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Ad un tal rumore escono tutti fuori della casa di Spinetta, cioè Mezetin, Momoletto, Liguro, Varisco e diverse altre donne in camiscia e Pantalone con un pugnale le fa fuggire Escono dall’altro lato

della scena Cinzio, Dottore, Rosaura e Brighella

C

INZIO

R

OSAURA

Che rumor è mai questo?

B

RIGHELLA

D

OTTORE

(verso Cinzio)

Ah, fiol d’un becch cornù, ah, dove situ stà fin ades, che a’ no t’ho mai vist da du an

in zà?

C

INZIO

Tacete, signor padre, che vi narrerò il tutto in disparte: sappiate solamente

che me son fatto sposo.

PANTALONE BULLO ATTO TERZO

III.XXI.5: all’usmo, cfr. sopra III.XI.5. L’apparizione del fornaio è molto efficace per incrementare la connotazione notturna della scena, dato che è assai verosimile che un fornaio si muova di notte per recarsi al lavoro con le canne accese: si tratta di una specie di canna «che nasce spontaneamente nelle acque paludose, e si adopra a varii usi ed anche per far fuoco ne’ forni» (BOERIO s.v. canèla). una pistolesata sul concollo, “un colpo di pugnale sul concollo”, «quella tavola su

cui si fa o si porta il pane a cuocere», (BOERIO s.v.). Dal buio che regna dalla scena ventesima, in cui Pantalone ha creduto di vedere addirittura l’orco o il babào, arriva un passaggio di luce che riporta la scena alla concretezza della vita quotidiana cittadina, cui fa cenno anche Carlo Goldoni nell’introduzione alle Massere, dove indica come «cosa specialissima del paese» che i fornai siano soliti passare per la città avvisando con un fischio (qui fischiando in didascalia) circa l’ora di infornare il pane nelle case. tutti i va a torno, “tutti vanno a spasso”. i la fasse, forma arcaica per fesse, “facessero”. no i sa in che robba che i se incontra, locuzione “non sanno in che razza di persone si imbattono”. La scena finisce con l’annuncio dell’alba, da parte di Pantalone; sembra dunque di poter dedurre, anche per il canto del gallo iniziale, che il cenno alle otto ore appartenga alla errata percezione del tempo da parte di Pantalone e dunque tutta la sequenza notturna, come pure indicherebbe il passaggio del forner, si collochi sul far dell’alba. La didascalia diventa notte (III.XX.did) è dunque più un riferimento al (relativo) effetto notte da farsi sulla scena, che a una discesa del buio da percepire in funzione realistica, e il tempo effettivo della notte è condensato in queste poche scene.

D

OTTORE

Ti t’ha fat spus? Oh, poveret mi, che me venirà la nura in ca’!

5

C

INZIO

Fermatevi, signore; e voi, signor Pantalone, cedete e potete gloriarvi ch’io vi

salvi la vita. Io son Cinzio, figlio del signor Dottore, che se non sdegnate desidera in

consorte la signora Rosaura, vostra figlia. Dovete condonarmi se usai termini non

convenienti verso di voi, perché vedendovi accompagnato da certi baroni, vi

stimavo esser di tal sorte di gente. Io fui quello che per salvar una dama al Redutto

finsi di temere di voi; fui quello, parimente, ch’alla danza lasciai sfogar la vostra bile,

purché la signora Rosaura restasse illesa dal vostro furore. E, compatitemi di nuovo,

io fui quello che per sottrar voi (non più Rosaura, mia diletta, perché di già n’era in

sicuro) dall’iminente pericolo di morte, vi feci fuggire con un bastone, benché foste

accompagnato da diversi briconi, e perciò, avvedendomi che Rosaura ardeva

dell’amor mio, io, parimenti anelando a’ sue voglie, li diedi la fede di sposa.

Compatite finalmente una tanta arroganza e sappiate che la legge d’amore ogni

difficoltà scioglie, se constituisce ogni persona d’un grado solo per maggiormente

unir gl’animi degl’amanti in nodi indissolubili.

(Pantalone si prostra per terra)

P

ANTALONE

Vu donca se’ sior Cinzio, mio amorevolissimo patron. Compatì, donca,

anca mi, se ho usào certi tira indegni della mia e della vostra persona. Ma, caro sior

Cinzio, si gh’avé dào la zatta, col so restante, a Rosaura, mia fiola, tornéghela a dar

un’altra volta, accioché veda anca so missier pare. È vero che fin adesso ho fatto una

vita infame e, se andava troppo alla longa, anca mi so che saria andào a cattar

l’ostaria dai tre palli, e però ve prometto de muàr vita, tanto più che ho visto che

anca i mii omeni, insieme co Mezettin, i m’ha fatto una barca coll’andar dalla mia

putta, che me credeva esser solo. Ma adesso cognosso che no gh’è più amighi e che

quei che finze d’esser tutti vostri, i è po quei che ve minciona. Ma adesso vedo che ’l

cielo me vuol ben, perché in mia vecchiezza el me dà un sostegno, che se’ vu, el mio

caro sior zenero, che doppo la mia morte resteré patron assoluto de tutto el mio. E

vu, sior Dottor, ve baso e v’abbrazzo, e vogio che da qua avanti siemo sempre più

amighi che mai, tanto più che vostro sior fio se degna de tior mia fia Rosaura per

mugier.

D

OTTORE

Oh, el me car siur Pantalun, a’ pianz per l’allegrezza de veder che un

om dad a tanti vizi pur al fin el se remetta nella voluntà del ciel, e se può ben dir,

PANTALONE BULLO ATTO TERZO

III.XXII.4: nura, “nuora”.

III.XXII.6: ostaria dei tre palli, in senso traslato vale luogo dell’impiccagione. i m’ha fatto una barca, “mi hanno gabbato”, cfr. l’espressione far una barca o una barca in cao, (in BOERIO s.v. barca). mugier, “moglie”.

com a’ ’l dis Verzil dai Marù: Post nubila Phoebus, che dopp el nuvol della mala vita al

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