G
ALLINAROPolastre grosse, polastre! Son qua a sto per, che no gh’ho altro: oh che
marzadeghe! Son qua; chi le magna?
P
ANTALONEDalle polastre!
G
ALLINAROA chiaméu, sior? Oh che polastre che ve tocca, a saìu che le è giusto un
smalzo!
P
ANTALONECos’è sto saìu? Che semio a Teolo, sier tocco de villan? Cosa vustu che
te daga de sti do struzzi?
(Pantalon guarda ben bene le polastre)
5
G
ALLINAROQueste le è bone polastre, se v’intendì, vedé, sior.
P
ANTALONEChe crédistu, che sti denti no i ghe ne traversa ogni dì, di’, pezzo de
salghèr? Ma basta: èstu forsi da Campo San Piero? So che la to ciera te mostra
galantomo.
G
ALLINAROMi son da Campo Nogara, dove se ingrassa le ocche.
P
ANTALONEMagari fùsistu anca dal Zocco o da Legnago! Dimme, èlle morte sul so
letto?
G
ALLINARODa vero, da Campo Nogara, che le ho mazzàe stamattina.
PANTALONE BULLO ATTO PRIMO
I.XI.1: son qua a sto pèr, che no gh’ho altro, il gallinaro reclamizza gli ultimi due capponi rimastigli. m a r z a d e g h e , letteralmente “di marzo” per il grano ed il frumento e tutto ciò che si raccoglie nel mese di marzo (cfr. BOERIO s.v.), generalmente inteso come riferito alle primizie e alle merci fresche; MUAZZO (p.658 s.v. marzo) riporta l’espressione come
propria di «quello che va attorno con le capponere in spalla a vender pollame per la città el cria “qua le pollastre marzadeghe, capponi, pollastri, colombini”»; e ancora (p.745) imita il grido dei venditori «oh dalle marzadeghe pollastre! Oh dalla salata! Oh dai fazzi!».
I.XI.3: le è giusto un smalzo, “son davvero un burro”, riferito alla morbidezza delle carni.
I.XI.4: Teolo, paese in provincia di Padova: l’elenco di alcuni luoghi della campagna tra Venezia e Padova ha lo scopo di schernire il gallinaro in quanto “villano”, non uso ai costumi cittadini, grezzo e ignorante.
I.XI.6: no i ghe ne traversa, “non ne mastichino” con sfumatura furbesca. pezzo de salghèr, “pezzo di legno, stolido”; da “salice”, in senso figurato «villanaccio, tanghero, increato, sgangherato» (BOERIO). èstu forsi da Camposanpiero, “sei
forse da Camposanpiero” nel padovano; la battuta è pronunciata in tono canzonatorio, come la precedente. I.XI.7: Campo Nogara, Camponogara, paese in provincia di Venezia, (cfr. di nuovo I.XI.4).
I.XI.8: Zocco, paese tra Padova e Vicenza. Legnago, paese in provincia di Verona; in questi ultimi due toponimi, oltre alla funzione di insulto, come illustrato in I.XI.4, si offre il riferimento a legno, come aggiunta alle offese nel senso di “testa di legno”, ma anche si veda il significato furbesco di Legnago in I.III.8. èlle morte sul so letto, “sono morte di vecchiaia, di malattia” (cioè non sono state ammazzate di proposito); MUAZZO, p.684, riporta l’espressione
nell’ambito del pollame: «morir sul so bon letto. Che scarcozzo de pollastro zé mai questo? Ò pensier che el sia morto sul so bon letto».
10
P
ANTALONETi vuol dir che ti le ha viste morte stamattina, e così ti me le vorravi
mo fracar adosso, n’ è vero, sier birba? Orsù, cosa vusto che te daga?
G
ALLINAROMi vogio quattro lire.
P
ANTALONEQuattro lire, sier villan, de ste do celeghe?
G
ALLINAROMi a’ ve le dago per polastrazze squarzadonazze.
P
ANTALONEMi te vogio dar un quarto de ferro.
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G
ALLINAROA’ no volì magnar polame, a’ saìu che l’è caro.
(in questo mentre sopragiunge Mezetino)
M
EZZETINOChe conscienza, trenta soldi de ste polastre! Du, tre e quatter,
quattordese: le val zust un ducat. Dim, car compar, a’ vustu venderle a mi, che a’
gh’ho conscienza? Lassa mo véder…
(Cancar, le è bone!)
G
ALLINAROA’ ve le darò mi, se a’ le vollì comprare.
P
ANTALONECos’è qua, sier fio de so sàntola da Castello? Cosa vegnìu, a incalzar el
polame? No so chi me tegna che no te cazza sto cavadenti in un occio!
(li mostra la cinquadéa)
PANTALONE BULLO ATTO PRIMO
I.XI.10: fracar adosso, “premere addosso”, nel senso osceno di ficcarlo: «fraccareghela, ficcarla; cignerla; accoccarla; sonarla; calarla; appiccarla; vale fare a chi che sia qualche danno o dispiacere o beffa» (BOERIO s.v. fracar). s i e r birba, “birbone”, “furfante”.
I.XI.12: celeghe, “passerotti”, “uccellini”.
I.XI.13: polastrazze squarzadonazze, l’espressione sembra riconducibile a squarzo, “sfarzo, sfarzoso, magnifico splendido”, in questo caso “carne molto ghiotta” (cfr. BOERIO s.v. sfarzo e sfarzoso); registrata anche da MUAZZO (p.942 s.v. squarzo): «[…] che carne squarzadona che zé questa».
I.XI.14: quarto de fero, “quarto di ducato”, cfr. sopra I.I.3.
I.XI.15: a’ no volì magnar polame, a’ saìu che l’è caro, “voi non volete mangiar pollame, sapete che è caro”. I.XI.16: a’ gh’ho conscienza, “io me ne intendo”.
I.XI.18: fio de so sàntola da Castello, espressione spregiativa; sàntola è la madrina di battesimo o di cresima, da Castello, qui è usato per indicare la zona più popolare della città; l’espressione è riportata anche dal MUAZZO,p.1084: «vostra santola de Castello, vostra santola buzerada, vostra santola che v’incontra ben! Va là, va là che ti va ben!». cavadenti, qui vale curadenti, “stuzzicadenti”, usato ovviamente in senso antifrastico per indicare le armi di Pantalone (che porta sia bastoni che armi da taglio e i termini vengono spesso scambiati e adoperati per entrambe le tipologie: cfr. I.V.2 e I.V.4). I.XI.18did: cinquadea, nome antico per “spada”; il riferimento alle dita della mano può derivare dal fatto che veniva impugnata con cinque dita, (GDLI), oppure potrebbe intendersi come misura della lama, “di cinque dita, circa una