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dé qua, sior, v’amarzé; saludé ’l veccio;

fradelli andemo che ho tirà su ’l seccio.

10

B

AGOLINO

Andé, andé, che in sta volta avé fatt una bona parada.

P

ANTALONE

Bagolin, dov’èstu? Via destrìghete.

B

AGOLINO

Vegn, vegn; son zà.

(entra)

L

EANDRO

(a parte) Questo è il casino per quanto Bagolino mi ha motivato.

P

ANTALONE

Èllo andà via?

15

B

AGOLINO

L’è andà, l’è andà sior.

L

UCINDO

(a parte) Giusto per apunto sentite che parlano.

P

ANTALONE

(a parte) Via, siora Beatrice, allegramente, feme un puoco un prindese.

L

UCINDO

(a parte) Osservate signor Leandro a prenderci spasso con questo vecchio.

L

EANDRO

(a parte) Sì, sì, fateli qualche burla.

PANTALONE MERCANTE FALLITO ATTO SECONDO

II.XIII.7: un occio che’l me cava se l’è un spin, locuzione proverbiale, girata secondo la scansione del verso, cfr. levarse o cavarse un spin dai occi, «liberarsi da che che sia da se molto molesto» (BOERIO s.v. spin),indicando che, al contrario di Bagolino,

(“che lo caverebbe di torno come si cava uno spino dall’occhio”) Pantalone è molto generoso, il che gli fa ottenere oltre al vino anche la successiva mancia.

II.XIII.8: l’è ben gagioso, cfr. sopra I.XII.4.

II.XIII.9: siela pur quella zatta benedia, “sia pur benedetta quella mano”, (cfr. PB I.IX.6 ):l’improvvisante prende il denaro da Bagolino (dé qua), e ringrazia, (v’amarzé: cfr. sopra II.VII.6). fradelli andémo che ho tirà su ’l seccio, la chiusa, mentre dichiara l’avvenuta corresponsione della mancia, conferma la presenza dei suonatori che accompagnano l’esibizione dell’improvvisante (cfr. II.XIII.2).

II.XIII.10: bona parada, con riferimento al significato di parada, «dicono i nostri barcaioli del passaggio che fanno dal canale tragittando alcuni passeggeri da una sponda all’atra» (BOERIO s.v.);si fa allusione all’obolo guadagnato con la stes, (cfr. II.V.did).

II.XIII.11: destrìghete, “spicciati”.

II.XIII.13: per quanto Bagolino mi ha motivato, “secondo quanto mi ha detto Bagolino”: Leandro e Lucindo arrivano sotto le finestre del casino, d’accordo con Bagolino, in modo di interrompere bruscamente l’intrattenimento amoroso; la scena si svolge, come prima, ascoltando le voci di Pantalone, Beatrice e Bagolino dall’interno, fino alla loro uscita in seguito alle provocazioni dei due bulli.

20

P

ANTALONE

Èllo cotto quel figào gnancora?

L

UCINDO

Ti ti è cotto.

P

ANTALONE

Ola! De chi è sta ose?

B

AGOLINO

Eh de fuora, de fuora, qualch baron.

P

ANTALONE

Àu vogia, baronagia, che ve sguoda un bocal de pisso in cào?

25

L

UCINDO

Puoi beverlo tu quello, vecchio matto.

P

ANTALONE

Sì, altro ca baronagia. Vegnìu a tender rede, sier canapiolo? No faré

gnente, varé.

L

EANDRO

Noi mangiaremo a tuo conto.

P

ANTALONE

Òe; i è in qui puochi, ho inteso.

L

UCINDO

È finita ancora la prima tavola?

30

P

ANTALONE

Ah, scartozzi, destruzzeressi un piatto de lasagne?

L

UCINDO

Più tosto dei macaroni par tuo.

P

ANTALONE

Magnéu de grasso? Ve trarò zò quattro osseti da rosegar.

PANTALONE MERCANTE FALLITO ATTO SECONDO

II.XIII.20: èllo cotto quel figào gnancora, “non è ancora cotto quel fegato”; non si capisce se la domanda sia realistica (qualcuno sta cucinando?), oppure se si riferisce in maniera molto bassa (come da prassi per Pantalone, si veda ancora I.VI.1 ) all’innamoramento di Beatrice, che non è ancora giunto al punto desiderato di “cottura”.

II.XIII.21: ti ti è cotto, comincia con questa risposta, (che forse farebbe propendere per l’interpretazione figurata della battuta precedente, anche se la frase ricorda una formula di gioco che indica “sei stato preso”, per cui cfr. introduzione p. 12, che qui potrebbe valere “sei in trappola”), la burla di Leandro e Lucindo ai danni di Pantalone.

II.XIII.22: ose, “voce”; a conferma dello svolgimento della scena tra interno ed esterno del casino.

II.XIII.23: qualche baron, Bagolino fa risalire la voce a qualche mascalzone che passa di lì per caso, quando sa esattamente di chi si tratti, avendo organizzato egli stesso il tiro al vecchio; per baron cfr. B I.I.5.did.

II.XIII.24: hau, per avéu. baronagia, “gentaglia”, “manipolo di baroni” (vedi di nuovo B I.I.5.did). che ve sguoda un bocal de pisso in cào, “che vi svuoti un pitale di urina in testa”, con forma sguodar per svodar; la risposta di Pantalone anche se rappresenta un’azione tipica da chi è disturbato all’interno delle mura di casa, perde un tantino di efficacia minacciosa, dal momento che lo sappiamo trovarsi al piano terra.

II.XIII.25: La risposta dei molestatori è decisamente offensiva.

II.XIII.26: vegnìu a tender rede, l’espressione evidentemente proverbiale, rinvia all’azione di gettare le reti da pesca, ed ha significato di traslato sul tipo di ciapar in rede, “ingannare” (cfr. BOERIO s.v. rede); qui nel senso di “volete mettermi alle

strette”. sier canapiolo, “signorino ridicolo”, “da nulla”, cfr. sopra B I.III.5. No faré gnente, “non cederò ai vostri affronti”.

II.XIII.28: questa battuta, come la numero quaranta, sebbene non contrassegnata da una didascalia che lo specifichi, sembrerebbe rivolta verso l’interno del casino, cioè detta da Pantalone a Bagolino e Arlichino, allo scopo di misurare e preparare l’imminente scontro.

II.XIII.29: è finita ancora la prima tavola: “è finita la prima portata del pranzo”, (forse qui si ammette anche il significato letterale per II.XIII.20).

II.XIII.30: scartozzi, cfr. sopra B I.III.3. destruzzeressi un piatto de lasagne, “fareste fuori un piatto di lasagne”. La prima parte dei diverbi che seguono procede per metafore di portata culinaria: macaroni, per gnoco, «detto per aggettivo a uomo, gnocco; ignocco; balordo; sempliciotto; merlotto; più grosso che l’acqua de’ maccheroni» (BOERIO s.v.), cfr. anche sopra

B II.VI.12, e MUAZZO,p.524: «gnocco: maccacco». mangnéu de grasso, “mangiate in abbondanza”: il botta e risposta vede da una parte Leandro e Lucindo che vogliono mangiare tanto, e dall’altra Pantalone che tende a dargliele corte, offrendo scarti, come i seguenti: osseti da rosegar, “ossicini da rosicchiare”, ma anche «osso duro da rosegàr, detto figurato vale impresa di riuscita difficile o pericolosa» e anche, (calzante come minaccia da parte di Pantalone in questo caso), «egli ha a che fare con persona potente, contro cui difficilmente riuscirà» (BOERIO s.v. osso).

L

EANDRO

Lecati pur tu le zatte, che noi mangiamo carne a panza piena.

P

ANTALONE

So, so che destué i paveri alla moda.

35

L

UCINDO

Sì quando il tuo naso non c’impedisse.

P

ANTALONE

Hala fenisto sta musica, cannoni?

L

UCINDO

Fai tante ciacole perché sei in casa, è vero, uomo da niente?

P

ANTALONE

Veramente chi avesse paura de fumo de raffioi.

L

EANDRO

Tanto che ti batteressimo via le piatole.

40

P

ANTALONE

Eh, casì che si fago vista d’averzer la porta, batté delongo ’l taccon.

L

UCINDO

Non sei figlio d’un uomo onorato se non vieni fuori.

PANTALONE MERCANTE FALLITO ATTO SECONDO

II.XIII.33: questa battuta comprova il significato dell’espressione proverbiale, ti me fa licar le zatte co fa l’orseta, annotata sopra in II.III.1.

II.XIII.34: so che destué i pavéri alla moda, “so che spegnete gli stoppini alla moda”: Pantalone reagisce bruscamente e dà, con questa battuta dai modi pesanti, dei sodomiti passivi ai baroni; cfr. anche l’attestazione oscena in MUAZZO,p. 659:

«de tanto in tanto me piase, nella cristianella de Dio, moggiar el pavero».

II.XIII.35: quando il tuo naso non c’impedisse, la risposta pronta del bravo si rifà ad espressioni correnti come: «dar del naso s’intende volerse intrigar nei fatti dei altri» (MUAZZO p.722), anche nella versione: «tettar de nazo, tettar intel culo o intel cesto zé l’istesso che infastidir e dar noia alle persone che diressimo anca parlando più schiettamente seccar i cogioni» (ivi p.1065); «dar de naso a uno, fiutare uno, detto figurato vale seccare, importunare, molestar uno disturbarlo» (BOERIO s.v. naso); «dar di naso in culo a qualcuno: intromettersi nelle sue faccende, andarvi a curiosare;

recare molestia, fastidio» (GDLI s.v naso); (con lo stesso significato si veda anche l’uso di Calmo, in BELLONI 2003,nota 3, p.52); ma in questo caso l’espressione è ancora più bassa e materiale, cominciando un grave appesantimento delle offese, e indica che il naso di Pantalone messo nel culo impedisce l’operazione descritta nella battuta precedente, di destuar i pavéri.

II.XIII.36: hala fenisto sta musica, “è finita questa musica”, nel senso di “vogliamo finirla”. cannoni, più che al senso metaforico comune di cannone, peraltro non registrato da BOERIO, che si potrebbe connettere allo sparare delle

insolenze da parte dei bravi, l’epiteto potrebbe intendersi nel senso del canon del servizial, (cfr. BOERIO s.v. servizial), «quella parte dello schizzatoio che viene riempiuta del liquore in cui entra lo stantufo», per cui la metafora, seguendo quanto espresso nelle battute precedenti, riguarda il clistere.

II.XIII.38: fumo de raffioi, “il fumo della pentola in cui bollono i ravioli”: aver paura di nulla. II.XIII.39: che ti batteressimo via le piattole, “che ti facessimo saltar via le piattole” (a suon di bastonate).

II.XIII.40: che se fago vista de averzer la porta batté delongo el taccón, “che se mostro di voler aprire la porta state pronti subito a pestare”: batter el taccón, (non attestato) “preparatevi con mezzi di offesa”; la battuta, (come II.XIII.28), nonostante non vi sia indicazione didascalica, sembra essere rivolta a Bagolino e Arlichino all’interno del casino, allo scopo di preparare l’attacco: i due bravi stanno istigando Pantalone in tutti i modi per farlo venire fuori; di conseguenza egli sta ideando una, seppur semplice, strategia, per non farsi gabbare all’apertura della porta; la locuzione considerato il contesto e quanto indicato dalla didascalia che segue la battuta 44, soprattutto in relazione agli usi del verbo batter, (per cui cfr. BOERIO s.v.), indica l’ordine di prepararsi a bastonare i bravi all’apertura della porta; alla lettera il taccón, «taccone o

tacco» è il «pezzo di cuoio che si applicca alle scarpe rattoppandole» (BOERIO s.v.) e dunque plausibilmente il batter il taccón sembra riferirsi all’operazione di battitura del cuoio col martello da parte del calzolaio; nella medesima direzione MUAZZO, p.139,riporta l’espressione batter nel duro che «zé l’istesso che aver motivo d’incontrar uno che ve mostra el muso», quindi “ricercare lo scontro”; ma anche, s.v. tacconar, taccon, p.1033, nel senso di “rattoppare”, viene riportata l’espressione «tacconar una donna zé l’istesso che giavarla»: in questo caso si tornerebbe al campo semantico della “buggerata” (battute 34-35) nel senso di “ingannare i bravi”, “prenderli di sorpresa”. Infine, riguardo allo scontro rissoso, taccón potrebbe intendersi come accrescitivo di tacca, nel senso di “segno” derivato da percosse: per MUAZZO,(p. 1073), come tacca «nualtri intendemo quelle maggie, segni o pustule che vien lassae o su per il viso o per la vita dalla natura o da qualche infermità, come saravve a dir co’ zé passae le variole resta tutto el viso tacche. Quando uno vien bastonà da un altro ghe resta la vita tutta tacche»; e, ugualmente, il BOERIO (s.v. taca) registra l’espressione «dar la taca,

P

ANTALONE

Se’ un fio de donna Betta e un fio d’una caldiera si no me spetté.

L

EANDRO

(a parte) All’erta, signor Lucindo, che viene.

L

UCINDO

(a parte) Eh, lasciate far a me; voglio gettarlo in aqua, niente altro.

(escono Pantalone, con spenton, Bagolino con arma e Arlichino con una stanga)

45

P

ANTALONE

Son qua, siori tràpanalavezi, a nu; via de qua, via.

L

UCINDO

Alon, alon, vecchio porco.

(qui si danno e Pantalon va in aqua)

P

ANTALONE

Bagolin, Arlichin, saldi; ohimèi agiuto, agiuto!

PANTALONE MERCANTE FALLITO ATTO SECONDO

II.XIII.42: fio de donna Betta, fio de caldiera, espressioni spregiative, insulti; per la serie con fio de cfr. B I.II.4; in questo caso si può far notare il detto siora Betta dalla lengua schieta (BOERIO s.v. ) per “parlare senza riguardo”, ma bisogna ricordare che

Betta ricorre come nome tipico da prostituta, (cfr. Bettina e Betta Pottón in B I.VI.9); per caldiera, propriamente il “paiolo”, (cfr. BOERIO s.v.), è facile intuire l’allusione oscena; MUAZZO,p.197, riporta anche un toponimo: «son stà una volta

svalizà alle Basse de Caldiera» (oggi Caldiero), come annota il curatore «zona tra Vicenza e Verona, all’epoca infestate dai malviventi».

II.XIII.44did: Pantalone, Bagolino e Arlichino escono armati con quanto hanno potuto trovare all’interno del casino: con spenton, probabilmente forma impropria per speón «spiedone; spiedo grande» (BOERIO s.v.); oppure pezzo di legno che si

usa per chiudere la porta, (anche se questa seconda accezione sembra da escludere perché indicata più precisamente dalla voce seguente), per cui si veda anche D’ONGHIA V, 58. stanga, pertica, sbarra «quel lungo e grosso pezzo

di legno che si mette dietro all’uscio per serrarlo» (BOERIO s.v.).

II.XIII.45: tràpanalavezi, letteralmente “trapanapentole”, trapanar “forare col trapano”, “chi scava nella pietra per farne pentole” (lavezi); il tutto si intende come una delle solite metafore oscene, in relazione semantica con caldiera della battuta 42; il lavezo è un «vaso di pietra viva fatto al tornio, per cuocervi dentro la vivanda in cambio di pentola; esso ha il manico come il paiuolo» (BOERIO s.v.); si veda anche MUAZZO,p.648 s.v. lavezo: «nualtri intendemmo piadenne, boccai, caini, piatti, squelle, antianni e cose simili fatte de terra, tanto che co’ i creppa e che i se rompe ghe zé el consalavezi che li ponta insieme con el fil de ferro e unisse le creppe e le sfeze e che zé uno che va attorno criando per le strade “chi vol consalavezi” e che vive de questo»; si veda anche Calmo, Sonetto [I] l’è pezzo haver el lavezzo scachìo, BELLONI 2003,p.51.

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