C
ELIOAh, sorte infida! Ah, rio destino! Ma dirò meglio; ah, Celio inavertente!
P
ANTALONEÒe, chi è culù la? Qualche conzalavezi?
C
ELIOMa, e come viverò? Oh, me infelice!
P
ANTALONEAll’ose ’l me par Celio.
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C
ELIONon ho soldi, non ho robba, come farò?
P
ANTALONEGiusto lu l’è, gramazzo, ’l me fa peccào.
PANTALONE MERCANTE FALLITO ATTO TERZO
Fenisso de stuffarve, cominciano così le ultime due strofe di congedo. cusì ’l gh’avesse ancora, “se avesse ancora tempo”, nel senso di “se potesse tornar indietro”. almanco abbiéle a care per l’agiare del flon, chiusa con captatio benevolentiae che fa riferimento alla popolarità dell’aria, direttamente eseguita da Pantalone che si esibisce anche nelle altre commedie del trittico, accompagnandosi col violino, secondo la tipologia del canto accompagnato dalla viola da braccio. che ghe paghessimo el frùo, “che gli pagassimo il consumo, l’affitto” dello strumento.
III.XI.2: qualche conzalavezi, “colui che ripara col fil di ferro le stoviglie rotte”, cfr. sopra II.XIII.45; e cfr. anche MUAZZO,
p.619 s.v. liccapiatti: «e chi li conza i piatti de terra, co’ i se rompe e che i va za per le strade a criando, i se giama conzalavezzi e i li unisce col farghe do busi o tre e quanti che ghe n’è bisogno col trivello e con tocchi de ferretto sottilo e nualtri ghe disemo a chi zé de mestier “caro vu, deghe do o tre ponti a sto piatto, che el se m’à crepà, el se m’à averto, el se m’à sfezo”». Celio è evidentemente così malvestito (come indicato nella didascalia) da sembrare un povero mestierante ambulante.
III.XI.4: all’ose, “dalla voce”. III.XI.6: ’l me fa peccào, “mi fa pena”.
C
ELIOÈ qui la prigione; eccovi, eccovi mio padre; poveraccio mi commuove le
lacrime.
P
ANTALONEMo l’è ben sbrìndoli, sbrìndoli per campagna.
C
ELIOImaginatevi in che miserie deve essere, voglio salutarlo. Signor padre.
10
P
ANTALONEÒe, bella creatura, séu in corte de qualche strazzeferut?
C
ELIOAvete il morbino è vero, benché sete in prigione?
P
ANTALONECaro ti, stago megio qua che in palùo.
C
ELIOCosa mangiate? Come vivete? Io non so.
P
ANTALONEMi magno d’i gardellini in pastizzo, mi.
15
C
ELIOMa a che stato sete ridotto per cagione del vostro sregolato vivere.
P
ANTALONEÒe, dimelo che no te ’l diga veh, ciappa ’l tratto avanti.
C
ELIOVi son anch’io certo; ma voi m’avete dato il buon esempio.
P
ANTALONETi, sier carogna, co ti me vedevi mi andar a orza ti dovevi tegnir dretto
’l timon; no sastu che un matto per casa basta?
C
ELIOBene, bene, a buon conto io non so che mangiare, né dove dormire.
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P
ANTALONEVa’ a far el zaffo.
C
ELIOSon in stato d’andarmi a vender in gallìa.
PANTALONE MERCANTE FALLITO ATTO TERZO
III.XI.8: sbrìndoli per campagna, proverbiale che indica l’andare malconcio, cfr. «sbrindoloso, vestito di cenci» (BOERIO
s.v.), senza una meta, cfr. «andar sbrindolando, andar a girone, a zonzo, a ronda, vale andar attorno e non saper dove. Ronzare in qua e in là; andare in tregenda, vale aggirarsi senza proposito alcuno» (BOERIO s.v. sbrindolàr).
III.XI.10: séu in corte de qualche strazzeferut, “lavorate alle dipendenze di qualche straccivendolo”, «chiamasi tra noi il ferravecchio, che gira per la città e compra non solo ferro vecchio, ma sferre d’ogni genere; ed anche cenci. Costui va gridando chi ha strazze? fero vechio? roba vechia da tocar bezzi; poi grida più forte strazze fer rut» (BOERIO s.v.); si veda
anche B II.XIV.1.
III.XI.11: avete il morbino: «volontà di ridere, scherzare, star sulle burle», anche «allegria, bel tempo» e «allegria smoderata», (cfr. FOLENA s.v.).
III.XI.12: stago megio qua che in palùo, “sto meglio qui che in palude”, a indicare luogo desolato «basso fondo di laguna di natura arenosa o pantanosa e talvolta anche crepacea, coperto dal più al meno di piante, che va ricoperto dall’acqua marina quando questa è nel suo colmo e scoperto dal riflusso» (BOERIO s.v.).
III.XI.14: d’i gardellini in pastizzo, “cardellini in pasticcio” (cotti dentro una crosta di pasta), ironico per indicare pietanza scelta e prelibata, impossibile da mangiare in prigione; si noti un esempio di frase a cornice, per cui cfr. sopra III.II.1. III.XI.16: dimelo che no te ’l diga, forma proverbiale del tipo di “senti chi parla”. ciappa ’l tratto avanti, “vai avanti di un pezzo”; indica che Celio lo ha superato sulla stessa cattiva strada; l’espressione viene riportata anche da MUAZZO,p.531: «l’è cogion anca lu come i so veggi: el sa giappar el tratto davanti, come ognun de nu. Andeghela a far se sé capaci, che ve stimo; l’è andà a scuola avanti de vu», e ancora, p.550: «quando uno arriva a conseguir una cosa, sia carica sia beni sia patrocinio, prima dell’altro che concorra per l’istesso effetto se dise: “l’à giappà el tratto avanti”»; si veda infine, p. 554: «giappar el tratto avanti zé anticipar le base e far avanti del stabilio e del compagno quella tal data cosa».
III.XI.18: co ti me vedevi mi andar a orza, con la successiva metafora di tener dretto ’l timón, indica l’uscita di rotta: orza «quella corda che si lega nel capo dell’antenna del naviglio da man sinistra»; «andar a orza vale a nave sbandata a sinistra» (BOERIO s.v.), quindi con la necessità di raddrizzare la rotta col timone.