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Dalla guerra civile alla possibile ribellione: il fronte pistoiese e il pericolo dell’ingerenza straniera

territoriale e di sottomissione a Firenze

4. La guerra civile pistoiese del 1499-1502: la crisi del sistema di potere mediceo e i nuovi assetti politici dell’oligarchia fiorentina

4.6 Dalla guerra civile alla possibile ribellione: il fronte pistoiese e il pericolo dell’ingerenza straniera

Negli stessi giorni in cui venivano siglati in Firenze i Capitoli della pace tra le parti pistoiesi, gli eserciti del Valentino occupavano Faenza e minacciavano direttamente Firenzuola e la Romagna fiorentina207. Come ricordato poco sopra208, se in precedenza le autorità fiorentine avevano temuto che la parte panciatica potesse valersi dell’apporto delle milizie di Vitellozzo Vitelli, ora si sospettava che fossero i Cancellieri a trattare espressamente con Cesare Borgia, dal momento che il Bentivoglio (loro grande ‘fautore’) aveva siglato col Valentino un accordo teso a sostenere la sua possibile avanzata contro le forze fiorentine in campo per la difesa del territorio pistoiese209.

Le lettere inviate dai Dieci ai nuovi commissari di Pistoia, all’inizio del mese di maggio, testimoniano come il fantasma di una possibile ribellione della città, orchestrata dai Cancellieri e fomentata dalle milizie del Valentino, cominciava ora a impensierire pesantemente l’intera classe politica fiorentina. E, come se questo non fosse sufficiente, gli scambi epistolari tra Giovanni Ridolfi e Niccolò di Alessandro Machiavelli e gli organi della Signoria danno conto anche del perdurare in Pistoia di una difficile situazione interna210, dovuta principalmente al fatto che i commissari medesimi avrebbero ora dovuto portare ad esecuzione quanto contenuto nella lettera dei Capitoli

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«Sendo lo exercito del Duca Valentinese disobligo dalla impresa di Faenza, per esser quella pervenuta nelle mani sua, et conosciuto l’humore delli Orsini et Vitellj che sono in quello campo che potrebbeno essere invito il duca predicto fare qualche insulto a qualche luogo nostro; et sappiendo come Firenzuola è sfornita di presidio et exposta ad ogni insulto che quellj volessino tentare, ci è parso volendovi provedere scrivervj la presente et significarvj come noi desiderremo, quando e’ non fussi im preiuditio di coteste occorrentie, mandassi subito ad Firenzuola Cicalino da Volterra et Vitello dal Borgho con la loro compagnia per la guardia di quello luogo, non preiudicando come si è decto alle cose di costà», ASF,

Signori, Dieci di Balìa, Otto di Pratica cit., 47, c. 26r, lettera dei Dieci ai commissari generali di Pistoia,

Niccolò di Alessandro Machiavelli e Giovanni Ridolfi, del 29 aprile 1501.

208

Cfr. supra, p. 191, nota n. 192.

209

« Havendo noi adviso di luogho autentico come Messer Giovannj Bentivogli si è convenuto col Duca Valentinese et tra li altri capitoli si è obligato prestarli favore omni volta che lui volessi venire a’ danni vostri, et darli passo et vittuallie, et come dicto Valentinese si è deliberato venire subito ad fare insulto in qualche nostro luogho, et tra li altri disegni intendiamo essere questo di venirne per la via di Bruscoli ad Barberino et di qui alla volta di Prato. Et conoscendo noi li humori che sono nel campo del Valentinese siamo di opinione che questo potessi seguire. Et però ci è parso per huomo ad posta darvene notitia et imporvi che dal canto vostro facciate omni cosa per evitare uno subito insulto, ordinandovi ad diligente guardie et faccendo fare la nocte qualche scelta per non essere giunti allo improvisto, usando non di manco questo nostro adviso con tale prudentia che non dia costì sbigottimento extraordinariamente: ma disponga solum li huomini alla defensione conveniente quando cosa alcuna occorressi», ASF, Signori,

Dieci di Balìa, Otto di Pratica cit., 47, c. 17r, lettera dei Dieci ai commissari generali di Pistoia, Niccolò

di Alessandro Machiavelli e Giovanni Ridolfi, del primo maggio 1501.

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approvati alla fine del mese precedente. I commissari generali avevano però ricevuto copia degli stessi soltanto il 2 maggio211 e, ad ogni modo, alla prova dei fatti l’imposizione e l’attuazione delle nuove normative si saranno certamente rivelate ben più complesse di quanto previsto sulla carta. D’altra parte la nuova Signoria, entrata in carica proprio all’inizio del mese di maggio, dimostrava di essere interamente assorbita dagli eventi della Romagna e dai possibili movimenti delle truppe del Valentino212.

Il compito più arduo per i commissari di Pistoia sarebbe stato quello di consentire il rientro in città di tutti gli aderenti alla parte panciatica. Una volta che ciò si fosse dimostrato possibile e, soprattutto, non fossero seguite nuove violenze, le autorità fiorentine avrebbero potuto allentare la presa sul territorio pistoiese per concentrare la propria attenzione sui delicati fronti esterni della Romagna e del Pisano213. I Cancellieri non sembravano più godere dell’incondizionato favore della Signoria: i loro maneggi con il Bentivoglio e gli abboccamenti col duca Valentino avevano convinto il ceto dirigente fiorentino della necessità di intervenire duramente per stroncare ogni possibile velleità libertaria di quegli che ora, stante il dettato dei Capitoli della pace, non sarebbero dovuti rimanere gli unici padroni di Pistoia. Il processo di pacificazione delle parti sarebbe, perciò, dovuto passare (anche se fosse stato necessario l’uso della forza) attraverso il completo reintegro di tutti i Panciatichi nella vita cittadina, dal godimento di tutti i loro beni alla partecipazione agli uffici e alle magistrature in precedenza interamente occupati dai Cancellieri.

211

Ivi, c. 34r-v, lettera dei Signori ai commissari generali del 2 maggio 1501.

212

Ivi, c. 35r-v, lettera dei Signori ai commissari generali del 2 maggio 1501, precedente a quella di c. 34r-v.

213

«[…] haviamo consultato tucto co’ nostri venerabili Collegi: et demum dopo una matura consulta ci siamo risoluti che voi, postposta ogni cagione et ragione si potessi addurre in contrario, seguitiate nel dare intera expeditione a li capituli vi haviamo mandati, et così sanza differire rimetterete quelli Panciatichi che ne’ predetti capituli si dispone: Ne veggiamo che utilità si possa prendere nel tenerli fuora: ne che danno si possa trarre del metterli drento, perché voi sapete […] sempre noi non possiamo tenere costì tucte quelle forze vi havete, le quali come manchano et in cotesta terra si truovi una parte sola: si viene subito ad perdere la obbedienza di quella, come per lo adrieto si è visto per experienza et come se ne può dubitare per lo advenire, veggiendo che cotesti che sono drento non attendono se non a’ ttemporeggiare et passare tempo sanza concludere cosa che si addomandi loro […]. Et vi advertiamo ad non prestare fede ad parole vi sieno decte ne ad relationj vi sieno facte: ma vogliate essere in facto et vedere et tochare con mano, et apresso castigare li scandolosi et dare exemplo con chi lo merita agl’altrj che ubbidischino, et quando vi paressi fuora delli deputati da’ capituli mandarne qui qualcuno dell’una parte et dell’altra vi confortiamo ad farlo: purché chi ha a rientrare rientri et comincino socto la paura delle forze vostre ad vivere insieme et stare alla obedientia vostra», ivi, c. 38r-v, lettera dei Signori ai commissari generali del 4 maggio 1501.

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Ma, com’è ovvio supporre, questi ultimi tornarono presto a dimostrarsi piuttosto restii ad accettare quanto ordinato dalla Signoria, nonostante avessero prima approvato gli accordi per la cessazione delle ostilità. In questo senso, i contatti con Giovanni Bentivoglio e col Valentino avrebbero dovuto consentire ai Cancellieri di poter disporre di un tale numero di forze da rendere possibile una ferma opposizione ai decreti della dominante, giungendo forse persino a promuovere un’aperta ribellione contro Firenze o ad accettare di ‘darsi’ al Valentino, pur di mantenere il controllo di Pistoia ed escludere i loro acerrimi nemici dal governo cittadino214. La Signoria fu, così, costretta a prendere direttamente contatti con Cesare Borgia per sincerarsi delle sue intenzioni. Secondo quanto riportato dall’ambasciatore a lui inviato, Galeotto de’ Pazzi, il Valentino chiedeva soltanto di poter attraversare con il suo esercito il dominio fiorentino per recarsi a Roma, negando qualsiasi volontà di arrecare danno ai territori della repubblica215. Per andare incontro alle richieste di «passo» e «vectovaglia» formulate dal Borgia in relazione al suo esercito, la Signoria gli aveva nel frattempo inviato, in qualità di commissari e ambasciatori, Piero Soderini, Alamanno Salviati e Jacopo de’ Nerli216.

La delicata vicenda legata alle manovre degli eserciti del duca, complicata ulteriormente da quanto gli organi della Signoria avevano appreso circa i presunti movimenti di Piero de’ Medici, partito da Roma forte del sostegno di Orsini, Vitelli, Baglioni e, molto probabilmente, dello stesso Valentino e di Alessandro VI (di cui tratteremo più distesamente nel prossimo capitolo)217, veniva per il momento a concludersi con una «lega et amicitia perpetua» siglata con il Borgia, secondo cui Firenze avrebbe usufruito dei servizi del celebre condottiero per tre anni con una spesa

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«Perché noi intendiamo in questo puncto, che siamo ad una hora di nocte, come egli è partito o è in articolo di partire da Bologna uno figlio di Messer Giovannj Bentivoglj prothonotario cum numero di gente: il quale non sappiamo appunto, et viene alla volta di cotesta città per la via del Saxo in favore de’ Cancellieri et chiamato da lloro: Et benché questo adviso potessi essere vero et non vero: tanto parendoci questa cosa d’importantia grande ci è parso darvene notitia subito acciò v’ingegnate per ogni via et mezo con il mandare più huomini a’ passi ad intendere la verità: et appresso vi ordiniate con quelle tante forze vi trovate, quando pure venissino, di rompere loro li disegnj et a chi li ha chiamatj, non risparmiando per fare questo ad nessuno remedio opportuno, secondo che nella instrutione datavj al partire vostro si contiene: perché ci pare da tentare omnj forza perché tale cosa non riesca loro, iudicandola totalmente la ruina di cotesta città con perdita assai di questo stato», ivi, c. 46r, lettera dei Signori ai commissari generali di Pistoia, Niccolò di Alessandro Machiavelli e Giovanni Ridolfi, dell’8 maggio 1501.

215

Cfr. ivi, c. 50r, lettera dei Signori ai commissari generali del 9 maggio 1501. Per tutto quanto concerne più da vicino la vicenda del Valentino, in relazione alla futura rivolta di Arezzo del 1502, rimandiamo, ancora una volta, al capitolo successivo.

216

Ibid., c. 50r.

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totale di 36.000 ducati218. Ma i commissari di Pistoia, prima di venire a conoscenza di tale accordo, manifestavano alla Signoria tutti i loro timori circa una possibile discesa del Valentino per mettere a sacco Prato e forse la stessa Pistoia219. Essi affermavano, infatti, di essere stati informati di come Paolo Orsini (altro luogotenente di Cesare Borgia) si fosse trovato a colloquio con Chiarito Cancellieri e lo avesse esortato a consegnare la città di Pistoia alla parte panciatica220. Il Cancellieri avrebbe escluso recisamente questa possibilità, manifestando la totale mancanza di fiducia nutrita nei confronti dei nemici ed ergendosi quasi a baluardo degli interessi e delle ragioni della repubblica fiorentina contro un eventuale colpo di mano dei Panciatichi, forti del sostegno di Vitellozzo Vitelli e del Valentino221.

Stando a quest’altra testimonianza perciò, diversamente da quanto sospettato in precedenza dai fiorentini, sarebbero stati i Panciatichi ad avere cercato l’aiuto del Borgia e dei suoi luogotenenti pur di avere la possibilità di rientrare da vincitori in Pistoia, e i Cancellieri avrebbero invece dimostrato la loro fedeltà alla dominante non accettando di venire a patti con le richieste dei fautori ‘forestieri’ della parte panciatica. Che la crisi pistoiese si fosse ulteriormente complicata proprio a causa di tali ingerenze straniere e che la risoluzione del conflitto fosse ancora ben lontana dal suo epilogo, lo palesavano le parole dei commissari Niccolò di Alessandro Machiavelli e Giovanni Ridolfi: «[…] perché qui de’ Panciatichi male anzi non punto ci possiamo fidare rispecto a Vitellozo, et delli Cancellieri anchora non sappiamo interamente lo animo loro»222. Nessuna sorpresa che in questo clima di reciproci sospetti, tensioni e segrete macchinazioni i disordini tra Panciatichi e Cancellieri riprendessero quasi senza soluzione di continuità223.

218

Ivi, c. 61r-v, lettera dei Signori ai commissari generali del 16 maggio 1501.

219

Cfr. ivi, cc. 113r-114v, lettera dei commissari generali ai Signori del 9 maggio 1501.

220

«[…] et che Pagolo voleva che lui [Chiarito Cancellieri] si concordassi, havendo in mano la parte cancelliera, con la parte panciaticha, la quale Vitellozo haveva in pugno, a darli Pistoia et che non dubitassino che seguirebbe tra loro tale sicurtà et sarebbano contentj etc.; di che Chiarito rispose non essere maj possibile fidarsi di loro et che non era per farlo, che non voleva fare contro alla patria sua né a’ Marzocho», ivi, c. 113v. 221 Ibid., c. 113v. 222 Ivi, c. 114r. 223

Cfr. ivi, cc. 78r-v e 82r-v, lettere dei Signori ai commissari generali del 3 e 12 giugno 1501; cfr. ivi, cc. 125v-135r, lettere dei commissari generali ai Signori del 1, 2, 8, 11, 12, 13 e 14 giugno 1501. «[…] et noi qui per essere restati soli et disarmati et sanza reputatione et obbedientia alchuna non possiamo remediare per alchuno verso etiam in una minima parte di quello bisognerebbe […]. La città al continuo sta in arme et ripiena di contadini armati li quali ogni giorno, sendo instigatj, eschano fuori contro alla nostra volontà, né per cose che diciamo li possiamo ritenere. Siamo restati soli con li nostri staffieri et famiglj per essere testimoni di tutto quello che si fa et nel contado et nella città indebitamente et con dishonore et vergogna

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Dal canto loro, i commissari fiorentini denunciavano la costante mancanza dei mezzi atti a imporre l’ordine: da Firenze non arrivavano più i denari e le milizie necessarie alla guardia delle fortezze o alla repressione delle violenze. In una lettera scritta ai Signori in data 13 giugno, entro un paragrafo che presenta numerose linee di cancellazione orizzontali e diagonali, leggiamo:

«Et noi qui non habbiamo facultà di provedere a cosa alchuna, che ci mancha denari, gente et munitionj d’ognj sorte, come tante volte per più nostre lettere fu scripto come per quelle si può vedere: ma la sorte ci ha dato o la disgrazia nostra o d’altri o come si sia, che siamo stati in sino a qui pocho credutj, et ognj nostra actione è suta riputata costì più tosto partigiana che no […]. Che tutto quello che insino a questo dì haviamo facto, possiamo molto bene giustifichare haverlo facto ad decto effecto [cioè per servire la città di Firenze], come molto meglo intenderete da chi verrà come di sopra si è decto»224.

Il 4 luglio 1501 le parti si affrontarono in una dura battaglia per il possesso della rocca di Serravalle, luogo strategico di confine tra il piano di Pistoia e la Valdinievole225. Nonostante disponessero di un numero minore di uomini i Panciatichi, guidati dal contadino Franco di Meo Gori226, ottennero il controllo della fortezza. Le violenze di quel giorno trovarono vasta eco nella testimonianza dei cronisti fiorentini

di V. Ex. S., le qualj rapresentiamo et sanza nostra colpa et sanza poterci rimediare. Et molto meglio sarìa et con più honore et utile di V. S. richiamarcj, lascando la cura di qui ad questi rectori li quali sono prudentissimi o mandandocj altri, come ad quelli meglio paressi», ivi, cc. 129v-130r, lettera dei commissari generali ai Signori dell’8 giugno 1501. «E’ disordini di qui ogni giorno da ogni banda moltiplicano: Pagolo dal Borgho si truova ad Pacciano per e’ Cancellierj con 100 paghe, et insieme con luj vi è uno certo Pape di costì et un dj Etorre dal Borgho con 40 fancti. Vitello dal Borgho si truova in Aglana con 60 fancti, Orlando da Poggibonizj si truova a Ciacherino, ch’è tra Serravalle et Pistoia con 100 altri com.li o gente forestiera per anchora non intendiamo habbino questi Cancellierj: erano in su volere soldare Magnans, ma non pare sieno stati d’acordo […]. Li Panciatichi, per quanto intendiamo, anchora loro hanno gente forestiera, ma la somma apunto et li capi non possiamo così sapere; ma hiersera per uno provigionato di Porta Caldaticha, che hiermattina fu preso tornando di costì presso a Prato circha uno miglio da’ Panciatichi, intendemo che chi lo prese erano cento cavallj, cioè 60 balestrieri et il resto stradiocti, che n’era capo Paccione o vero Maccione di qui huomo di Vitellozo, et circha 100 fanti tutti forestieri che di Pistolesi non vi conobbe altri che uno Gherardi di Righolo et Francho di Meo di Ghoro, et che preso che l’hebbano lo spoglarono et se lo cacciorono innanzj tornando in drieto a Sexto et a Campi […]. Non ricordereno più, havendolo facto per più altre nostre, quanto importi a cotesta città et a questa et a tutto il contado et a l’una parte et a l’altra operare che questa ricolta non vada male, et maxime che si mostri ferale et abundante. Quanto importi anchora che la città di Pistoia si conservj alla obbedientia di V. Ex. S. et per tale ragione quanto importi il mettere d’acordo queste parti in modo che ciascuna interamente non signoreggi o non si disperi per li appoggi che ha o che può havere ciascuna di quelle in questi tempi», ivi, cc. 130r-131v, lettera dei commissari generali ai Signori dell’11 giugno 1501.

224

Ivi, c. 134r-v, lettera dei commissari generali ai Signori del 13 giugno 1501.

225

Cfr. L. Landucci, Diario fiorentino cit., p. 232; cfr. P. Vaglienti, Storia dei suoi tempi cit., pp. 135- 136.

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coevi227. Il giorno seguente la Signoria inviava a Serravalle un mazziere per intimare, ai Cancellieri, di cessare le ostilità e desistere dall’assedio228

e, ai Panciatichi, di consegnare la rocca alle autorità fiorentine229. Stando al racconto del Parenti, i Panciatichi rifiutarono di acconsentire alle richieste della Signoria, e inviarono ambasciatori a Pistoia per trattare direttamente con i Cancellieri, «mostrando che conosceano da’ Fiorentini venire la loro ruina, e che da noi era nutrita la lite per alfine tòrre loro la terra e farli totalmente sudditi e insignorirsi del loro contad[o]»230. La profonda ostilità nutrita dal filopopolare Parenti, tanto nei confronti dei Medici quanto in relazione alle trame politiche della nuova oligarchia, lo portava ad inviduare proprio nella divisione interna della classe politica fiorentina e negli interessi privati e nella parzialità dei «grandi» le principali cause della tragica guerra civile pistoiese:

«Dolevasi ciascuna delle parti de’ Fiorentini: diceano essersi date a noi per non si sapere da lloro governare, e che pagavano l’anno tante migliaia di fiorini per essere rette e mantenute; di che era seguito lo opposito, e forse in buona parte avevano ragione, e tutto procedeva dalla disunione nostra e dalle gare de’ nostri Primati. Pareva che e’ Panciatichi fussino favoriti dal popolo e dallo universale, e’ Cancellieri da’ Primati: per questo, non si terminando qui l’altre nostre cose, né questa ancora si terminava»231

.

227

«[…] in tantto che un g[i]orno afrontatisi a Serravalle e Chanccellieri, alterosamente asaltando e Panc[i]atichi, furno roptti e d’essi Chanccellieri ne fu mortti assai et con inaldite crudeltà, perché le donne cincistiando et tagl[i]avano gl’omini traendo loro il chuore la linghua et gl’ochchi portandogli su per le aste, e notosi tantte e sì varie crudeltà in questi acidentti pistolesi che mai più si richorda una simile impietà», B. Cerretani, Storia fiorentina cit., p. 286. «E a dì 4 di luglio 1501, e Pistolesi s’erano di nuovo affrontati, e morti bene 200 uomini; e furono quasi tutti soldati forestieri. E l’altro dì si raffrontorono e morivvene 100: e andò dentro nella povera e isventurata città forse 12 teste d’uomini in su le lancie; e facevano alla palla co’ capi degli uomini di fuora e dentro», L. Landucci, Diario fiorentino cit., p. 232. Secondo il racconto del Vaglienti, d’altra parte, sarebbero stati i Cancellieri a fare strage di alcuni Panciatichi asserragliatisi nel campanile di una chiesa: «[…] e come li ebbono in loro balìa tutti li taglionno a pezzi sotto l’accordo [di risparmiare loro la vita] e feciono loro molti strazi e gran crudelità. Dissesi vi fu a chi e’ cavonno el cuore e colla loro bocca lo mordevano e facevano pezzi, e molti fanciulli piccoli feciono el simile. Vedi quanta iniquità e quanta crudeltà regna in loro e se si può dire che’ l diavolo abbi possanza sopra di loro!», P. Vaglienti, Storia dei suoi tempi cit., pp. 135-136.

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«Universis et singularis etc. Intendendo noi gran quantità d’huomini di parte cancelliera essere all’intorno delle nostre forteze di Seravalle, per sforzarle et amazare certi di parte panciaticha che vi si sono refuggiti drento, ci è parso per provedere ad simile insulto mandare Piero da Montespertolj mazieri nostro et presente obstensore, per il quale comandiamo ad tucti voj di parte cancelliera che vi trovassi a

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