• Non ci sono risultati.

Resistenza chimica: il fascismo e l’ombra di Auschwitz

Mnemagoghi, Il fabbro di sé stesso

3.3. Resistenza chimica: il fascismo e l’ombra di Auschwitz

Ero sazio di libri, che pure continuavo ad ingoiare con voracità indiscreta, e cercavo un’altra chiave per i sommi veri: una chiave ci doveva pur essere, ed ero sicuro che, per una qualche mostruosa congiura ai danni miei e del mondo, non l’avrei avuta dalla scuola. A scuola mi somministravano tonnellate di nozioni che digerivo con diligenza, ma che non mi riscaldavano le vene. Guardavo gonfiare le gemme in primavera, luccicare la mica nel granito, le mie stesse mani, e dicevo dentro di me: «Capirò anche questo, capirò tutto, ma non come loro vogliono. Troverò una scorciatoia, mi farò un grimaldello, forzerò le porte». Era snervante, nauseante, ascoltare i discorsi sul problema dell’essere e del conoscere, quando tutto intorno a noi era mistero che premeva per svelarsi: il legno vetusto dei banchi, la sfera del sole al di là dai vetri e dai tetti, il volo vano dei pappi nell’aria di giugno. [SP 876].

Nel secondo capitolo del Sistema periodico Levi ci presenta un sé stesso molto giovane alle prese con un’enorme sete di conoscenza e al tempo stesso con un sistema educativo avverso. Al giovane Levi tutta la materia (le gemme dei fiori, la mica del granito, il legno dei banchi, il vetro delle finestre e persino i pappi in volo) appare come un mondo da scoprire e che per essere compreso hai bisogno del giusto «grimaldello». La strada verso la conoscenza non passa attraverso le nozioni, o peggio attraverso verità rivelate, ma tramite il confronto diretto con la materia, soppesandola, ponendosi delle domande e cercando di rispondere. La scuola è qui nemica della conoscenza perché si limita a somministrare nozioni, senza però penetrare il perché delle cose. È il contatto con la materia invece che permette di scoprire il mondo:

Gemme, mica e mani: i tre ‘regni’ della natura, il vegetale, il minerale e l’animale,

in cui alchimia e chimica seguendo la tradizione hanno ripartito il mondo. Il desiderio di conoscenza del giovanissimo Levi, ancora fra i banchi, è spropositato, vorrebbe capire tutto, ma – attenzione – “non come loro vogliono”. Qui Levi spende uno dei suoi rari corsivi, per sottolineare un’opposizione forte fra le ‘tonnellate di nozioni’ somministrate dai professori (loro) e quella necessità di capire a cui le nozioni non davano alcun sollievo178.

99

Dietro l’azione dei professori va rintracciato il modello educativo imposto dal regime fascista con cui Levi ebbe a che fare per tutta la sua giovinezza. Primo Levi nasce nel 1919 per cui il fascismo lo accompagnò attraverso tutti gradi di istruzione:

Per Levi l’esperienza della scuola e in particolare dell’Università […] ha significato fare i conti e confrontarsi con il fascismo inteso come “sistema”, non solo come forma politica dittatoriale ma anche e principalmente come sistema educativo e una certa visione del mondo, ossia come “programma scolastico” dai precisi contenuti e metodi pedagogici.179

Si tratta in concreto della riforma di stampo idealista introdotta da Gentile nel 1923. «Il panorama della scuola pubblica rimaneva quello tradizionale fondato sulla distinzione profonda tra materie umanistiche e discipline scientifiche. Tuttavia agli occhi e nella retorica delle autorità fasciste queste due branche della conoscenza umana non avevano uguale valore»180. Levi ricorda come «durante il fascismo, nelle scuole veniva insegnato che è lo spirito a dominare sulla materia»181. Lo spirito era qualcosa di filosoficamente molto ambiguo, affatto razionale, più vicino all’istinto, ma funzionale ad inibire lo spirito critico degli studenti: «lo slogan era: ‟È lo spirito che forgia la materia”. L’esercito italiano, per esempio, era mal equipaggiato, ma, se il suo spirito dominava la materia, avremmo potuto vincere anche senza equipaggiamento»182. L’avversione che Levi nutre

nei confronti del fascismo nasce dunque prima dell’avvento delle leggi razziali: «È importante sottolineare che, in Levi, l’avversione fisiologica e psicologica al fascismo non fu la conseguenza di quelle leggi. Invece, esse confermarono nel chimico torinese le più generali e profonde ragioni della scelta antifascista»183. Il fascismo, in quanto regime dittatoriale, non educava a pensare, a prendersi delle responsabilità ed è quindi intrinsecamente nemico di quella sete di conoscenza che alberga nel giovane Levi:

Avevo un ottimo rapporto con la mia insegnante di italiano, ma quando ha detto pubblicamente che le materie letterarie hanno valore formativo e quelle scientifiche solo valore informativo mi si sono rizzati i capelli in testa e ne sono uscito confermato in questa idea che la congiura esisteva. Tu giovane crociano, tu giovane cresciuto in quest’Italia non avvicinarti alle fonti del sapere scientifico perché sono

pericolose.184 179 GIULIANI 2015, p. 18. 180 Ivi, p. 19. 181 ZARGANI 1975, p. 915. 182 MOTOLA 1985, p. 804. 183 GIULIANI 2015, p. 22. 184 REGGE 1985, p. 484.

100

Ecco dunque perché Levi sceglie la materia: «la Materia ci era alleata appunto perché lo Spirito, caro al fascismo, ci era nemico» [SP 898]. Che cosa insegna il confronto con la materia? Tutto ciò che il fascismo cercava invece di non insegnare «La chimica è portatrice di una morale laica, è una scuola politica, intrinsecamente antifascista: insegna a far conto sulla propria intelligenza, a rispondere in prima persona delle proprie decisioni, a rispettare il giudizio implacabile della realtà»185. Il confronto con la materia

diventa, nel corso dei capitoli, l’unico modo che Levi ha per diventare un adulto maturo e consapevole. Nel capitolo Ferro l’atto dell’analisi qualitativa di un determinato cumulo di materia diventa l’emblema della maturità:

«Riferire per iscritto, sotto forma di verbale, di sì e di no, perché non erano ammessi i dubbi né le esitazioni: era ogni volta una scelta, un deliberare; un’impresa matura e responsabile, a cui il fascismo non ci aveva preparati, e che emanava un buon odore di asciutto e di pulito» [SP 887].

Per Levi Il fascismo non preparava alla vita adulta, il confronto con la materia invece sì perché è possibilità di decidere e anche di sbagliare. Levi associa questa possibilità ad un odore domestico, quello dei panni appena lavati, concreto e onesto. Non è un profumo inebriante, bensì un odore neutro, sufficiente però ad opporsi al «puzzo delle verità fasciste» che compare nelle pagine successive nel medesimo capitolo:

Non sentiva il puzzo delle verità fasciste che ammorbava il cielo, non percepiva come un’ignominia che ad un uomo pensante venisse richiesto di credere senza pensare? Non provava ribrezzo per tutti i dogmi, per tutte le affermazioni non dimostrate, per tutti gli imperativi? […] come poteva ignorare che la chimica e la fisica di cui ci nutrivamo, oltre che alimenti di per sé vitali, erano l’antidoto al fascismo che lui ed io cercavamo, perché erano chiare e distinte e ad ogni passo verificabili, e non tessuti di menzogne e vanità, come la radio e i giornali? [SP 891]

La chimica e la fisica, in una parola la scienza, erano le due strade da percorrere per crescere e per opporsi anche al fascismo stesso che la scienza non la voleva.

Nello scrivere il Sistema periodico Levi «rilesse la sua carriera scolastica come un tentativo di staccarsi dal fascismo, o meglio, di scollare la mentalità fascista da se stesso e dai propri abiti mentali, come uno sforzo di escogitare una formazione alternativa nel

101

modo di diventare uomo»186. Lo studio della chimica, oltre che un metodo di formazione,

diventa anche nel tempo l’unica forma di resistenza possibile per Levi:

Se non sbaglio, tutti scrivevamo poesie […] scrivere poesie tristi e crepuscolari, e neppure tanto belle, mentre il mondo era in fiamme, non ci sembrava né strano né vergognoso: ci proclamavamo nemici del fascismo, ma in effetti il fascismo aveva operato su di noi, come su quasi tutti gli italiani, estraniandoci e facendoci diventare superficiali, passivi, cinici [SP 953].

Se scetticismo e ironia permettevano a molti giovani italiani di non prendere sul serio il fascismo, contemporaneamente non permettevano di intraprendere una vera reazione di rivolta. Lo scrivere poesie testimoniava una volontà di non affrontare il presente piuttosto che una forma di opposizione al fascismo. Mancava la consapevolezza della lotta attiva come possibilità e dovere. Questa mancanza di consapevolezza Levi la attribuisce al funzionamento della censura fascista:

Né in noi, né più in generale nella nostra generazione, «ariani» o ebrei che fossimo, si era ancora fatta strada l’idea che resistere al fascismo si doveva e si poteva. La nostra resistenza di allora era passiva, e si limitava al rifiuto, all’isolamento, al non lasciarsi contaminare. Il seme della lotta attiva non era sopravvissuto fino a noi, era stato soffocato pochi anni prima, con l’ultimo colpo di falce che aveva relegato in prigione, al confino, all’esilio o al silenzio gli ultimi protagonisti e testimoni torinesi […] il fascismo intorno a noi non aveva antagonisti. Bisognava ricominciare dal niente, «inventare» un nostro antifascismo, crearlo dal germe, dalle radici, dalle nostre radici [SP 898].

La censura riuscì dove l’educazione aveva fallito: coloro che si opponevano direttamente al regime venivano ridotti al silenzio, inibendo così anche qualsiasi altro tentativo di lotta attiva. A mancare erano degli esempi da seguire e imitare, a cui ispirarsi per cominciare la propria resistenza. I giovani che volevano opporsi al fascismo dovevano trovare il loro modo. Levi «inventa» la sua resistenza partendo dallo studio della chimica, una forma passiva di resistenza, ma l’unica forma possibile almeno fino al 1943.

Nel Sistema periodico, di pari passo con il tema della resistenza chimica, Levi concretizza anche l’ombra incombente di Auschwitz: con il senno di poi l’autore reinterpreta alcuni fatti accaduti, o scelte prese, all’ombra della deportazione nel capo di sterminio. I capitoli compresi tra Idrogeno e Oro presentano numerosi riferimenti, allusioni a quello che sarebbe avvenuto dopo, riferendosi sempre ad una dimensione

102

ignota, soverchiante, connessa al buio e all’ombra. In Zinco l’incertezza del futuro si materializza per contrapporsi ad una piccola vittoria personale. Il giovane Levi, vincendo la propria timidezza, accompagna una compagna di corso a casa:

Infine, tremando per l’emozione, infilai il mio braccio sotto il suo. Rita non si sottrasse, e neppure ricambiò la stretta: ma io regolai il mio passo sul suo e mi sentivo ilare e vittorioso. Mi pareva di aver vinto una battaglia, piccola ma decisiva, contro il buio, il vuoto, e gli anni nemici che sopravvenivano. [SP 887].

Alcuni avvenimenti vengono riletti come preparatori degli eventi futuri. È il caso di Ferro in cui Sandro insegna a Levi ad andare su roccia. A Sandro non interessava tanto l’attività sportiva in sé, quanto «conoscere i suoi limiti, misurarsi e migliorarsi; più oscuramente, sentiva il bisogno di prepararsi (e di prepararmi) per un avvenire di ferro, di mese in mese più vicino» [SP 894]. Diverso, ma interpretabile in questa prospettiva, è il tentativo civettuolo di Giulia in Fosforo, di trovare una ragazza per l’amico Levi: «Questa Giulia era un po' strega […] e qualche volta ho osato pensare che questa sua fretta di liberarmi da una vecchia angoscia, e di procurarmi subito una modesta porzione di gioia, venisse da una sua intuizione oscura di quanto il destino mi stava preparando, e mirasse inconsapevolmente a deviarlo» [SP 946]. Anche la scelta di non intraprendere gli studi di fisica offerti a Levi dall’assistente risentono di un oscuro presagio: «Era quello il Vero, quella la Realtà, non c’erano scappatoie, o non per me. Meglio rimanere sulla Terra, giocare coi dipoli in mancanza di meglio, purificare il benzene e prepararsi per un futuro sconosciuto, ma imminente e certamente tragico» [SP 902]. La chimica, così come l’alpinismo, oltre che forme di resistenza al fascismo, diventano anche dei terreni di formazione per l’esperienza concentrazionaria.