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posso una volta sbrissar su un scorzo de melon e farla, quella tombola maligna; xe tardoto, vogio chiamarla e metter l’ordene de far fuora robba.

(batte)

B

AGOLINO

Sior Pantalon, mio patronazzo.

P

ANTALONE

Dov’è la parona?

B

AGOLINO

La vien, la vien, signor, vèla qua.

5

B

EATRICE

Riverisco il mio caro amato signor Pantalone.

P

ANTALONE

Ve saludo la mia siora bella Beatrice, vìssere, cuor, zogiello, anema de

sto corpetto desconìo.

B

AGOLINO

Cancar al gh’è imbertonà!

PANTALONE MERCANTE FALLITO ATTO SECONDO

II.III.1: sbasisso, letteralmente “agghiaccio”, qui vale, come sopra in I.VIII.15, “muoio di voglia”. p i ù d’una quarta, «quarto, quarta parte di che che sia; misura che tiene la quarta parte di un quartiere veneziano» (BOERIO

s.v.). dagnora, “sempre”. in anda, «anda, andamento, guisa di portarsi» indica essere in anda e quindi esser tenuto in anda indica l’azione o la costrizione alla stessa, il contrario della quiete, (BOERIO s.v. anda traduce col ricorso al

francese etre en train). ti me fa licar le zatte co fa l’orseta, modo proverbiale che indica, conformemente a tutte le altre espressioni pronunciate similmente da Pantalone, la sofferenza per l’impossibilità di soddisfare l’appetito (in questo caso amoroso); l’immagine è curiosa e di non facile interpretazione; può trarsi un suggerimento dalla citazione che MUAZZO, p.770, fa del Guarini e del suo Pastor fido, (III.VI): «caro Mirtillo e come l’orsa suole / con la lingua dar forma / all’informe suo parto, / che per sé fora inutilmente nato, / così l’amante al semplice desire, / che nel suo nascimento / era infermo ed informe, / dando forma e vigore / ne fa nascere amore» : il parallelo tra l’orsa che dà vita ai suoi cuccioli e l’amante che si cura della nascita del suo amore con dedizione e con pazienza sembra possa essere calzante per una visione che fa prevalere l’aspetto sentimentale della metafora; a questo si aggiunga il parallelismo iterato (cfr. B I.IX.6) di zatta / mano (e quindi anche déi) nell’espressione liccar i dei, (ivip.629), «ve podé liccar i dei sta volta, che no ghe ne sfinfé con quel muso. Ve podé forbir la bocca co’ vollé, che no magné de sta robba gnanca se vegnì tanto alto», o ancora (ivi p.647) «ve podé liccar i dei quanto che vollé che no ve ne tocca de sta roba che gò qua»”. Da considerare, come icona presente nell’immaginario cittadino, l’insegna della Farmacia dell’Orso, in campo Santa Maria Formosa: l’animale è appunto rappresentato mentre si lecca una zampa. Questa immagine doveva essere ben nota ai veneziani, che avrebbero potuto trarne di certo modi di dire. Adattandola al testo, forse l’idea dell’insegna della farmacia, con l’orso nell’atto di “leccarsi le ferite”, in questo caso d’amore, potrebbe finalmente anche incorrere nel significato allusivo osceno di “doversi curare da solo”, “arrangiarsi”. si te zonzo si te zonzo, “se ti acchiappo”. refarme, “riscattarmi, vendicarmi”. no la vogio lassar de pesto, “non voglio perderla di vista”, nel senso di non volerne smarrir le tracce; oltre al senso di pesto, “tritume”, registrato dal BOERIO si veda quello di pestar, “calpestare, lasciar impronta”.

menarla a torzio, “portarla in giro, a spasso”, cfr. BOERIO «andare a torzio o a torzion, andar a girone, a zonzo, a ronda, vale andar attorno e non saper dove», qui nel senso non negativo; ma si veda anche «menar a torzio uno, detto figurato aggirare; abbindolare», inteso qui non nel senso dell’inganno, ma della possibilità di far cedere la resistenza della donna. sbrissar su un scorzo de melon, “scivolare su una buccia di melone”, modo proverbiale; qui nel senso di sbrissada, (cfr. BOERIO s.v.) «fare una scappata o una scappattella, commettere alcuno errore o una leggerezza», in senso antifrastico: cfr. il successivo tombola maligna, nel senso di “maledetta”, perché non succede mai. t a r d o t o , “piuttosto tardi”. far fuora robba, cfr. sopra I.VIII.15.

II.III.6: zogiello, “gioiello”, “gioia”. desconìo, «aggettivo a persona, disparuto; consumato; estenuato; magrissimo; spento; spunto; scanicato, detto figurato, voce tratta dallo spiccarsi delle mura e cadere a terra degli intonachi» (BOERIO s.v.); in MUAZZO,p. 463, si ritrova l’espressione esser desconio: «zé l’istesso che esser zo de ciera e poco in carne».

II.III.7: imbertonà, “infoiato”, “voglioso”, “follemente innamorato” in connessione con berta, probabilmente nel senso del gergale “tasca”, “scarsella”, “saccoccia”, di cui risulta evidente il traslato osceno, (ma si veda anche l’espressione star in berta per “essere in compagnia amorosa”, BELLONI 2003,p.201, e ivi nota 13-15 p.184 per imbertonào) e berton, «drudo di puttana, cioè colui che vive alle di lei spalle», BOERIO. Il Pantalon imbertonào, già topico, è il titolo di una commedia

P

ANTALONE

Mo disé, cara vita mia, sempre notte sempre e mai vignerà dì, mai,

mai? Mo crepo, sc’ioppo, no posso pì star in stroppa.

B

EATRICE

A bell’agio, a bell’agio signor Pantalone, sapete che voi solo sete l’unico

scopo de’ miei amori.

10

P

ANTALONE

Mo gh’averave giusto bisogno d’un puoco d’agio, perché debotto

debotto vago in fastidio.

B

AGOLINO

Sior Pantalon, prudenza, speranza e moneda, nel rest no v’indubité.

P

ANTALONE

Eh ho capìo via; che cade? Orsù, sentì, siora Beatrice, sta sera vorrave

che ve degnessi de vegnìr con mi a far colazion in gondola, anderemo un puoco a

passar l’ore malinconiose; cossa diséu, siora? Vigneréu?

B

EATRICE

Venirò a servirvi più che volentieri.

P

ANTALONE

Oh, ben, vignerò a levarve per canal, hàu inteso?

15

B

EATRICE

Benissimo, starò attendendovi.

P

ANTALONE

Sì, caretta, vago a metter all’ordene, che ’l scuro xe puoco al largo; ve

saludo, savéu?

B

EATRICE

Anch’io voi, signor Pantalone, e mi ritiro in casa a prepararmi.

P

ANTALONE

Sì, cara, andé; quando vignerògio anca mi a tegnirve su la còa?

B

AGOLINO

Flema e moneda, sior Pantalon, e no v’ indubité.

20

P

ANTALONE

Cape, ti ghe va de vita alla monea; pussibile che no t’ignosserò anca ti

un zorno! Ah; l’è andada drento, vago via anca mi de vuoga battùa a tirarme in

squero: oh, si questa fusse la notte dalle manàtole; oh, che grìzzoli, oh, che

cattarìgole, che me sento!

PANTALONE MERCANTE FALLITO ATTO SECONDO

II.III.8: star in stroppa, come tegnir in stropa, “tenere in freno o a freno”, “raffrenare”, “contenersi”, (cfr. BOERIO s.v. stropa), letteralmente la stroppa è «vermena di stralcio con cui si legano le viti, le innestature e altro»; MUAZZO ne da un esempio

d’uso più calzante per i significati legati al desiderio amoroso: «gò un prurito, una vogia de maridarme, la carne me stimola, no posso più star in stroppa», (p.786 s.v. prurito ).

II.III.9: a bell’agio, “con pazienza”, da cui il gioco di parole di Pantalone nella battuta successiva con agio, per “aglio”, usato per riprendersi dallo svenimento, perché deboto vado in fastidio.

II.III.12: che cade, “che succede”.

II.III.14: vignerò a levarve per canal, “verrò a prendervi dalla porta d’acqua”, cfr. B I.VI.11.

II.III.16: ’l scuro xe puoco al largo, “lo scuro è poco lontano” con metafora acquatica, “la sera sta scendendo”. II.III.18: a tegnirve su la còa, “a reggervi lo strascico”, qui osceno.

II.III.20: ti ghe va de vita alla monea, “non pensi ad altro che ai soldi”. che no t’ingosserò, “che non ti riempirò il gozzo”. de vuoga battùa, “a tutta voga, vogando di tutta forza”. tirarme in squero, completa la metafora precedente con il referente del cantiere per le barche; per il traslato tirarse in squero, «rassettarsi: abbellirsi» (cfr. il BOERIO

s. v. tirar); si veda per l’uso MUAZZO,p.1027, dove, alludendo evidentemente a una donna, riporta: «mo’ la zé tirada in

squerro sta mattina che la fa la bella voggia, la innamora nome a vardarla». manàtole, cfr. sopra I.V.15 e B I.VI.13. grizzoli, «capricci, umore o pensierio stravagante o fantastico, ma nel senso letterale tremore, brivido» (BOERIO

s.v.). cattarigole, «gatarìgole, gatùssole, gatèle, gaterìgole, gatìzzole (poles.), catarìgole, catorìgole, gatorìgole (venez.), gatarìgole (trevis.), catùzzole, gate (valsug.), gàtole (Fracena, Tezze), gatùssole, gatùzzule (Pieris), catùzzole (Folignano), gatarìgole, gatìzzole (rover.) “solletico” (PRATI EV).

SCENA IV

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