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Conflittualità locale e istanze disciplinatrici centrali: la legittimazione dell’intervento fiorentino

territoriale e di sottomissione a Firenze

2.2 Conflittualità locale e istanze disciplinatrici centrali: la legittimazione dell’intervento fiorentino

Il paradigma di legittimazione dell’intervento fiorentino nella risoluzione dei conflitti che agitavano le comunità territoriali della Toscana costituisce il filo rosso delle vicende legate alla storia delle città da noi studiate: Pistoia, Arezzo e Volterra.

I primi Capitoli tra Firenze e Pistoia – successivamente alla morte di Castruccio Castracani, che aveva imposto sulla città la sua signoria dal 1325 al 1328 – furono siglati il 24 maggio 1329: in occasione della stipulazione della pace Pistoia si obbligava ad obbedire al papa e alla Chiesa, a riammettere tutti i guelfi che erano stati esiliati e colpiti da bando, a cancellare tutti i procedimenti pendenti nei confronti di cittadini fiorentini, a concedere a Firenze il possesso dei castelli di Montemurlo e Tizzana, e ad impegnarsi a non accogliere più nel suo territorio ribelli o nemici della Chiesa o del comune di Firenze12. Nel 1331, con una balìa concessa per un anno e successivamente rinnovata fino al 1340, gli organi del comune di Pistoia concessero a Firenze la «libera custodia della città, contado e distretto», in deroga ai vigenti statuti ed ordinamenti, affinché fosse provveduto «circa securitatem et pacificum statum» della città13. Firenze stabilì in Pistoia una guarnigione armata e un capitano di custodia, il quale coesistette con il capitano del popolo fino al 1367, e in seguito ne integrò le funzioni e lo sostituì completamente14. I pistoiesi continuarono invece ad eleggere i propri podestà, anche se in momenti di particolare tensione furono scelti per ricoprire tale carica dei fiorentini. Nel 1331 furono inoltre soppresse le corporazioni delle arti e nel 1332 le compagnie rionali15.

12

Cfr. I Capitoli del Comune di Firenze cit., vol. I, registro 1, doc. n. 4, 24 maggio 1329 (cc. 4v-9r), pp. 5-7. In questo caso il conflitto politico aveva di fatto inserito (come vedremo accadere costantemente a diverse altezze cronologiche) le dinamiche di potere di ambito locale nella più ampia cornice di riferimento degli schieramenti contrapposti su scala italiana ed internazionale: il fronte guelfo e il fronte ghibellino. Nella promissione di obbedienza alla Chiesa con cui la città di Pistoia veniva ad essere assorbita entro l’area d’influenza di Firenze e del guelfismo, determinante doveva apparire anche il giuramento di «rebellionem contra dannatum Lodovicum olim ducem Bavarie», ivi, doc. n. 3, 24 maggio 1329 (cc. 3r-4v), p. 5.

13

Ivi, doc. n. 6, 26 luglio 1331 (cc. 10v-11v), p. 8. La balìa straordinaria, in deroga alla rubrica dello Statuto pistoiese De libertate civitatis et comitatus Pistorii observanda, fu confermata per altri due anni in data 8 gennaio 1332 (ivi, doc. n. 7, cc. 11v-13r, pp. 8-9) e in data 16 agosto 1333 (ivi, doc. n. 9, cc. 14r- 15r, p. 9). Il 30 gennaio 1335, infine, la balìa in scadenza il 26 luglio 1336 venne prorogata per ulteriori quattro anni (ivi, doc. n. 12, cc. 16v-18v, p. 10).

14

Cfr. ASPt, Comune, Provvisioni, 14, c. 6r.

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Dopo la breve parentesi costituita in Firenze dalla signoria del duca d’Atene (1342- 1343), in occasione della quale Pistoia aveva potuto riguadagnare una sostanziale autonomia politica, giungendo persino ad allontanare i fiorentini dai castelli di Santa Barbara e di Serravalle (furono approvati nuovi statuti e fu richiesto un nuovo giuramento di fedeltà alle comunità del contado e del distretto), a partire dal 1351, contemporaneamente al maturare del conflitto antivisconteo che vide Firenze opposta all’arcivescovo Giovanni, signore di Milano dal 1329 al 1354, la città rientrò nuovamente sotto l’influenza fiorentina16

. Il Visconti aveva acquistato per la somma di duecentomila fiorini la città di Bologna dalla famiglia Pepoli (ottobre 1350), e si preparava a minacciare da vicino la stessa Firenze. Le contromosse fiorentine si concretizzarono nell’acquisto e nella successiva occupazione di Prato, e nel tentativo di procedere allo stesso modo con Pistoia. In questa occasione Firenze dovette tornare a confrontarsi con le «maledette fazioni» pistoiesi. Negli ultimi anni, infatti, le famiglie dei Panciatichi e dei Cancellieri si erano apertamente contrastate per il governo della città, spartendosi la gestione degli uffici pubblici grazie ad una rete di clientele che coinvolgeva una trentina di altre famiglie pistoiesi. Sia i Panciatichi che i Cancellieri potevano inoltre vantare importanti alleanze con eminenti famiglie fiorentine17.

Dal 1329 le famiglie magnatizie di Pistoia erano state escluse dagli uffici pubblici, ma, in virtù dell’aiuto prestato ai fiorentini contro Castruccio, alcune di esse (Panciatichi, Gualfreducci, Muli) godevano ancora della partecipazione alla vita politica pistoiese. I Panciatichi avevano cominciato così a prevalere in città, nonostante lo statuto del 1344, successivo alla cacciata del duca d’Atene, li avesse nuovamente esclusi dalle cariche pubbliche18. Riccardo Cancellieri, cercando di impossessarsi di Pistoia intorno al 1350, mosse una decisa offensiva contro i Panciatichi, i quali però furono in grado di guidare la reazione dell’intera città e lo costrinsero a rifugiarsi nel castello di Marliana19. I fiorentini, temendo che i Panciatichi (di tradizione ghibellina) potessero appoggiare il Visconti, convinsero la città ad accettare la difesa e il sostegno di truppe armate fiorentine, per potersi meglio difendere dall’offensiva del Cancellieri. In questo senso i Capitoli sottoscritti il 6 maggio 135120 costituirono un ulteriore passo sulla via

16

Cfr. F. Neri, Società ed istituzioni cit., pp. 3-5.

17

Cfr. ivi, pp. 5-6.

18

Cfr. G. Cherubini, Apogeo e declino cit., p. 71, nota n. 164.

19

Cfr. J.M. Fioravanti, Memorie storiche cit., p. 316.

20

Cfr. I Capitoli del Comune di Firenze cit., vol. I, registro 1, doc. n. 14 del 6 maggio 1351 (cc. 19r-23r), pp. 11-12.

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del controllo politico di Pistoia da parte di Firenze21. La città non fu direttamente annessa, come era successo con Prato, ma si ricorse nuovamente all’istituto della balìa, cercando di ottenere la pacificazione delle fazioni e il loro sostanziale equilibrio, in modo che nessuna di esse potesse più prevalere sull’altra. Nei Capitoli i sindaci del comune di Firenze promisero espressamente che: «non occupabitur libertas nec iurisditio dicti Communis Pistorii», così come il sindaco del comune di Pistoia giurò: «quod dicta civitas Pistorii reformabitur in vero statu libero populari et guelfo et in vera Parte Guelfa»22. Secondo questa nuova balìa, che ebbe durata quindicennale e fu rinnovata per ulteriori quindici anni nel 136523, Firenze poté imporre in Pistoia anche la presenza di un podestà fiorentino, nella persona di Filippo di Duccio Magalotti, a partire dal 21 dicembre 135124.

Le autorità fiorentine continuavano del resto a ribadire di non essere intenzionate a usurpare la libertà pistoiese, come testimoniato dal giuramento prestato da sessanta cittadini fiorentini in occasione della proroga della balìa e dei Capitoli del 1351: «Sessanta Cittadini fiorentini giurarono ‘ad sancta Dey evangelia, non occupare libertatem vel iurisditionem dicti Communis Pistorii’, salvi sempre i capitoli e patti suddetti»25. Ma la realtà delle cose evolveva in maniera alquanto differente. Dal 1367, infatti, le funzioni del capitano del popolo passarono al capitano di custodia (ovviamente sempre un cittadino fiorentino), e il podestà venne escluso dal Consiglio generale del popolo e del comune, che di fatto passò sotto il diretto controllo del medesimo capitano di custodia. Tali provvedimenti, contenuti poi nella riforma generale

21

Cfr. ivi, p. 11. Anche in questo caso l’intervento fiorentino prevedeva, in prima istanza, l’invio di un contingente militare che avrebbe dovuto occuparsi dell’edificazione di un nuovo cassero per la protezione e la difesa della città, la cui custodia sarebbe ovviamente spettata ad uno o più capitani fiorentini (castellani). Questi ultimi non avrebbero dovuto in alcun caso intromettersi negli affari della città di Pistoia, ma si sarebbero esclusivamente occupati della cura e della guardia della fortezza. Allo stesso modo le autorità fiorentine avrebbero ottenuto la custodia di alcune altre fortezze situate in posizione strategica nel territorio pistoiese, come il castello di Serravalle e la rocca della Sambuca, fermo restando che la giurisdizione di quelle terre sarebbe rimasta al comune di Pistoia. Tutti questi provvedimenti avrebbero avuto durata quindicennale.

22

Ivi, p. 12.

23

Ivi, doc. n. 16, 31 ottobre 1365 (cc. 23r-24v), p. 13.

24

«A partire dal 1351 iniziò un lento processo di intervento sempre più diretto da parte delle autorità fiorentine nei confronti di Pistoia, che si attuò innanzitutto svuotando di significato le strutture amministrative e giuridiche del Comune, in alcuni casi lasciate sopravvivere ma ridotte nella capacità di autonoma scelta», F. Neri, Società ed istituzioni cit., p. 7.

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degli uffici fatta dagli ambasciatori fiorentini in data 23 novembre 137326, riguardarono anche la riduzione dei membri del principale organo deliberativo, il Consiglio generale sopra menzionato, che furono portati a 128 (32 membri per porta) ed estratti da borse predisposte sotto la tutela e la supervisione dei fiorentini. Fu nuovamente consentito ai magnati l’accesso alle cariche pubbliche, in modo da far emergere una nuova oligarchia direttamente legata alle principali famiglie fiorentine; fu istituita una nuova magistratura, gli Octo boni homines (portati a dodici nel 1376), con il compito di assistere gli Anziani nel proporre questioni e deliberazioni al Consiglio.

Anche nelle rubriche di questi Capitoli del 1373 i fiorentini non mancarono di fornire ulteriori attestazioni della loro buona volontà nei confronti delle libertà pistoiesi:

«Tutti i capitani della custodia siano tenuti, a pena di lire 500 da applicarsi al Comune di Firenze, a giurare, prima che vadano in ufficio, nelle mani dei Priori delle Arti e Gonfaloniere di giustizia, di conservare la città di Pistoia, contado e distretto in quella libertà e stato che gode al presente, e nella devozione e ‘filiatione’ del Comune di Firenze»27

.

Il controllo politico di Firenze assumeva nella retorica della formulazione cancelleresca la forma di una ‘tutela’ paterna, volta unicamente al rispetto della devozione filiale di Pistoia ed interessata al mantenimento della salute politica della città, ottenuta attraverso la promozione della giustizia, della libertà e dell’equalitas28

.

* * *

Negli stessi anni in cui Firenze cominciava ad intervenire con maggiore programmaticità nella vita politica pistoiese, anche Volterra entrò nell’orizzonte dell’espansionismo fiorentino. L’intervento fiorentino veniva anche in questo caso ad inserirsi all’interno dei pesanti conflitti interni e delle lotte di potere che agitavano la città. Bocchino di Attaviano Belforti era riuscito a consolidare una sorta di potere personale (facendosi, come ci dicono le fonti, ‘tiranno’ di Volterra), sfruttando il ruolo egemone che la famiglia Belforti si era ritagliata nei precedenti vent’anni all’interno del

26

Ivi, doc. n. 18, 23 novembre 1373 (cc. 27r-37r), pp. 13-18. La riforma generale degli uffici, nelle intenzioni delle autorità fiorentine, sarebbe dovuta servire «pro conservatione, augumento et melioratione libertatis et boni pacifici tranquilli popularis et guelfi status etc.», ivi, p. 14.

27

Ivi, p. 17.

28

«Quo circa Commune Florentie, tamquam pius pater de salute Pistoriensium ac eorumdem libertate sollicitum, ad hoc ut equalitas in ipsius civitatis regimine observetur, vigeatque iustitia, sine quibus civitates et regna regi et conservari nequeunt», ivi, p. 14.

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ceto dirigente volterrano29. In una temperie politica in cui gli ordinamenti e le istituzioni comunali venivano minacciati dai poteri forti delle consorterie vicine ai Belforti, e la stessa famiglia era spaccata al suo interno dai conflitti tra il tiranno Bocchino e Francesco Belforti (che teneva la rocca di Montefeltrano), la grave crisi politica sfociò presto in una rivolta dell’aristocrazia cittadina e della popolazione contro Bocchino Belforti, e il ceto dirigente locale fu di fatto travolto da una guerra civile tra i due schieramenti antibelfortesco e filobelfortesco30.

Già al tempo dello scontro tra Bocchino e Francesco Firenze aveva cercato di mediare in vista di una soluzione pacifica; quando però, dopo la morte di Francesco Belforti, Bocchino continuò a perseguitare anche i suoi figli e l’aspra contesa cominciò a mietere le prime vittime, i fiorentini inviarono armati per rafforzare la difesa della rocca di Montefeltrano31. Stando al racconto di Matteo Villani, sembra che Bocchino fosse intento a trattare la cessione della signoria su Volterra ai pisani per una somma di trentaduemila fiorini, per potersi meglio difendere dai fiorentini e contrastare la loro offensiva32. A questo punto, temendo di finire «schiavo» dei pisani, il popolo volterrano avrebbe richiesto aiuti inviando ambasciatori a Siena e a Firenze, cosa che, sempre nella versione del Villani, avrebbe portato le due città a fronteggiarsi per imporre ciascuna il proprio intervento risolutore33. Alla fine Firenze riuscì ad avere la meglio34 e, dopo che Bocchino Belforti fu decapitato, le autorità fiorentine poterono imporre i primi Capitoli riguardo alla custodia del cassero di Volterra. L’anonimo autore della Cronichetta Volterrana, in modo asciutto ed efficace, descrive il nascente ‘sodalizio’ politico mostrando di avere piena coscienza del reale peso delle parti in gioco:

29

Cfr. L. Fabbri, Autonomismo comunale cit., p. 2; cfr. Id., Un esperimento di signoria familiare: i

Belforti di Volterra (1340-1361), in Le signorie cittadine in Toscana. Esperienze di potere e forme di governo personale (secoli XIII-XV), a cura di A. Zorzi, Roma, 2013, pp. 231-251. Cfr. C. Tripodi, Dalla signoria di Volterra al catasto del 1429: la parabola della famiglia Belforti, in Le signorie cittadine in Toscana cit., pp. 253-272.

30

Ne dà ampiamente conto Matteo Villani nel capitolo Come fu decapitato messer Bocchino de’

Belfredotti signore di Volterra, e come la città venne alla guardia de’ Fiorentini, in M. Villani, Cronica,

a cura di F. Gherardi Dragomanni, Firenze, 1846, vol. II, libro X, cap. LXVII, pp. 362-364. Cfr. L.A. Cecina, Memorie istoriche cit., pp. 158-162 (ove è riportato per intero il capitolo del Villani).

31

Cfr. M. Villani, Cronica cit., p. 362.

32

Ivi, p. 363.

33

Ibid., p. 363.

34

«Il popolo di Volterra di suo errore ravveduto [di volersi schierare con i senesi] la guardia del cassero della città diedono a’ Fiorentini. I Sanesi ch’erano in Volterra senza aspettare comiato si partirono, e’ Fiorentini del tutto rimasono signori, con certe convegne, che i Volterrani promisono in perpetuo d’avere gli amici del comune di Firenze per amici, e i nemici per nemici, e che la rocca dieci anni si guardasse per i Fiorentini, e del continovo debbino prendere capitano di popolo di Firenze», ivi, p. 364.

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«Anno Salutis MCCCLXI, la nostra communità di Volterra, statim dopo’ l tagliare della testa a M. Bochino et a M. Ottaviano de’ Belforti, nostri cittadini, per comandamento del sommo magistrato della nostra città (il quale quodammodo se gerebat tamquam Dominus civitatis), intrò in lega con l’Excelsa Signoria di Firenze; benché ineguale, perché il popolo Fiorentino potentissimo ed il nostro impotente»35.

Come era avvenuto per Pistoia, anche nel caso di Volterra l’intervento fiorentino, che aveva consentito al popolo volterrano di riconquistare la libertà (secondo quanto affermato in apertura dei Capitoli), si sostanziò inizialmente con la presa in custodia della rocca cittadina per dieci anni36: più precisamente, il cassero di Volterra (con la torre posta in Porta a Selci) sarebbe stato retto da un castellano fiorentino, in nome del comune di Firenze, il quale sarebbe stato scelto dalla Signoria, con scrutinio segreto, tra un gruppo di quattro cittadini fiorentini nominati dal comune di Volterra37. I salari dei castellani sarebbero stati a carico delle autorità fiorentine e i Signori dodici di Volterra avrebbero mantenuto le chiavi della porta suddetta, insieme alla potestà e al controllo sull’entrata e sull’uscita dalla medesima38

. Allo scadere del termine dei dieci anni il cassero sarebbe stato riconsegnato ai volterrani. Questi sarebbero stati comunque esentati dalla restituzione delle somme eventualmente spese dal comune di Firenze per la gestione o l’ampliamento della fortezza. L’unica condizione maggiormente restrittiva imposta dai fiorentini fu che il comune di Volterra non dovesse, per i successivi dieci anni, avere podestà, capitano o ufficiale proveniente da luoghi retti «a parte ghibellina» o distanti da Volterra meno di trenta miglia, ma potesse sceglierli liberamente tra i cittadini fiorentini e tra i membri della famiglia Ciacconi di San Miniato39.

Ai volterrani non dovettero certo sembrare imposizioni eccessivamente severe, considerando che tutta l’autorità e la giurisdizione territoriale restavano saldamente nelle mani delle magistrature locali; ma il successo dell’azione fiorentina, in queste prime fasi del processo di espansione territoriale, oltre che sulla legittimità di un intervento pacificatore e liberatore (più tardi disciplinatore), si giocò anche su di un lento e graduale inserimento nella vita istituzionale di queste comunità territoriali,

35

Cronichetta Volterrana cit., pp. 317-318.

36

Cfr. I Capitoli del Comune di Firenze cit., vol. II, registro 13, doc. n. 46, 30 settembre 1361 (cc. 134r- 135v), pp. 328-329. «[…] considerans recuperatam novissime per populum Vulterranum, cum suffragiis Communis Florentie, non absque gravissimis personarum et rerum periculis, Deo propitio, libertatem, ipsamque nisi eisdem remediis longo tempore non posse verisimiliter conservari», ivi, p. 328.

37

Ivi, pp. 328-329.

38

Ivi, p. 329.

39

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centellinando con sapienza ampi margini di autonomia ‘locale’ con ingerenze politiche ‘centrali’ sempre più marcate40

.

Prima della scadenza dei termini della custodia, infatti, quest’ultima venne prorogata per ulteriori dieci anni41 – a partire dal giorno 8 ottobre 1371 – , mantenendo validi tutti i Capitoli precedentemente approvati, con in più la possibilità, a spese del comune di Firenze, di apportare migliorie alla fortezza cittadina (edificazione di un’antiporta esterna e di un fossato). D’altra parte, con la promulgazione dei successivi Capitoli stipulati in Firenze il 18 ottobre 137042, le autorità fiorentine continuarono a mostrarsi interessate al consolidamento della propria base di consenso presso la comunità volterrana. Per promuovere la causa delle pace e della libertà di Volterra contro i nemici fuoriusciti (filobelforteschi), il comune di Firenze si impegnò affinché fossero restituiti alla giurisdizione cittadina tutte le terre e i castelli che avevano partecipato alla ‘ribellione’ del tiranno Bocchino Belforti43

, e fossero portate ad esecuzione le sentenze del lodo pronunciato dai fiorentini per risolvere le controversie tra la comunità di Volterra e gli esponenti della famiglia Belforti, ora ribelli e banditi dal territorio volterrano44.

Per questo – come osservato poco sopra – per promuovere maggior ‘sicurezza’ e stabilità all’interno delle istituzioni volterrane, le autorità fiorentine decisero di affidare la custodia della città al Capitano del Comune e del Popolo e Gonfaloniere di giustizia («Capitaneus custodie Communis et Populi et Vexillifer iustitie civitatis Vulterrarum»), che sarebbe stato eletto dal comune di Volterra e avrebbe mantenuto tale ufficio per tutto il tempo che i fiorentini avessero avuto in custodia il cassero45. Fu inoltre stabilito

40

«Che’ l governo della nostra città e contado in omnibus a noi appartenesse; salvo e riservato che’ l Capitano fusse fiorentino e da noi fusse eletto, e solo havesse’ l criminale. La elettione del Podestà fusse nostra, e fusse di qualunque luogo benché longinquo, e havesse la cura sì del civile e sì del criminale: et

qui primo praeveniebat in criminali, fusse cognitare contra facinorosos. Praeterea, che la rocca e cassero

della città si dovesse guardare per la communità di Firenze e a sue spese. Caeterum, che noi havessimo gli amici per amici e gli nimici per nimici, ex utraque parte; et che la communità di Firenze obligata fusse defenderci da qualunque potentato suis sumptibus et expensis: e che ob istam causam dovessimo dar loro ogni anno due mila fiorini di suggello, e a nessuna altra cosa fussimo obbligati», Cronichetta Volterrana cit., p. 318.

41

Cfr. I Capitoli del Comune di Firenze cit., vol. II, registro 13, doc. n. 47, 30 agosto 1369 (cc. 135v- 136v), pp. 329-330.

42

Ivi, doc. n. 48, 18 ottobre 1370 (cc. 137r-141v), pp. 330-333.

43

Ivi, p. 330.

44

Ivi, p. 331.

45

«7. Che, per conservare la città, contado, forza e distretto di Volterra in quiete, libertà ec., il Capitano del C. e P. e il G. di g. della città di Volterra, da eleggersi, come per il passato della città di Firenze dal C. di Volterra o dal suo sindaco, debba avere l’ufficio della custodia di quella città per tutto quel tempo che

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che il capitano della custodia avrebbe dovuto tenere presso di sé le chiavi delle porte cittadine, consegnategli dai Priori, e avrebbe avuto facoltà di poter entrare nella torre del comune, dove si trovava la campana, e suonare la stessa nel caso in cui fosse manifestamente in pericolo «il presente stato popolare e guelfo»46.

L’istituzione di questa nuova magistratura (legata alla scelta dei volterrani ma comunque appannaggio esclusivo di cittadini fiorentini), che avrebbe dovuto presiedere stabilmente all’organizzazione interna dell’apparato pubblico di Volterra e garantire il completo allineamento del reggimento cittadino alle istanze popolari e guelfe, dimostra – com’era stato per Pistoia – la volontà dei fiorentini di inserirsi attivamente nella realtà politica locale, cominciando a ridisegnarne dall’interno gli assetti istituzionali. Per lasciare che il capitano della custodia potesse svolgere con solerzia il suo ruolo di ‘difensore’ della sicurezza e della stabilità del reggimento, fu espressamente ordinato che non dovesse occuparsi delle ‘appellagioni’ delle cause civili o criminali né del «sindacato degli ufficiali del C. di Volterra», di cui si sarebbero invece occupati i Priori47. Veniva inoltre ribadito come le autorità fiorentine avrebbero potuto, a proprie spese, fortificare e ampliare il cassero, le mura e le torri della città di Volterra48: una sorta di ‘militarizzazione’ cittadina che, di là dalla propagandata funzione difensiva e unitamente all’affidamento al capitano fiorentino del ruolo di sommo ‘guardiano’ dell’ordine pubblico, manifestava l’intenzione della futura dominante di subentrare, magari senza creare troppa apprensione nella cittadinanza volterrana, nella gestione degli apparati e delle strutture politico-militari.

Il 22 dicembre 138149 la custodia della città e tutti i precedenti Capitoli furono prorogati per un periodo di ulteriori dieci anni.

il C. di Firenze ha in custodia il cassero, e però si chiami ‘Capitanues custodie Communis et Populi et

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