa di Lorenzo cit., pp. 122-123.

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Il cronista anonimo afferma che i Dieci di Volterra, i «congiurati», avevano cercato di dare la loro città a Ferdinando d’Aragona, offrendola persino a «molti ribelli cittadini Fiorentini», ossia esuli e dissidenti antimedicei, cfr. Cronichetta Volterrana cit., pp. 330-331.

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«Le istruzioni che i Venti davano agli ambasciatori accreditati alle corti italiane miravano a ridurre le proporzioni del conflitto, il quale, se considerato inevitabile per la ribellione dei volterrani, non doveva tuttavia esser ritenuto fonte di alcuna preoccupazione per Firenze», E. Fiumi, L’impresa di Lorenzo cit., pp. 122-123.

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allora al soldo del Regno di Napoli, e che Ferdinando d’Aragona lo rassicurasse personalmente che il Colleoni non sarebbe mai sceso in campo al fianco di Volterra167 (oltre ad avvertire per tempo i fiorentini che erano giunti a Napoli ambasciatori di Volterra per impetrare il suo aiuto168), dimostra quanto l’azione diplomatica del Magnifico si fosse rivelata efficace.

Una ulteriore ambasciata fiorentina al Signore di Piombino, Jacopo Appiani, condotta da Lorenzo Gualtierotti e dal conte Gherardo della Gherardesca169, vanificò i tentativi degli emissari volterrani anche su questo fronte. Soltanto Venezia venne incontro alle richieste di Volterra assicurando le prestazioni belliche di un piccolo contingente di truppe comandate da Giovanni Longo. Per quanto concerne Siena, nemica storica dei fiorentini, il Fiumi nota che anche in questo caso le trame del Magnifico avevano saputo portare dalla parte di Firenze la maggior parte del patriziato locale, grazie alla mediazione del Capacci170. Allo stesso modo la Santa Sede offriva alla causa fiorentina tutti gli aiuti necessari171.

Il 5 maggio 1472 tremila fanti al soldo dei fiorentini erano concentrati intorno a Colle di Val d’Elsa, e i Venti davano disposizione al commissario Jacopo Guicciardini di cominciare l’impresa senza perdere tempo, in modo da avere più «fructo» e non ricevere «né danno né vergogna»172. Prima che il duca di Urbino giungesse in Toscana, gli eserciti fiorentini occuparono diversi castelli in territorio volterrano (tra cui il castello di Pomarance, preso il 10 maggio 1472)173. L’otto di maggio i Venti avevano scritto ai volterrani manifestando dispiacere per i disagi e i danni da loro subiti, ricordando, però, che erano stati costretti ad agire in questo modo per riprendere la guardia della città, la quale spettava legittimamente ai fiorentini come sanzionato dai Capitoli ufficiali174.

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ASF, Balìe, 34, c. 3v, lettera a Buongianni Gianfigliazzi del 4 maggio 1472.

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Ivi, c. 38r, lettera ai commissari in campo del 5 giugno 1472. Cfr. E. Fiumi, L’impresa di Lorenzo cit., p. 124.

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ASF, Balìe, 34, c. 8r.

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«[…] ed è significativo il fatto che sulla porta dell’abitazione di alcuni autorevoli cittadini senesi, tra i quali proprio Andrea Capacci, gonfaloniere di Camollia e capitano del popolo, fossero trovati dipinti marzocchi e gigli», E. Fiumi, L’impresa di Lorenzo cit., p. 126.

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«El papa ne ha scritto uno brieve offerendo ogni cosa in favore nostro […]. Offerà tutte le genti di santa chiesa et noi bisognandone acceptereno qualche parte», ASF, Balìe, 34, c. 4r, 4 maggio 1472.

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Ivi, c. 5r.

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Ivi, c. 8r.

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«Questo vi diciamo in somma: che de’ danni et disagi vostri c’incresce et increscerà come a voi proprij, perché amiamo cotesta città et cotesto popolo come noi medesimi, ma siamo constretti difendere con voi le ragioni nostre et piglare la guardia della terra, che è nostra come voi sapete. Quando sarete con esso noi chi siate stati et chi dovete essere secondo le obligationi, non ci dimentichereno della nostra

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Oltre ai tremila fanti già schierati agli inizi di maggio, i fiorentini potevano contare anche sull’apporto di Jacopo della Sassetta, che partecipò con cento cavalli e cento fanti, di Antonello e Francesco da Prato con centocinquanta fanti, di Guido da Urbino con duecento fanti175, e di contingenti numericamente non definiti sotto il comando di altri capitani di ventura (Pietro Corso, Lodovico Corso, Bartolomeo da Modena, Guglielmo Tedesco, Matteo Langhiarino, Jacopo d’Anghiari, Bernardino da Todi, il marchese da Monte Santa Maria e Giovan Marco di Sicilia)176. Il papa inviò in Toscana cinque squadre di cavalli e cento fanti, oltre a 800 soldati a piedi e a cavallo, mentre da Milano giunsero quattrocento provvigionati e duecento scoppiettieri177. Federico da Montefeltro, sollecitato dai ringraziamenti e dalle raccomandazioni dei Venti178, raggiunse il campo il 14 maggio 1472.

L’indomani gli eserciti al soldo di Firenze occuparono i castelli di Querceto e di Montecatini Val di Cecina179 e, dopo aver preso anche Montegemoli180, attraversarono il fiume Cecina e giunsero a Mazzolla181. Potendo contare su di un contingente numericamente consistente182, laddove i volterrani disponevano al massimo di non più di 1.500 soldati di ventura183, le milizie fiorentine conclusero la loro veloce marcia verso le mura di Volterra già il 24 maggio 1472184. In questa occasione, dopo aver attaccato di sorpresa le pendici del colle, le truppe del Marzocco espugnarono tre fortezze, tra cui una bastìa situata di fronte alla porta a Selci, e fissarono il campo sotto le mura della fortezza cittadina dando inizio all’assedio. Il 31 maggio i Venti scrivevano

consuetudine d’amarvi et gratificarvi. Nella inobservantia vostra et suspitione contra ragione et contro al nostro honore sapete quello si conviene; ne noi di quello che si convenga pretermettereno alcuna cosa», ivi, c. 8r-v.

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Cfr. E. Fiumi, L’impresa di Lorenzo cit., p. 128.

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ASF, Balìe, 34, cc. 17r e 28r.

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Cfr. E. Fiumi, L’impresa di Lorenzo cit., p. 128.

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«Messer Giovanni et Messer Agnolo, tornati dalla vostra Illustrissima Signoria, riferiscono dello animo vostro, del vostro studio et affectione quello che anchora che prima per experientia delle cose passate lo intendessimo, niendimeno al presente ancora udirlo di loro ci a dato grandissimo piacere. Perché in questa impresa della defensione dello honore nostro co’ Volterrani ci s’è paruto molto necessario che siate di tale animo; habianci persuaso per cosa certa che non prima sarete in campo che la presentia della vostra Illustre Signoria, la vostra virtù et auctorità et reputatione ci darà desiderato effecto alla nostra impresa», ASF, Balìe, 34, c. 11v, lettera del 12 maggio 1472.

179 Ivi, c. 14r. 180 Ivi, c. 19r. 181 Ivi, c. 21r. 182

Il Fiumi ritiene che alla fine della guerra il fronte fiorentino, che era andato ingrossandosi sempre di più, avesse potuto contare su un totale di quasi diecimila fanti e duemila cavalli, così come riportato dal Machiavelli nelle Istorie. Cfr. E. Fiumi, L’impresa di Lorenzo cit., pp. 128-129; cfr. N. Machiavelli,

Istorie fiorentine cit., libro VII, cap. XXX, p. 685. 183

E. Fiumi, L’impresa di Lorenzo cit., p. 129.

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al duca di Milano per ringraziarlo caldamente dell’aiuto fornito e per ribadire ancora una volta la devozione e la profonda amicizia che avrebbero per sempre legato il popolo fiorentino agli Sforza185.

Tra gli esponenti più moderati del partito antimediceo volterrano, consapevoli della propria inferiorità sul piano militare e delle debolezze e divisioni interne del governo cittadino, cominciò a prevalere l’idea di accordarsi con gli assedianti per evitare almeno la rovina e la distruzione della città. In nome dei Dieci, Gabriele Riccobaldi e Piero Tani ottennero dal capitano Malegonnelle il salvacondotto per recarsi a trattare la possibile resa con il duca di Urbino186. I Venti, informati di questi contatti, scrivevano il primo giugno ai commissari in campo, manifestando dubbi sulla ‘buona volontà’ dei volterrani e ostentando fiducia unicamente nelle armi e nei soldati del Montefeltro187. Lo stesso giorno gli ambasciatori di Volterra si presentarono a Firenze, recapitando al Magnifico una lettera del Malegonnelle che cercava di indulgerlo alla comprensione188, e raccomandarono ai Signori e ai Venti la salute della città e la sicurezza degli uomini189. La Signoria fiorentina si dimostrò, perciò, molto soddisfatta della decisione presa dai volterrani, e li confortò ad avere fiducia nella ‘clemenza’ dei provvedimenti che essa avrebbe preso, una volta che gli ambasciatori fossero rientrati in Volterra ed avessero messo in atto le loro pacifiche proposte di resa190.

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«Ma questo non c’è paruto dovere pretermettere, et non lo fare noi con le lettere nostre, di rendervi gratie dello aiuto mandato in campo nostro contra i volterrani, quale subito che fu giunto ci parve et così parve a quelli di campo et al capitano et commissari nostri havere vinta quella città, non solamente per la reputatione che ne arebbe per lo aiuto delle V.I.S., ma ancora per la animosità et gaglarda che dimonstrano, che veramente paiono sforzeschi et mandati da voj. Havete fatto officio di vero et buono amico et di magnanimo et liberalissimo principe: noi lo ascriverreno a grandissimo beneficio et faremvene creditore in libro che durerà a’ nostri posteri. Le cose nostre non vi offeriamo altrimenti perché crediamo le stimiate vostre, come sono, et che sia superflua ogni altra oferta», ivi, c. 31v.

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Ivi, c. 32r. Cfr. E. Fiumi, L’impresa di Lorenzo cit., p. 131.

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«Stamani per le vostre intendemo quello era seguito della pratica co’ due ambasciatori volterranj. Habbiamo poca fede nelle loro parole, perché per quello che già molti mesi hanno fatto non meritano fede. La fede nostra è nella virtù di cotesto capitano et in coteste bombarde et coteste gentj: seguitate adunque con ogni studio et sollecitudine di sforzarlj come sempre ne havete data certa speranza potere fare; et, non di meno, se faranno quello che dicono sempre haremo a ricordo la vostra consuetudine et natura», ASF, Balìe, 34, c. 33v, lettera ai commissari in campo del primo giugno 1472.

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ASF, MAP, XXVIII, 32. Anche il vescovo degli Agli scriveva a Lorenzo rallegrandosi per la scelta dei volterrani, ivi, 198, lettera del 2 giugno 1472.

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ASF, Balìe, 34, c. 34r, lettera ai commissari in campo del 2 giugno 1472.

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«La risposta fu differita a questa mattina et siamo stati insieme co’ nostri Magnifici Signori, et havuti li ambasciatori volterrani è stato risposto havere havuta cara la loro venuta et spetialmente intendendo la dispositione di quel popolo, et confortatili ad havere una volta speranza et fede certa della clementia della Signoria, et costì ritornassino con presteza et mettessino ad executione questo loro principio, et che scriverreno costì al capitano et a voj et vi mandereno Iacopo Guicciardini, a’ quali commettereno in modo che seguendo eglino come è conveniente saranno ogni dì più contenti della loro deliberatione», ibid., c. 34r.

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In realtà, secondo quanto messo in evidenza da Fiumi, non era stato dichiarato in modo esplicito che i volterrani avrebbero dovuto capitolare e riconsegnare la città ai fiorentini: «fu genericamente consigliato loro di provare con i fatti le buone intenzioni, rimettendosi alla clemenza dei vincitori»191. In una lettera all’ambasciatore fiorentino in Roma, Bernardo Buongirolami, i Venti davano comunque per scontato che la proposta degli ambasciatori volterrani avrebbe ovviamente comportato la resa della città e la sua ‘libera’ consegna alle autorità fiorentine192

. Due giorni più tardi, il 4 giugno 1472, i commissari in campo comunicarono ai Venti che i volterrani non avevano ancora adempiuto alle loro promesse e consegnato loro la città193. La loro risposta fu decisa e perentoria: se gli abitanti di Volterra non avessero rispettato tali condizioni, l’uso della forza sarebbe stata l’unica opzione possibile, avendo cura però di risparmiare la città da un eventuale sacco194. Questa soluzione doveva apparire come la più ‘onorevole’, considerando anche che, laddove una vittoria sicura (ma ‘giusta’) delle milizie al soldo di Firenze avrebbe potuto evitare la distruzione e la rovina della città, il piegarsi alle richieste dei volterrani li avrebbe forse spinti a prendere animo e a continuare la loro ostinata resistenza.

Per questi motivi, i Venti scrivevano il 6 giugno ai volterrani (ricordando l’affetto e l’amicizia che aveva sempre legato i fiorentini alla loro città e dicendo che era stata la loro improvvida condotta a costringerli alla guerra195) e, lamentandosi che alle parole dei loro ambasciatori non erano poi seguiti i fatti, ‘consigliavano’ di dare ‘liberamente’ ai commissari in campo e al duca di Urbino la città, sé stessi e le loro cose, avendo fede

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E. Fiumi, L’impresa di Lorenzo cit., p. 132.

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«Hiersera a notte giunsono qui ambasciatori volterranj raccomandando la città loro et implorando la clementia del nostro popolo, dubitando della direptione della città non solamente da’ nostri ma da’ loro, et rimettendo liberamente nella Signoria et nello officio nostro la città et ogni loro cosa. Habbiamoli stamani rimandati indrieto dando loro speranza di riceverli a gratia quando faranno con effecto quello che con le parole hanno detto. Crediamo non prima giunti ne seguirà che la città sarà nelle nostre manj, perché stanno in grandissima extremità d’ogni cosa», ASF, Balìe, 34, c. 35r, lettera a Bernardo Buongirolami del 2 giugno 1472.

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Ivi, c. 37r.

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«Ma non essendo venuti ne dato la città secondo quella vostra ultima voluntà, crediamo sia più honorevole tornarsi alle forze, havendo nondimeno riguardo quanto si può, non ritardando punto la vittoria, che sia conservata il più che è possibile la città da sacco. Et crediamo che stando forti in sullo honorevole in modo sieno destituti da speranze non convenienti meglo si potrà soccorrere alla loro ultima disfactione et direptione della città, perché la speranza facilmente gli potrà condurre tanto oltre che sarà poi impossibile rimediare, maxime essendo il pericolo non meno dentro che di fuori, come ancora e’ loro ambasciadori dissono», ivi, c. 37v, lettera ai commissari in campo del 4 giugno 1472.

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nella misericordia e nella magnanimità del popolo fiorentino196. Il medesimo giorno i Venti esortavano comunque i commissari in campo a continuare senza sosta l’offensiva e l’assedio, almeno fino a che non fosse consegnata loro la città in seguito ad una resa incondizionata dei volterrani197.

Intanto, all’interno della mura di Volterra, la situazione si faceva sempre più difficile: gli scontri e le divisioni interne al fronte antimediceo cittadino erano aggravati dai tumulti sollevati dagli uomini del terziere inferiore, una plebe inferocita, aizzata ad arte da uno dei Dieci, Guiduccio di Nanni da Doccia, che incitava alla rivolta permanente contro ogni ipotesi di resa, paventando la sicura distruzione della loro contrada da parte degli assedianti198. Ad esacerbare ulteriormente gli animi, il 12 giugno 1472, fu l’esecuzione del fiorentino Giovanni Bartolini199

(lavoratore dell’allumiera del Sasso, rimasto in Volterra ospite del Malegonnelle), giustiziato dai volterrani in seguito all’accusa di spionaggio. I disordini interni ebbero alla fine il sopravvento sopra qualsiasi volontà di resistenza: il 14 giugno Lodovico Tignoselli (uno dei Dieci) e Gianni Incontri fuggirono da Volterra e si presentarono al campo dei fiorentini per il timore di rimanere uccisi nei tumulti che agitavano la loro città200, e, poco dopo, un messo dei Priori chiedeva ai commissari in campo il rilascio di un salvacondotto per

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«Nondimeno, perché con voi ci basta l’honore, c’è cara la dispositione vostra che dimonstrate per queste lettere, et acceptiamo l’honore che ci volete riferire il quale, perché non serve il tempo, voliamo che stimiate havercelo faccendo quello che per questa lettera vi commetereno. Adunche, se siate scrivete, alla havuta della presente senza indugio alcuno, perché così richiede il pericolo vostro, date la città et voi et le cose vostre liberamente nelle mani de’ nostri commissari et del nostro capitano; et noi scriverreno a lloro in modo che sarete contenti haver havuto fede in questa nostra lettera. Et quando per qualunche cagione fussj pure havessi piacere di mandare qui vostri ambasciatori, assicurate prima costì i commissari et el capitano predetti, in modo che siano certi che la città et le cose vostre si in nostra potestà, et poi liberamente verrete. Et noi sempre vi vedreno volentieri et sempre troverete in noi la fede vostra non essere stata in vano. Questi sono quelli modj che vi possono levare da’ pericolo nel quale siate ancora molto maggiore che non vi pare», ibid., c. 40r.

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«Se vi dessino la città et loro et le loro cose nelle manj liberamente le piglierete in nome nostro et harete riguardo che non sia in nissuna delle sopradecte cose facto danno. Volendo mandare qua imbasciadori, prima v’assicurete della città, delle loro cose o per via di statichi, quella quantità et di quella qualità che fusse honorevole o sicuro, o veramente ricevendo delle nostre genti dentro et mandando fuori delle loro tante che ne fussi ben sicuri, o in qualunche altro modo paresse a cotesto Ill. et Sapientissimo Capitano. […] Et nondimeno voi seguitate nello offendere continuamente senza alcuno riguardo et senza alcuno intervallo come se niente havessino scripto o noi risposto a lloro, se non quando havranno dato la città, le loro cose et le loro persone liberamente nelle vostre manj a discretione nostra», ivi, c. 40v, lettera ai commissari in campo del 6 giugno 1472.

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«Crebrae per urbem rixae, concurssationes, trepidationes erant duce Guiducio Nannis agricultore, quem maxime suburbana plebs sequebatur», A. Ivani da Sarzana, Historia de Volaterrana calamitate cit., p. 21. Cfr. E. Fiumi, L’impresa di Lorenzo cit., pp. 133-134; cfr. ASF, MAP, XXV, 186, lettera di Guiduccio di Nanni a Lorenzo del 27 luglio 1472, dal confino di Massa Marittima.

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ASF, Balìe, 34, c. 50v.

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quattro cittadini volterrani che sarebbero venuti a trattare la resa. Il 16 giugno 1472, nella chiesa di San Lazzaro, furono stipulati e sottoscritti i Capitoli della medesima201.

* * *

I Capitoli siglati tra il capitano delle milizie fiorentine, Federico da Montefeltro, e i commissari in campo Jacopo Guicciardini e Buongianni Gianfigliazzi, da una parte, e i Priori, Dieci, comune e popolo di Volterra, dall’altra, prevedevano come primo punto che fossero assicurate a tutti i volterrani (cittadini o contadini che fossero) la libertà e la sicurezza personale, e che fosse loro rimesso qualunque tipo di crimine o delitto commesso fino a quel giorno202. Tale remissione avrebbe dovuto riguardare sia pene personali che pene pecuniarie, di modo che nessun membro della comunità di Volterra «possa essere molestato per caxone de decti excessi ad alchuna pena reale o personale, quoquomodo directe vel indirecte»203. Tutti i volterrani avrebbero, inoltre, mantenuto il loro pieno e legittimo possesso sopra i propri beni mobili e immobili204. Fu poi solennemente promesso che tutti i soldati e i forestieri presenti in città sarebbero potuti partire «cum omne lor arme et robba, securamente et liberamente»205.

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