A
RLICHINOOh, Arlichino, dov’è ’l tant bon temp, tanti comodi, tant formai, tanti
marangoni? Ma pazienza mi, che giera po servitor, ma i me patroni? Ah, fortuna
desfortuna. Son vegnud a trovar el me paron vecc, a véder se ’l vol qualcossa, come
’l se la passa. Vog un po’ canzonar. Oh, oh, oh, dalla luminosa!
P
ANTALONEOh, oh, olà!
PANTALONE MERCANTE FALLITO ATTO TERZO
III.XI.22: petto intrégo: probabilmente un modo di dire che si riferisce a una condizione di insufficienza fisica: cfr. MUAZZO,p.960, alla voce strettezza de petto: «el patisce strettezze de petto. L’è stretto de petto e per questo nol pol far
certe fadighe, perché ogni tanto ghe manca el respiro»; (forse vi è la possibilità che si debba leggere intregò, per “intricato”, comunque con un significato affine); oppure potrebbe indicare debolezza di carattere, se si considera che MUAZZO,p.841, riporta l’uso del vocabolo petto «per aver coraggio: “el gà petto de resister a qualunque cosa”», e per intiero, p.582: «l’è intiero, gnancora toccà»; qui potrebbe significare: “hai un animo ancora inesperto”, “non hai capacità di resistere a una simile condizione di fatica”.
III.XI.23: magazeno, “osteria”, cfr. sopra B I.V.26. ho una fame che m’ispirito, qui, a differenza di I.VI.1, il significato è letterale e vale “muoio di fame”.
III.XI.24: al penacchio de mezo, “all’albero di mezzo” (della nave), nel senso di farsi impiccare. III.XI.26: mi ho fatto ’l callo, per l’abitudine perpetuata di stare allegramente, qui ovviamente ironico.
III.XI.28: oh, mondo, fatto a tondo, modo proverbiale. me masena ’l coresin, “mi strazia (mi macina) il cuore”.
III.XII.did: da cercantino, da mendicante; il cercante è colui che in una confraternita ha l’ufficio di svolgere la questua. Diana, putto, come nome proprio al maschile dovrebbe ricorre l’insolito Diano.
III.XII.1: ’l tant bon temp, tanti comodi, tant formai, tanti marangoni, la sequenza di rinvii alle condizioni della bella vita che mette insieme formaggi e falegnami è un pezzo di demenzialità eccezionale. fortuna desfortuna, “fortuna sfortuna”. Tutta la conversazione che segue (battute 1-8) utilizza termini della lingua zerga, con la giustificazione di una comunicazione segreta non decifrabile dalla guardia (formigoto, battuta 5), tra padrone e servo. Si veda VESCOVO 1987,
pp.53-55. canzonar, “parlare”, (PRATI 234). luminosa, “finestra” (PRATI 199), secondo il campo semantico che connette lume / luce a guardare / vedere, per cui si confronti anche l’espressione di Pantalone me tien lumào in I.XIII.11.
A
RLICHINOCome stanzia la bolla d’i gambari?
P
ANTALONEDa lodi, da lodi.
5
A
RLICHINOEl vostro formigotto è trucado a intagiar? Come stanzia vostra madre?
P
ANTALONENostra madre smorfirave meza impiraùra d’urti, e co un pèr de
sgionfose de chiaretto ve farave do crichi.
A
RLICHINOIntagio el vostro castagnar, ma stanzia niberta.
P
ANTALONEFago chiassetti con ardor e ’l scalfetto de lenza.
A
RLICHINOAh, sior patron, sior patron.
10
P
ANTALONEArlichin, ti ti è? Coss’è? Cossa fastu?
A
RLICHINOAh, sior patron, sior patron, ehu, ehu, ehu.
P
ANTALONEEh, no pianzer, caro ti, no me conturbar.
A
RLICHINOCossa féu, sior patron? Ehu, ehu, ehu.
P
ANTALONEMi stago ben, veh, ma si gh’avesse da magnar starave megio.
15
A
RLICHINOTolì, tolì, ho qua d’i pezzi de pan che ho trovad cercand, tolì, tolì.
P
ANTALONEDa’ qua, da’ qua; cancaro ’l gh’ha la muffa, eh, n’importa, no, ’l sarà
bon, sì.
A
RLICHINOAh, caro signor patron, de tutt quel che troverò ve ne porterò cert, ehu,
ehu. ehu.
PANTALONE MERCANTE FALLITO ATTO TERZO
III.XII.3: Come stanzia la bolla d’i gambari: in VESCOVO 1987si propone “come alloggia la galera”, considerato che bolla indica “città” (PRATI 44e NUOVO MODO,8,23); sembra possibile aggiungere connotazioni allusive, sia per quanto
riguarda il contesto, sia per alcuni esempi legati al toponimo Treviso, per cui cfr. sopra la nota a B I.II.3.
III.XII.4: Da lodi, “malamente”, proposto in VESCOVO1987a partire da lodo per “brutto” (PRATI 112 e NUOVO MODO
7,16), si veda anche un possibile uso dello stesso termine in B III.IV.8.
III.XII.5: El vostro formigotto è trucado a intagiar?, “il vostro secondino è in grado di intendere?”, da formiga per “soldato”, “questurino” (PRATI 146);si è già visto il significato di trucar per “rubare” in B I.I.2, qui forse vale più “imbrogliare”, connesso a intagiar, per cui BOERIO annota «detto familiarmente accorgersi; insospettirsi»; qui vale “usare il gergo”, se si
considera anche che il parlare in gergo vale come imbrogliare chi non può capire. Come stanzia vostra madre?, “come alloggia la vostra pancia?”, si cfr. il significato di mare in II.X.5 e III.12.25 (anche S I.16.2 e I.16.2).
III.XII.6: smorfirave, “mangerebbe”, da smorfire “mangiare” (PRATI 244),probabilmente nel senso di togliere la morfa,
“fame” (NUOVO MODO,29,19). impiraùra d’urti, “bocconi di pane infilzati”, da impirar, (per cui cfr. sopra
III.II.7) e urto gergale per “pane” (PRATI 8e NUOVO MODO 32,13e 45, 13). co un pèr de sgionfose de chiaretto ve farave do crichi, “con un paio di fiaschi di vin chiaretto vi farebbe due bevute”, sempre in VESCOVO 1987,a partire
dall’annotazione di sgionfose per «mammelle piene di latte» in BOERIO,si propone qualcosa di più morbido come “otre”, invece di “fiasco”. chiaro è “vino” (NUOVO MODO,16,2). Per crichi si può ipotizzare la derivazione da crica, «nome di
giuoco di carte» (BOERIO s.v.), per cui vale l’associazione descritta per vin da poniciò, in B II.V.5; oppure una derivazione
da crico «martinello, ordigno in uso presso gli artiglieri per alzar pesi» (BOERIO), mettendolo in relazione con il movimento di tirare indietro la testa che si fa quando si beve dalla bottiglia o dalla borraccia.
III.XII.7: castagnar, probabilmente da intendere secondo un generico: “parlare”, anche se far castagna significa “essere scoperto” (PRATI 231); in questo senso Pantalone sta “scoprendo” le sue richieste ad Arlichino. stanzia niberta, “non c’
è niente”, “non si passa nulla”: niberta vale “no” (NUOVO MODO, p.352), “niente”, (PRATI 251).
III.XII.8: chiassetti, “divertimenti”, “spassi” (BOERIO). ardor, “pane”, dalla voce gergale artone (NUOVO MODO,
5,15). scalfetto de lenza, “bicchierino d’acqua”, da scalpho “bicchiere” (NUOVO MODO 6, 16 e 39, 24); lenza “acqua” (NUOVO MODO 3,7e26,22).
P
ANTALONEOhimèi, mo no pianzer, caro ti.
A
RLICHINONo poss far de manch, ehu, ehu, ehu.
20
P
ANTALONEVa’ a cerca, va’ a cerca e porteme qualcossa, va’ là.
A
RLICHINOA’ vagh, a’ vagh; e ve porterò cert; ehu, ehu, ehu.
P
ANTALONEPoverazzo! Varé tanti amighi che ho bùo, che m’ha magnào tanti
bezzi, che se vedesse un can, noma sto gramo servitor. Si mai ’l Cielo me agiutasse,
adesso ’l cognosso sto mondazzo desgraziào.
D
IANACospetto de Dina, che no vòi dir altro.
P
ANTALONEÒe putto, ció, vie’ qua, varenta ti.
25
D
IANAEh, seccheme la mare, anca vu. I’ hòi mo persi tutti fina uno?
P
ANTALONEVie’ qua, fame un servizio, te pagherò.
D
IANACoss’è? Cossa ve casca?
P
ANTALONEÒe, ti ti è, Diana? Ció sta pignatta, caro ti, va’ da sier Piatro Orese,
fate dar una grolletta de zambelotto amarizo e un boro de pan traverso; e da capo
Almorò, da parte mia, do soldi de vin, ma préghelo che ’l me lo daga, che ’l possa
batizar.
D
IANADe qua, de qua; varé: un omo de quella sorte cossa che ’l fa comprar; pu.
30
P
ANTALONEVia, via, frasca, stà sui to costrài.
D
IANACoss’è sto frasca, sier veccio matto, disé?
P
ANTALONEAh, fio d’una caldiera, vienme appresso.
D
IANASì? Aspetteme donca.
P
ANTALONEÒe, no me far el matto, sa.
PANTALONE MERCANTE FALLITO ATTO TERZO
III.XII.22: noma sto gramo servitor, “solamente questo misero servitore”.
III.XII.23: cospetto de Dina, (per Diana), interiezione, bestemmia; curioso che il giovane scelga il proprio nome come imprecazione, quasi a dire “maledetto me”.
III.12.25: secchéme la mare, “datemi noia”, “spaccatemi la testa”, mare vale “utero”, (cfr. sopra II.X.5 e più avanti S I.16.2 e I.16.2). I’ hòi mo persi tutti fina uno, “li ho persi tutti fino all’ultimo”.
III.XII.28: ti ti è Diana, Pantalone sembra riconoscere il ragazzo. grolletta de zambelotto amarizò, probabilmente quest’espressione gergale si riferisce un capo di vestiario, dato che in diversi luoghi si trova camellotto, cambellotto, “panno di lana di cammello o di capra”; rimane tuttavia da chiarire il significato preciso dell’espressione, soprattutto per quanto riguarda il rapporto con grolletta, (il BOERIO riporta per grola: «detto per agg. a donna, segrenna; lunga lunga; sciocca
sciocca come gli asparagi di montagna. È lunga magra e sgroppata») e con amarizo (per cui il BOERIO riporta «amarizo o marizo, a marezzo, a foggia d’onde», in questo caso riferibile all’andamento del tessuto); «cameloto o cambeloto, cambellotto o ciambellotto e cammellino. Drappo fatto di pelo di capra. Cameloto de Brusseles, brussellino» (cfr. BOERIO s.v.); il FOLENA riporta: «camelotto, tessuto di pelo di cammello, cammellotto»; e anche il MUAZZO cita il
«cambellotto baracannà, cambellotto de Brusselles»; l’origine del tessuto è antichissima e, anche se il pelo di cammello o di capra ne costituivano la particolarità, già a partire dal XVI secolo ne cominciarono a circolare anche di seta e di lana, (cfr. VITALI s.v.). un boro de pan traverso, “un soldo di pane povero, fatto in casa”. batizar, “annacquare”, forse qui intende “inzuppare” nell’acqua.
III.XII.30: frasca, cfr. sopra B I.XII.12. stà sui to costrai, “sta nei termini”; (i costrai sono le tavole della barca, cfr. BOERIO s.v.).
35
D
IANAÒe, che me casca la testa si ve porto gnente; correme drio, si se’ bon.
P
ANTALONENo ghe mancherave altro ca questa, ala fe’, e si ’l sarà omo de farla,
vedé. Oh poveretto mi! Debotto mo, debotto me passa le zanze.
SCENA XXIII
Tutti
C
ELIOAllegrezza, signor padre, allegrezza!
P
ANTALONECoss’è, coss’è?
C
ELIOÈ morto Tirondello vostro fratello in Bologna, ci ha lasciato tutto; mi son
agiustato col signor Dottore, adesso vi tiraranno fuori e per l’avenire viveremo più
cauti.
P
ANTALONEOh, cossa me còntistu! Èlla po vera?
5
D
OTTORECert, cert, ve faz la fede mi.
C
ELIOOrsù, adesso veniremo a mudarvi d’abiti, e venirete e agiustaremo tutti i
nostri intrighi. Intanto, uditori benigni, compatite la nostra debolezza e apprendete
il vivere da questo verissimo esemplare.
PANTALONE MERCANTE FALLITO ATTO TERZO
III.XII.36: me passa le zanze, “mi passa la passione per le cose frivole”, cfr. sopra I.VII.6.
III.XIII.1: L’allegrezza di Celio che corre ad avvisare il padre che presto verrà scarcerato perché l’eredità lasciata dal fratello morto improvvisamente ha permesso il risarcimento immediato dei debiti, ricorda la conclusione de La putta onorata. Nella commedia goldoniana si tratta di uno svelamento improvviso: Donna Pasqua confessa a Pantalone di aver scambiato i bambini nella culla, rendendo così improvvisamente Pasqualino erede del vecchio mercante, e consentendogli di conseguenza di sposare la sua innamorata Bettina, (cfr. III.XXIII, III.XXIX e III.XXX).
III.XIII.6: Celio congeda il pubblico ricordando di prendere la storia ― cosa che sembra difficile, vista la condizione ― come exemplum vitae.